Phil Collins: l’atipica avventura solista di un cantante-batterista

Phil Collins: monografia essenziale di un cantante-batterista dall’animo pop

Solitamente, i batteristi di fama mondiale appartenenti al filone degli anni 70′ non sono soliti avere a propria disposizione delle sorprendenti abilità canore da poter sfruttare al fine di costruirsi una prolifica – quanto fortunatissima – carriera solista. Ebbene, questo non è certo il caso di Phil Collins, grande batterista e meravigliosa voce nel panorama del progressive. Come ben saprete, il vocalist fece parte dei Genesis, dove vi rimase in pianta stabile fino al 1991, anno di uscita di We Can’t Dance, grande disco pop nel quale figurano delle tracce corpose e piuttosto elaborate con altrettanti sprazzi di prog, quali la mitica e solenne Fading Lights.

Phil Collins nel 1972
Phil Collins nel 1972

Ed ecco che, come da titolo, le luci del palco ospitante la storica formazione dei Genesis, ovvero quella creatasi nella seconda era definita “era Collins” a seguito della defezione di Gabriel, si sbiadiscono lentamente, fino al loro completo spegnimento. Cala dunque il sipario. Anche Phil Collins abbandona lo storico gruppo inglese, lasciandolo in balia di Ray Wilson, vocalist che si occuperà di sfornare, insieme ai fedelissimi Banks e Rutherford, l’ultimo disco della band (a quel punto “non più band”): Calling All Stations.

A quanto pare, per ognuno di loro è ormai giunto il tempo di percorrere altre strade, lasciandosi definitivamente alle spalle “l’etichetta” che per anni li ha considerati come uno dei migliori gruppi di rock progressivo in circolazione. Ma l’avventura dell’aspirante batterista che nel lontano 1970 si buttò nella piscina della casa di Peter Gabriel al fine di poter origliare e memorizzare con gran maestria i provini dei suoi avversari – nonché i loro errori – al fine di potersi guadagnare un posto all’interno dei Genesis, non è affatto finita, anzi. La sua avventura è appena cominciata.

1981: l’esordio ufficiale

Spulciando attentamente nella sua discografia, ci si accorge che il mese di Novembre è stato per Collins particolarmente prolifico dal punto di vista della sua produzione solista. Una produzione musicale magnifica, da far invidia a chiunque: persino al suo grande amico e collega Peter Gabriel. Ebbene sì, a cavallo degli anni 80′ Phil Collins ha letteralmente spopolato, creando hit di successo afferenti al genere pop-rock. Il suo primo album, uscito però nel Febbraio del 1981, quando Collins faceva ancora parte dei Genesis, rappresenta la combinazione di un sapiente mix di energia e sfrontatezza, dolcezza e malinconica tristezza.

Phil Collins: Face Value
Phil Collins: Face Value

Face Value (il mio disco preferito!) nacque, in effetti, a seguito di un evento personale alquanto spiacevole occorso al cantante. Nel 1980, il divorzio dalla sua prima moglie Andrea Bertorelli divenne definitivo e ciò lo segnò profondamente, tanto che l’artista si ritrovò a comporre, in perfetta solitudine, le tracce di cui si compone questo disco – di cui la seconda, It Must Be Love, è dedicata a colei che nel giro di poco tempo sarebbe diventata la sua seconda moglie, Jill Tavelman -.

Ma lasciamo spazio ai veri capolavori del disco: cosa possiamo dire della hit In The Air Tonight, della strumentale Droned e del suo seguito fenomenale, Hand In Hand? E della struggente You Know What I Mean?


In tutte le tracce summenzionate alberga il senso del “cupo”, della profonda crisi interiore di cui Collins è stato testimone, congiuntamente alla copertina dai toni scuri rappresentativa dello stesso album. Il nostro caro Phil non si è ancora del tutto ripreso: egli sta ancora combattendo contro dei “demoni” invisibili ma in compenso alquanto potenti. Quei demoni afferenti al suo burrascoso passato amoroso… Ad ogni modo, c’è ancora una piccola grande speranza.

Non manca, in effetti, la consistente presenza di quel tipico “divertissement” da lui mostrato durante i live con i Genesis, nonché spensierati sprazzi melodici a ritmo di blues/jazz nei quali traspare un forte ottimismo nei confronti di un futuro ancora incerto ma che, nel contempo, potrebbe rivelargli esaltanti sorprese.

1982: “Ciao ragazzi, io devo andare!”

