Una sessione da dimenticare…

   


Un esame, tante colonne sonore.

Sarebbe stato proprio questo, il titolo che mi sarebbe tanto piaciuto dare al prossimo post. Invece, contro ogni mia previsione (e no, nemmeno stavolta era tanto nefasta), ho dovuto ripiegare sul bellissimo titolo apposto in alto. Una sessione da dimenticare. Una sessione buttata al vento. In poche parole mal spesa.

Confesso di essermi trovata in un vicolo cieco, non appena le lezioni del primo semestre sono terminate. Non sapevo ancora quale esame avrei “puntato” per la consueta sessione invernale, anche se da una parte sapevo che avrei dovuto cominciare a studiare “Organica IV”. E così ho fatto, almeno per qualche giorno. Procedevo con assoluta lentezza, tant’è che mi stavo deprimendo perché sapevo che 24 giorni non mi sarebbero bastati per studiare tutto quel casino.

Nel frattempo, ho avuto la “geniale” idea di stamparmi un “pacco” di esercizi svolti di Elettrochimica. Così, del tutto improvvisamente, ho cambiato rotta. Col senno di poi, è sempre facile dire cosa sarebbe stato più giusto fare, ma ovviamente non abbiamo il dono di predire il futuro. Il nuovo anno non è partito nel migliore dei modi, purtroppo. Ho cercato di riposarmi un po’ durante le vacanze di Natale e mi sono dedicata un po’ alla scrittura, ben sapendo che dai primi di gennaio avrei dovuto ricominciare a studiare seriamente. Sì, lo so che scrivere questo post non serve né servirà a niente, e so anche che “lamentarsi” non porta a nulla. Proprio per questo ho cercato di affrontare questa nuova avventura con la maturità, l’entusiasmo e la cazzimma che si converrebbero a uno “specializzando”, pur essendo perfettamente cosciente dei miei limiti. Pur essendo perfettamente cosciente che forse la magistrale che ho scelto io va ben al di là delle mie possibilità. Però dai, è da tanto che non lo faccio. È da tanto che non scrivo un post inerente a una mia delusione accademica. Contravverrei alla “tradizione” se non lo facessi, no?

Certo, mi costa un bel po’ mostrarmi di nuovo tanto vulnerabile, ma purtroppo in questo momento va così. Sento comunque il bisogno di buttar fuori tutta l’amarezza che mi ha colpita dal momento stesso in cui ho capito che il compito scritto di Elettrochimica non avrebbe riguardato la risoluzione di tre esercizi numerici. Durante la verifica, ironia della sorte, mi sono ritrovata a pensare a quanto, delle volte, sia tanto strana la vita. Io, che ho sempre avuto paura dei numeri, che mi sentivo letteralmente negata nello svolgere un qualsiasi calcolo che prevedesse l’utilizzo corretto della notazione scientifica – e che quindi, in virtù di questo, preferivo di gran lunga la teoria –, negli ultimi anni mi sono ritrovata a bramare quei numeri che tanto disprezzavo con tutte le mie forze. Perché studiare la teoria di una materia tanto ostica (diciamo pure assurda) non è uno sforzo di poco conto, e io, lo so benissimo, non sono capace di comprenderla. No, non c’entra un fico secco la volontà. Perché delle volte, anche se è brutto dirlo, la sola volontà non è sufficiente. Se non sei capace, lo devi “semplicemente” accettare. Come si può non dubitare di se stessi se non ci si capisce niente, se ogni singola volta che vedi un concetto (seppur spiegato dal docente di turno), ti ritrovi sempre a chiederti il “perché” sia così?

