Time [1981] – ELO ♫

«Am I awake or do I dream?»*

Twilight – ELO

 

Avevo già accennato degli Electric Light Orchestra (ELO) nel post dello scorso settembre, ma sto cogliendo l’opportunità di approfondirli per bene soltanto negli ultimi tempi. Partiamo subito dal presupposto che questa è una di quelle band che… o si ama, o si odia (o si tollera a malapena!). Quel tipico connubio di voci vagamente somigliante, alle volte, a quello dei Bee Gees (che personalmente conosco davvero pochissimo!) o, se vogliamo, dei Supertramp, potrebbe quasi far storcere il naso – se non persino infastidire – (a) quegli ascoltatori che preferiscono di gran lunga una vocalità molto più ruvida, meno infarcita di zucchero. Ma forse, i fan sfegatati dei leggendari Beatles potrebbero pure sorprendersi del fatto che buona parte dello stile degli ELO richiama la stessa beat band di John Lennon e compagni (certo, i Beatles sono i Beatles, eh!). Jeff Lynne – leader degli Electric – era infatti un grande estimatore della cultura beat, e proprio Lennon dichiarò, agli inizi degli anni ’70: “…Se i Beatles avessero continuato, la loro musica oggi sarebbe quella degli Electric Light Orchestra…”. Quindi chissà… magari anche una sola briciola di possibilità a questo gruppo ce la si potrebbe dare, no? Classica frase fatta a parte, se proprio dovessi cercare di vendere bene a qualcuno questa band britannica, consiglierei di sicuro l’ascolto di ELO II, album pubblicato nel 1973 dalla Harvest Record. Il disco rappresenta un perfetto esempio di prog-rock abbinato a un interessante e ben assortito arrangiamento orchestrale (marchio di fabbrica della band). Anche il primo album non è male, ma quest’oggi non mi soffermerò di certo su ELO/ELO II, bensì, come da titolo, sul concept album Time.

Time - Copertina dell'album
Time Copertina dell’album

Eh sì, a quanto pare in questo periodo siamo in vena di concept (sconosciuti ai più, tra l’altro)! E delle cosiddette band di nicchia (ma questa è decisamente un’altra storia!). E, non da ultimo, siamo pure (e ancora) in balia degli anni ’80. Anche questo album, parallelamente a quello di cui ho discusso nel post precedente, venne infatti prodotto nel luglio 1981, seguendo la scia dei generi musicali più in voga in quel periodo: pop-rock, New wave e Art rock. Certe melodie richiamano comunque a sé delle vecchie memorie, ma ormai anche gli ELO sono andati avanti adattandosi appieno ai tempi moderni.

Gli ELO nascono a Birmingham nel 1969, dalle ceneri della beat band denominata The Move. La voce del frontman, Jeff Lynne, è abbastanza particolare e la gran parte dei testi prodotti si devono proprio al suo estro creativo. Nel concept-album Time si affronta la suggestiva tematica del viaggio nel tempo e si raccontano le numerose peripezie di un uomo che, dal 1980, si ritrova improvvisamente a contatto con una società futuristica ambientata nell’anno 2095. Il disco esordisce con una voce metallica (Prologue), sintetizzata tramite un vocoder che ci catapulta nell’immediato nelle atmosfere fantascientifiche di cui l’intero disco si fa portavoce. Il protagonista invia un messaggio di SOS alla Terra. Dove oscurità e luce si confondono, l’uomo cerca disperatamente di non impazzire e trovare un senso a quanto accaduto. Del tutto all’improvviso (un po’ come i due giovani di Supper’s Ready  [Genesis, Foxtrot – 1972, Charisma/Atlantic Records] che si ritrovano catapultati in un mondo parallelo mentre stavano tranquillamente guardando la televisione), nel bel mezzo di un sonnellino ristoratore, è stato trasportato in un altro tempo e in un altro spazio, totalmente isolato dal resto del mondo. Come uscirne? La seconda traccia, che continua sulla scia della precedente, è forse la mia preferita: Twilight.