Phil Collins: Hello, I Must Be Going
Phil Collins: Hello, I Must Be Going

E così sarà. Il suo secondo album in studio, Hello, I Must Be Going! (1 Novembre 1982), contiene anch’esso delle hit molto celebri. You Can’t Hurry Love è una di queste, sebbene in realtà questa canzone sia stata concepita dal gruppo femminile The Supremes.

Tuttavia, la versione di Collins (uscita poi come singolo) rimase in vetta alle classifiche britanniche per ben due settimane, mettendo a segno il suo primo record nel Regno Unito. Ammettiamolo, il Collins pianista non se la cava affatto male: la canzone Don’t Let Him Steal Your Heart Away, dedicata alla sua ex-moglie, è in assoluto la mia preferita del disco (assieme alla romantica Why Can’t It Wait ‘Til Morning).

1985: “Fuori dal mio locale!”

Tre anni dopo, viene dato alle stampe No Jacket Required, dal significato “Non è necessario indossare la giacca”. A che cosa è legato questo titolo?

Phil Collins: No Jacket Required
Phil Collins: No Jacket Required

Qualche mese prima, Collins era stato testimone di uno strano episodio che lo aveva visto protagonista in un ristorante di Chicago. Phil, ritenuto poco elegante rispetto al collega con il quale si trovava – il musicista Robert Plant – non venne fatto entrare, in quanto il regolamento del locale prevedeva di indossare una giacca durante l’ora di cena. In realtà, Collins indossava una giacca di pelle, ma la stessa fu ritenuta inappropriata dal maitre. Tralasciando le esilaranti sorti dell’episodio, un recensore di All Music definì l’album con queste parole: 

«L’album ha unito l’onestà dolorante di Face Value con l’intelligenza pop di Hello, ha aggiunto del songwriting seriamente mirato, ricoprendo poi il tutto con un’astuta produzione digitale che era perfetta per le radio.»

A detta di Collins, questo è il disco che preferisce di meno, sebbene lo stesso ricevette al tempo degli ottimi consensi. Personalmente, ricordo vagamente la ballata One More Night, ma per il resto non credo vi siano tracce particolarmente meritevoli in questo disco… Certo, in verità non l’ho ancora ascoltato con attenzione, pertanto quale opinione potrò averne ora? Beh, lo scoprirò molto presto, dato che ultimamente mio padre me lo ha regalato (assieme al classico In The Wake Of Poseidon dei Re Cremisi)!

1986: … Ma Seriamente!?

Il 24 Novembre 1986 nasce But Seriously, uno degli album più celebri dell’ormai affermato artista. Le tematiche in esso affrontate riguardano delle situazioni sociali a dir poco scottanti: la vita solitaria dei senzatetto (Another Day In Paradise), la segregazione razziale (Colours), conflitti di natura politica, nonché l’oscuro tema della morte (All Of My Life). Tracce degne di nota sono sicuramente quest’ultima, Another Day In Paradise e la struggente I Wish It Would Rain Down.

Nel video ufficiale di quest’ultima, una sorta di direttore teatrale alquanto frustrato è alla ricerca di un individuo che possa cantare in rappresentanza del “più importante” numero dello show da lui creato. Eric Clapton, co-protagonista del video, propone di far cantare Phil Collins. Implicitamente, nel video viene nominato Peter Gabriel: il batterista viene in effetti presentato all’esilarante tizio come il vocalist che ha sostituito l’eccentrico frontman dopo la sua dipartita. Al termine della canzone, il creatore dello show rimane comunque scontento della prestazione dell’artista. Insomma, il tipico (ed eterno) individuo insoddisfatto cui nessuno vorrebbe imbattersi.

Nonostante la bellezza della canzone, per “esperienza personale”, ho constatato che molti vanno pazzi per Another Day In Paradise, che effettivamente è uno dei singoli di maggior successo di Collins. In questo album, è rimarcabile la presenza di artisti famosi quali il già citato Clapton, David Crosby e Steve Winwood.

9 Novembre 1983: Both Sides

Phil Collins non è mai stato un uomo molto fortunato dal punto di vista della sua vita privata… In effetti, nell’anno di uscita di Both Sides, anche il secondo matrimonio dell’artista stava volgendo al termine. In compenso, questo lavoro risulta, dalle dichiarazioni di Collins, il suo preferito:

Phil Collins: Both Sides
Phil Collins: Both Sides

 

Both Sides è il mio album preferito, sotto un punto di vista cantautoriale e creativo. È stato un album da solista nel vero senso della parola. Ho suonato tutto, le canzoni mi sono venute fuori spontaneamente, e in quanto autore è il tipo di cosa che sogni.