E sì, la vita si diverte spesso a prenderci in giro. Che vogliamo farci? Purtroppo qua non ci troviamo in autostrada. Per quanto mi riguarda, vengo “immessa” in autostrada soltanto a un certo punto, durante il viaggio in pullman che tutte le volte mi conduce all’università. Solo e soltanto in quel momento specifico. Poi, per il resto sono tutte buche o false piste, o comunque un saliscendi che sinceramente, a una certa, ti stanchi pure di sopportare. E devo ammettere che io mi sento parecchio stanca. Ora come ora, mi verrebbe soltanto da buttare tutto all’aria. Sono stanca di dover lottare sempre così tanto; in questo caso per un esame maledetto che, almeno per UNA volta, poteva essere superato senza troppi sbattimenti. A suon di “colonne sonore”, appunto. In questi ventuno giorni, mentre mi prodigavo nel risolvere a ripetizione gli esercizi numerici di questa orribile materia, ho ascoltato moltissimi album di jazz-rock/fusion. Proprio come ai tempi di Analisi Matematica II, avevo bisogno di accompagnarmi allo studio avendo come sottofondo dell’interessante musica strumentale. Di solito, quando un esame mi fa particolarmente paura (se non prevede l’orale, certo) e consiste “soltanto” nella risoluzione di n esercizi, mi sistemo ben bene dietro la scrivania e, quatta quatta, comincio a destreggiarmi in mezzo a quell’assurda marmaglia, per poi ritrovarmi in bilico tra l’assoluta razionalità (dettata dalle innumerevoli, lunghissime formule matematiche che mi – ci – tocca imparare a memoria), e il sogno e la speranza che mi infonde la musica. Nell’ordine, ho ascoltato: i Return To Forever, i Nucleus, gli Area, i Perigeo, gli Arti e Mestieri, i Pat Metheny Group e i Weather Report. Ho fatto il pieno di innumerevoli album e, nel frattempo, ho scoperto che quei dannati esercizi non erano poi così terribili, anzi. La speranza era tornata a farsi viva, e sentivo che almeno un esame potevo rimediarlo, in questa sessione.

Mai pensiero fu più sbagliato.

Insomma, noi studenti abbiamo avuto la fortuna (o forse, a ben guardare, la sfortuna) di aver raccattato le tracce degli esami precedenti, nonché la risoluzione di tutti gli esercizi possibili che il professore poteva propinarci all’esame.

Com’è finita?

Se volessi citare un famosissimo film di Troisi, potrei ben dire: Pensavo fosse amore, invece era un calesse (anzi, per noi era un meteorite, altro che calesse).

Ecco, noi pensavano che ci sarebbero toccati degli esercizi, invece era TUTTA teoria. Una teoria che noi studenti non abbiamo visto manco di striscio, o quasi. Quando avevo cominciato a “studiare”, in  effetti, mi stavo risentendo tutte le registrazioni della materia in questione, senza però propormi di trascrivere parola per parola ogni singola lezione (come ho fatto sempre per OGNI esame). Se potevo risparmiarmi la fatica, ne sarei stata ben contenta. La materia è troppo insopportabile, il professore è di una noia mortale (il male minore, se rapportato alla sua follia), e… l’ho già detto che il tutto è incomprensibile?

Ah, giusto. Lo è PER ME, ovviamente. Perché qualche genio sparso per il mondo e che ci capisce tutto c’è sempre, certo. Ma cosa può esserci di peggio che sentire il professore borbottare (e questo nell’ultimissima lezione, dopo averci fatto vedere una prova fac-simile d’esame consistente nella risoluzione di 3 esercizi numerici) “potrei pure mettere qualche domanda di teoria”, lasciando però intendere che, tutt’al più, ci sarebbe potuto capitare un quesito inerente alla suddetta TEORIA?

Che senso ha avuto, per lui come per noi, avvertirci via e-mail sul come dovevamo comportarci con le cifre significative, come la specifica di portare la calcolatrice COMPLETA DI BATTERIE RICARICABILI (io scema, che per il troppo zelo me ne sono portate persino due, e poi non ne ho usata nemmeno mezza!) se poi quello che voleva era solo teoria (completa comunque di formule del cavolo, certo). Che senso ha avuto studiarsi più di venti formule lunghissime più alcune “cosucce” di teoria che magari potevano capitarci se poi NESSUNA di quelle cose è venuta alla luce?