Sono sveglio o sto sognando?* si chiede il protagonista. Is this the real life? Is this just fantasy?” (Questa è la vita reale o è soltanto fantasia?) direbbe Freddie Mercury (e lo fa, se ricordate, nella fantastica Bohemian Rapsody!), leader dei Queen. Dopo un acceso soliloquio interiore, l’uomo capisce che non si sta immaginando proprio niente. È davvero intrappolato nel futuro e non sa proprio come cavarsi fuori dall’impaccio (e che impaccio!). Il ritmo della canzone è trascinante e il suo stile è tipico della corrente New wave. Il brano successivo (Yours Truly) – vivacissima ballata completa di tutto – non si discosta affatto dal precedente e viene introdotto da una serie di suoni che rimarcano con forza l’era futuristica nella quale il protagonista è immerso, assieme alla consueta voce robotica, i consueti sintetizzatori e la roboante batteria di Bev Bevan che accompagnano Lynne e lo stesso protagonista alla scoperta di una società che non gli piace per nulla. L’uomo scrive alla sua fidanzata affermando che una ragazza robot gli è stata affibbiata con l’unico scopo di sostituirla, ma lui chiaramente non è affatto felice di interfacciarsi (si fa per dire!) con un pezzo di metallo parlante. Ammetto, in questo specifico frangente, di aver (ri)pensato al biochimico e scrittore russo Isaac Asimov (e tutto perché su di lui il professore di latino avuto al liceo ci ha fatto una testa tanta!), autore di romanzi e racconti afferenti al mondo della robotica e sulle leggi che la governano, nonché a I Robot (1977 – Arista Records) degli Alan Parsons Projects, concept album anch’esso ispirato agli scritti dello stesso Asimov (in particolare alla sua omonima raccolta di racconti). Questo brano ci lascia con una domanda che potrebbe assillare chiunque, fanatici del progresso e non: in un prossimo futuro i robot prevaricheranno sull’uomo? In ogni caso, si può solamente sperare che le profezie di Asimov non trovino effettivo riscontro!

Il brano successivo, dall’atmosfera decisamente più distesa, è Ticket To The Moon. Il protagonista continua a compiangersi richiamando nella mente la sua epoca (gli anni ’80, appunto) e sostenendo che un tempo le cose fossero di gran lunga più semplici rispetto al presente attuale (e chi lo biasima?). La canzone si sviluppa su una base di tastiera di Lynne, poi accompagnata dalla batteria e dagli altri strumenti. La voce del cantante è malinconica, e i cori che si aggiungono in seguito contribuiscono a creare un vorticoso circolo vizioso di pensieri di cui lo stesso protagonista è vittima.

Ma è proprio così che dovrebbe essere la vita? [Is this the way life’s meant to be?], si domanda ripetutamente (The Way Life’s Meant To Be), mentre guarda sconsolato gli abitanti di questo nuovo – e sconosciuto – mondo. Che sia io il vero sconosciuto? si domanda, sempre più confuso. I feel like an alien, a stranger in an alien place” (Mi sento come un alieno, uno straniero in terra straniera) afferma Phil Collins in Heataze (Duke [1980] – Charisma Records), concetto estendibile anche allo stesso protagonista di Time. Torri d’avorio e fiori di plastica lo circondano. Gli abitanti si trincerano in un silenzio assordante. Il primo lato del disco si conclude con una canzone (Another Heart Breaks) che mi fa pensare (seppur molto vagamente) a un qualche brano dei Pink Floyd. Il suo stile è molto lento, pare dotato di un certo esoterismo: la voce di Lynne si incupisce d’un tratto e non sembra lasciar presagire particolari lampi di speranza (ecco, è proprio questo aspetto specifico che mi riporta ai PF!). Il tempo è, al solito, scandito dai secondi, dai minuti e dalle ore che trascorrono lente, in maniera del tutto asettica. Il tutto è un’agonia che sembra interminabile.

Il secondo lato dell’album si apre con Rain Is Falling (nei video allegati, comunque, ci sono ben quattro extra tracks: When Time Stood Still – Julie Don’t Live Here – Second Time Around – The Bouncer). La canzone ispira malinconia e profonda nostalgia per i tempi andati. Il protagonista continua a pensare alla sua fidanzata, alienato com’è dal resto del mondo. Il paesaggio che gli si presenta davanti, bagnato da una pioggia torrenziale, è un tutt’uno con il suo viso triste e sconsolato (anch’esso solcato da lacrime amare). Nel brano successivo, From The End Of The World, si torna ai ritmi della disco music. L’uomo continua a tentare con ogni mezzo di tornare nel passato: tramite una macchina del tempo, scrivendo una lettera inviata direttamente alla compagna. Insomma, diciamoci la verità… quante volte avremmo voluto tornare indietro nel tempo per poter rivivere determinate situazioni o anche soltanto riassaporare quelle sensazioni che uno specifico evento ci ha lasciato in dote? Dal canto mio, queste fantomatiche volte sarebbero innumerevoli. Peccato che non sia proprio possibile riavvolgere il nastro un po’! E che, come ci hanno pure detto (aridaje!) i cari Genesis, in A Trick Of The Tail (febbraio 1976 – Charisma Records) ripples never come back (tradotto: le onde [del tempo, dei ricordi] non tornano mai indietro)!

Ed ecco che, ancora una volta, le luci si spengono (The Lights Go Down). Non c’è davvero nessuna speranza di poter tornare indietro? Ormai è passato già molto tempo e il protagonista non si sorprenderebbe se la sua fidanzata si fosse ormai rifatta una vita e abbia ceduto il suo cuore a un altro uomo. A seguito di questa riflessione a dir poco deleteria, egli cerca comunque di provare anche soltanto un minimo di felicità per la ragazza, anche se non crede di potercela fare da solo. Dalla canzone trasuda spensieratezza, malgrado la tematica del brano sia tutt’altro che lieta. Here Is The News, invece, somiglia abbastanza ad alcune canzoni degli Alan Parsons Project nell’album Vulture Culture (febbraio 1985 – Arista Record), con quel connubio di voci rappresentante, ad esempio, una tipica conversazione in luoghi pubblici e affollati. Queste voci si accavallano creando disorientamento e confusione nell’ascoltatore, che di certo non fatica a immedesimarsi nella situazione del protagonista. Ogni santo giorno della nostra vita siamo bombardati da notizie che, spesso e volentieri, ci stordiscono. Non sarebbe meglio staccare la spina da tutta questa baraonda (almeno per un po’)?

La prossima canzone è 21st Century Man, dallo squisito stile beatlesiano. Solita malinconia a parte, il connubio di voci fa pensare proprio ai Beatles in veste più romantica, e dipinge il protagonista in preda all’alienazione più completa. La tristezza non sembra dipanarsi, malgrado lui sia ormai un uomo del ventunesimo secolo, come afferma più volte lo stesso brano. Dovresti essere felice e orgoglioso… ma allora perché ti senti così solo? tuona Lynne. La strofa successiva della canzone ci illude un po’… il protagonista è riuscito o no a tornare sul pianeta Terra? Ci riuscirà? Questo non si sa (almeno per ora). Sappiamo soltanto che l’uomo sta cercando in tutti i modi di adattarsi al nuovo mondo e all’imperante potere della tecnologia. Perché la vita, in fondo, non presuppone forse da parte nostra costanti tentativi di adattarsi a situazioni od ostacoli che, pur non andandoci troppo a genio, non si possono aggirare in alcun modo? In poche parole, bisogna affrontare l’ondata di un imminente cambiamento a testa alta. E, in alcuni – se non troppi! – casi (purtroppo o per fortuna?), bisogna anche imparare ad accettarlo.

Il nostro caro protagonista, però, non ha certo intenzione di arrendersi. Hold On Tight (che divenne l’ultimo singolo di successo del gruppo) si sviluppa su una base di rock ‘n roll (la melodia mi ricorda vagamente il twist!) condito dalla presenza del sintetizzatore e… da parole in francese! Insomma, il protagonista le tenta tutte, ma… pare non ci sia proprio più nulla da fare. Siamo ormai giunti all’epilogo (Epilogue) di questa storia… tragica e bizzarra insieme. Lo sfortunato protagonista, resosi conto che ormai non esiste via di fuga, apprende comunque un’importante lezione: domani è un altro giorno. Inutile farsi troppi programmi per il futuro, vivere l’oggi per il domani.

Viviamo l’oggi. Diamo tempo al tempo. Tutto il resto… è secondario. O quasi.

Pubblicato da Eleonora

Sono una ragazza curiosa dalle molte passioni: amo scrivere, leggere (ovviamente), disegnare fumetti, ascoltare musica - specialmente appartenente al filone del rock progressivo - e ballare, soprattutto i Latino-Americani. Mi piacerebbe molto imparare a suonare il pianoforte, nonché trovare un partner ballerino con cui condividere la mia grande passione per la danza... Lo so, forse chiedo troppo!

4 Risposte a “Time [1981] – ELO ♫”

  1. Gli ELO sono più una band pop-rock, a tratti molto commerciale (specie alcuni brani), alta molto art-rock (visto l’ensamble). I loro pezzi che conosco e mi piacciono di più sono 10538 Overture, Evil Woman, Turned to Stone.

    Su brani che parlano di viaggi nel tempo (e paradossi vari), pochi lo sanno, ma c’è Iron Man dei Black Sabbath. Abbastanza insospettabile, in effetti.

    Io, Robot non è un romanzo di Asimov. E’ un celebre racconto di Eando Binder. Quando fu pubblicata una raccolta di racconti di Asimov, l’editore scelse come titolo Io, Robot, cosa a cui Asimov si oppose inutilmente. Per questo adesso Io, Robot è associato ad Asimov.

    1. Sisi, sono d’accordo sul fatto che gli ELO appartengano più a quel filone che non al rock progressive, anche se secondo me ELO II è il loro album più “prog”, credo persino il migliore, perché non era commerciale e, quindi, più “classico”. Tra l’altro, se non sbaglio, in questo disco c’è anche “Roll Over Beethoven”, la cui cover era già stata fatta anche dai Beatles (mi piace troppo questa canzone, lo ammetto!).
      I Black Sabbath, invece, li conosco soltanto di nome, ma conto di approfondirli in futuro. Ammetto anche, però, che non sono proprio tipa da “hard rock/heavy metal/metal” (e lo dimostra il fatto che ho cominciato ad ascoltare più i Deep Purple ma sto dimostrando una scarsa “empatia” per questo genere), non è che lo disprezzo, ma nemmeno lo adoro, ecco. A ogni modo, non mi precludo comunque di ascoltare almeno qualche album delle band più celebri.
      Quanto alla questione di Asimov, ammetto che non lo sapevo. Presumo che nemmeno il mio professore conoscesse questo “retroscena”, ma avendo lui stesso una grande cultura non posso metterci la mano sul fuoco! Sul fatto di aver scritto “romanzo” anziché “raccolta di racconti”, svista mia, pertanto vado subito a correggere…

  2. Roll Over Beethoven è la canzone con cui ho conosciuto gli ELO. Tra i fondatori c’era anche Roy Wood, che poi se ne andò per fondare una band simile, i Wizzard.

    Sui Deep Purple forse è più in linea con ciò che ti piace il loro terzo disco, dove c’è April.
    Oppure il Concerto for Group and Orchestra, anche se secondo me come fusione tra rock e classica non è uno dei risultati migliori. Molto meglio Salisbury degli Uriah Heep.

    1. Davvero un bell’inizio, allora! Il mio, invece, è stato uno di quegli inizi commerciali che però mi hanno piuttosto incuriosita.
      Quanto ai DP, in effetti ho ascoltato i primi album e quel disco che contiene April non era affatto male. Salisbury degli Uriah Heep l’ho ascoltato di sicuro, ma non ricordo proprio niente… motivo in più per riaffrontare un ascolto più attento in futuro…!

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