 

 

1996: Dance In To The Light

Collins ritorna sulle scene con un classico che rivela l’ormai totale consacrazione al genere pop, eliminando quasi del tutto l’atmosfera jazzistica che si respirava negli album precedenti. I brani sprizzano infatti la tipica energia simbolo degli anni 80′-90′: Wear My Hat, That’s What You Said e Dance In To The Light sono soltanto alcune delle numerose tracce rappresentative di un album dal ritmo squisitamente coinvolgente, sebbene Collins ci tenga ad affermare di non aver utilizzato, in questo caso, la celebre drum machine presente nell’album precedente.

Dance In To The Light
Dance In To The Light

12 Novembre 2002: un altro numero uno della Billboard!

Con l’album Testify, si sta per concludere l’attività solista di Collins. Ancora una volta, l’artista riesce a spiazzare la critica collezionando un altro numero uno della Billboard con la romantica track Can’t Stop Loving You. In realtà, la canzone è una cover di Billy Nicholls. Solitamente, tale brano è associato al B-SIDE High Fly Angel. In questo album, l’artista ritorna ad utilizzare la sua amatissima drum machine.

Testify
Testify

Going Back (to… 60’s)
Nel Settembre 2010, esce l’ultimo album dell’artista. Il titolo suggerisce il materiale di cui parla il disco. Tutte le canzoni in esso presenti sono infatti delle cover di canzoni popolari degli anni 60′. Una di queste è Dancing In The Street, di cui ho parlato molto tempo fa in questo post.

Going Back
Going Back

 

PS: A proposito di Going Back…

Pubblicato da Eleonora

Sono una ragazza curiosa dalle molte passioni: amo scrivere, leggere (ovviamente), disegnare fumetti, ascoltare musica - specialmente appartenente al filone del rock progressivo - e ballare, soprattutto i Latino-Americani. Mi piacerebbe molto imparare a suonare il pianoforte, nonché trovare un partner ballerino con cui condividere la mia grande passione per la danza... Lo so, forse chiedo troppo!

4 Risposte a “Phil Collins: l’atipica avventura solista di un cantante-batterista”

  1. E’ una biografia un po’ parziale di Phil Collins…
    Negli anni ’80 Phil Collins divideva la gente: c’era chi lo adorava, ma molti lo detestavano, senza vie di mezzo. I motivi erano molti. All’epoca Collins era continuamente alla ribalta: faceva parte di due band (i Genesis e i Brand X) e poi pubblicava dischi come solista. Aveva recitato in alcuni film. E le cronache rosa parlavano della fine del suo matrimonio. Era dappertutto. Another Day in Paradise era stata fortemente criticata perché parlava dei senzatetto da uno che viveva nel lusso, cioè che non gli interessasse davvero dei problemi della povertà e fare critica sociale ma solo avere un argomento per cantare una canzoncina. Inoltre era quello che aveva trasformato i Genesis in un gruppo pop, motivo per cui era stato definito “l’uomo più detestato del rock.”
    Molte di queste critiche erano ovviamente gratuite ed esagerate.

    1. Sì, di tutte queste critiche ne avevo sentito parlare, però ho preferito ometterle nel post per non mettere troppo in luce l’esagerato “aspetto gossip” riguardante la sua persona. Quanto alla canzone Another Day In Paradise, non era comunque la prima volta che Collins trattava, insieme ai suoi compagni, di un argomento simile. In questo momento ad esempio mi viene in mente “Tell Me Why” di We Can’t Dance, che se non erro parla del problema della fame.
      Però, con riferimento alle critiche, anche l’intero gruppo inglese ne ricevette parecchie quando nell’album Genesis crearono la hit “Illegal Alien”, che invece tratta il tema dell’immigrazione in un modo decisamente troppo leggero.
      In effetti, all’inizio non sospettavo neppure che la canzone trattasse di tale tematica; inoltre il video ufficiale che ne avevano costruito è a mio parere fin troppo scherzoso. In quel caso, temo proprio che le critiche rivolte ai Genesis fossero giustificate.
      Ad ogni modo, personalmente ribadisco di amare sia Collins che Gabriel, anche se per la produzione da solista preferisco il batterista.

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