Ma tanto, che mi lamento a fare? La colpa è sempre mia, mica sua. La colpa è mia (nostra) che non (abbiamo) ho studiato quasi niente di teoria, non certo del “caro” professore, per quanto sia stato comunque un mezzo infame (perlomeno a mio avviso). Almeno un esercizio numerico avrebbe potuto metterlo, e invece… Certo, l’esame non lo avremmo passato comunque, ma perlomeno non mi sarei dovuta arrabattare per cercare di non alzarmi dalla mia postazione per andare verso la cattedra e sussurrare un umiliante “mi ritiro”.

Non appena ho intravisto i fogli che ci avrebbe consegnato, ho subito sentito che quella nefasta vocina che di tanto in tanto si faceva sentire durante le mie giornate passate in clausura dentro al mio studio, aveva assolutamente ragione. Di tanto in tanto, mi chiedevo infatti: “E se ti dovesse capitare tutta teoria? Che faresti, a quel punto”? Se c’era una cosa che non avrei mai voluto fare, sarebbe stato ritirarmi (e infatti, per mio orgoglio personale, non mi sono ritirata e ho scritto pure delle scemenze pur di consegnare il compito). Non volevo ascoltare quella vocina, perché, diamine… una domanda di teoria poteva pure capitare, ma che addirittura lo fossero tutte e tre è stata veramente una mazzata.

E appena ho visto che quei fogli contenevano pochissimo testo, mi sono detta che era finita ancora prima di iniziare. Poco dopo, mentre lui sistemava gli studenti in ordine alfabetico sui banchi lasciando una fila vuota e due spazi tra una persona e l’altra, ne ho avuto la piena conferma. Le facce degli altri studenti erano allibite. Nessuno si era preparato a quell’evenienza, perché tutti quanti si erano allenati sull’insieme di esercizi numerici che eravamo riusciti a raccattare dalle “precedenti generazioni” di studenti.

Alcuni ragazzi si sono ritirati a pochissimi minuti dalla prova; una ragazza ha addirittura riconsegnato il compito al professore immediatamente dopo che l’aveva posato sul banco. Questo, direte voi, mi dovrebbe consolare. Invece, a me non consola proprio per niente. Perché se con gli altri studenti ho cercato di prenderla sul ridere (perché loro stessi l’hanno presa così), dentro di me ho percepito soltanto il retrogusto dell’ennesima sconfitta. E così tanta amarezza che adesso mi sembra davvero inconcepibile studiare per ritentare la sorte a febbraio (perché di questo si tratta). Venti giorni sarebbero comunque troppo pochi per “”””studiare”””” la teoria con le ventriquattromilioni di formule annesse (come dare qualche altro esame). Altro che Chimica-Fisica IV, qua abbiamo raggiunto l’apoteosi dell’assurdo.

Ma parliamoci chiaro: era tutto troppo bello per essere vero. Avrei dovuto saperlo. Non mi sarei dovuta illudere. Sarebbe stato sin troppo bello se per una volta non avessi dovuto sudare venti camicie per passare un esame. E adesso, come se non bastasse, non so nemmeno che cavolo fare. Può darsi che nel compito di Febbraio capitino quegli esercizi che abbiamo fatto in questi giorni, come può darsi che ricapiti la teoria. In ogni caso, mi sono bruciata già un tentativo. E se mi brucio pure il prossimo, si va a finire all’orale.

E sai che gioia.

Quindi: o me la rischio, o me la do a gambe. O do l’esame fra due anni (anche se lo sconforto è talmente grande, che ora come ora non mi andrebbe di fare più nulla). E vai a capire qual è la scelta migliore. Questo, purtroppo, è uno dei tanti momenti in cui non ho una risposta.

Pubblicato da Eleonora

Sono una ragazza curiosa dalle molte passioni: amo scrivere, leggere (ovviamente), disegnare fumetti, ascoltare musica - specialmente appartenente al filone del rock progressivo - e ballare, soprattutto i Latino-Americani. Mi piacerebbe molto imparare a suonare il pianoforte, nonché trovare un partner ballerino con cui condividere la mia grande passione per la danza... Lo so, forse chiedo troppo!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *