(La mia) Estate in Musica

 «All hands on deck, we’ve run afloat!»

(Che tutti diano una mano, stiamo andando alla deriva!)

 

Procol Harum – A Salty Dog, 1969

 

Da tantissimo tempo non parlo di musica. Questo blog, a dire il vero, mi è diventato quasi estraneo negli ultimi mesi, complice il fatto di aver dovuto assolvere dei compiti (se così può definirli una studentessa di ventitré anni che dovrebbe masticare più che naturalmente lo studio senza fare storie!) non troppo gravosi ma comunque piuttosto fastidiosi, il più delle volte. La scrittura, però, non mi ha mai totalmente abbandonata, anzi. In realtà, almeno al momento, è l’unica cosa che riesce a dare un senso alla mia vita  (musica a parte). In effetti la stesura di un romanzo che, un bel giorno, spero di far uscir fuori dalle piattaforme di scrittura in cui adesso è alloggiato, mi ha spesso allontanato dal dedicarmi nuovamente a questo spazio, un tempo reputato come la mia principale nicchia di post.

C’è stato un periodo in cui, a tutti gli effetti, non facevo altro che pubblicare e pubblicare fino alla nausea, parlando di tutto un po’. Avevo più motivazione, diciamocelo chiaramente. O forse, qualche anno fa la mia vita era più, ehm… come dire… più interessante? Per certi versi… penso di sì. A ogni modo, ora come ora le mie principali fissazioni vertono soltanto sulla mia adorata musica. Per dirla brutalmente, non saprei di cos’altro parlare su questa piattaforma, ho smarrito un po’ la strada. La ritroverò mai? Questo non so dirlo. Se avrò qualcos’altro di interessante da raccontare? Be’, magari il tempo ce lo dirà.

Come ogni estate, mi sono prodigata ad ascoltare tanta musica. In verità, questi mesi sono stati molto impegnativi e impregnati di una buona dose di caos, ragion per cui non sono riuscita a organizzarmi per nulla. Solitamente, ogni estate sceglievo di ascoltare un gruppo specifico e partivo dal primo album, fino a conoscerne l’intera discografia. Ebbene, saranno quasi due anni che non mi abbandono più a questo emozionante rituale. E nemmeno nel campo della lettura va troppo bene: devo ancora ultimare Il peccato dell’angelo di Charlotte Link… Spero tanto di poter rimediare da domani in poi leggendo almeno un altro paio di libri (dato che, per ben due settimane, soggiornerò in quel di Montesilvano con la mia famiglia).

Tornando all’argomento di questo post: cosa ho ascoltato quest’estate? Un po’ di tutto. Dai soundtracks dei film o delle serie TV (sì, adoro le composizioni strumentali), a canzoni di varie band… del passato, ovviamente! Grazie a Spotify, devo dire di aver scoperto davvero tanti brani che, del tutto casualmente, sono diventate le mie hit estive.

Partiamo dalla prima band: i Procol Harum.

Questi cinque ragazzi, dal look squisitamente d’epoca (per certi versi stravagante), fondarono uno dei primi complessi musicali inerenti al progressive rock. Il termine Procol Harum deriva dal latino (in realtà, si tratta di una leggera storpiatura dell’espressione Procul Harum, che significa “lontano da queste cose”). Potrebbe far sorridere il fatto che il gattino di un amico del produttore musicale Denny Cordell si chiamasse proprio Procul Harum: perciò, il nome della band gli è stato, per certi versi, suggerito da un innocente felino. La band fu fondata nel 1967. I primi esponenti della stessa furono: Gary Brooker, Roben Trower, B.J. Wilson, Matthew Fisher, Dave Knight. Forse, tutto questo non potrebbe dirvi un bel nulla. Ma se vi dicessi che la canzone Senza Luce dei Dik Dik è, in realtà, una cover del brano A Wither Shade Of Pale dei Procol Harum? Ebbene sì: io ho scoperto questo dettaglio soltanto quest’estate, e ne sono rimasta davvero sbalordita. Questa canzone fa parte del primo album del gruppo: a essere sinceri, la versione italiana la trovo un po’ una lagna (per dirla senza troppi giri di parole), ma della versione inglese (sarà che mi piace molto la voce di G. Brooker!) sono letteralmente innamorata!

A ogni modo, non è stata certo questa la prima canzone che ho ascoltato dei PH. Per puro caso, mi sono infatti imbattuta in Pilgrim’s Progress. È stato amore a primo ascolto.

A Salty Dog è il terzo album dei PH, fu pubblicato nel 1969 dalla A&M Records. Devo ammettere che la copertina dello stesso mi ha ispirata non poco, spingendomi ad ascoltare l’intero disco nel giro di poche settimane. L’album è piuttosto eterogeneo: alcune tracce appartengono al filone della musica pop rock – alcune melodie sono molto sbarazzine (tipo Boredom e Juicy John Pink) e mi ricordano vagamente quelle dei Beatles –, mentre altre sono maggiormente legate al prog rock e, quindi, più classiche. La ballata Too Much Between Us, in particolare, la assocerei (per mio puro gusto) a If dei primi Pink Floyd (Atom Heart Mother, ottobre 1970). Entrambe le canzoni sono, in effetti, delle ballate squisitamente malinconiche (forse, per alcuni, sin troppo melense!), condite dall’utilizzo della chitarra classica. La mia fissa numero uno, però, è rimasta Pilgrim’s Progress.


Il testo, scritto da Matthew Fisher e Keith Reid, è probabilmente ispirato al romanzo allegorico The Pilgrim’s Progress from This World, to That Which Is to Come (Il pellegrinaggio del cristiano, 1678) di John Bunyan (1628 – 1688). Il brano, a quanto sembra, si riferisce a un sogno notturno raccontato da un narratore onnisciente e in cui il protagonista cerca di scappare dalla sua terra natale (denominata come Città della Perdizione) per raggiungere la terra promessa, situata sul monte Zion.

 

«…At first I took my weight to be an anchor
And gathered up my fears to guide me round
But then I clearly saw my own delusion
And found my struggles further bogged me down…»

 

«…Inizialmente feci sì che il mio peso fosse un’ancora
Raccolsi le mie paure perché mi guidassero
In seguito vidi chiaramente il mio errore quando scoprii che le mie fatiche mi buttavano giù…»

Pilgrim’s Progress

 

Anche All This More non mi dispiace, ma un’altra canzone che mi ha realmente conquistato è Wreck Of The Hesperus. Il testo della stessa non è particolarmente allegro: questo si ispira all’omonimo poema dell’americano Henry Wadsworth Longfellow (1807 – 1882), pubblicato nel 1842. Il componimento tratta di una violenta tempesta avvenuta nel 1839, anno in cui la nave Favorite naufragò contro la scogliera Norman’s Woe, nei pressi di Gloucester (Massachussets).

 

«…All hope forever lost
One moment’s space,
one moment’s final fall from grace
Burnt by fire, blind in sight, lost in ire…»

 

«…La speranza perduta per sempre
Lo spazio di un momento,
in un’istante precipitammo in disgrazia
Bruciati dal fuoco, accecati, persi nella collera…»

Wreck Of The Hesperus

 


 

La seconda band – anch’essa oggetto di superficiali studi – è, invece, la Electric Light Orchestra (ELO). Questo complesso rock nacque a Birmingham nel 1969, dalle ceneri del gruppo beat (ecco spiegato il perché, la prima volta che li ho ascoltati, pensai subito ai Beatles!) The Move. Mi sono imbattuta in questo gruppo sempre tramite Spotify: le prime due canzoni che ho ascoltato sono state Turn To Stone e Mr. Blue Sky. Il ritmo delle stesse è squisitamente beatlesiano, entrambe le canzoni appartengono all’album Out Of Blue del 1977. In questo album, non manca il rock sinfonico – elemento che, personalmente, mi ha fatto apprezzare maggiormente questo stravagante gruppo! Questo doppio LP, concepito da Jeff Lynne & CO., raccolse molti consensi da parte del pubblico. In particolare Mr. Blue Sky venne utilizzata come colonna sonora di innumerevoli spot pubblicitari, serie TV e quant’altro… Peraltro, io adoro questa vecchia hit!



La mia ossessione vera e propria, però, la si deve ricercare in un altro (concept) album: Eldorado (uscito nel 1974; a quanto pare, questo è stato l’anno dei concept!). La canzone in questione è Can’t Get It Out Of My Head. Visto che mi oggi sono in vena di associazioni (magari pure troppo casuali, ma vabbè) mi piace rapportare questo brano a una stupenda ballata dei Caravan (un’altra mia ossessione di qualche anno fa): The Show Of Our Lives (Cunning Stunts, 1975). Lo schema di entrambe le canzoni (pur presentando le ovvie differenze) è piuttosto ripetitivo, ma, nella loro semplicità, mi hanno folgorata.

Io, comunque, misa tanto che somiglio a Walter Mitty. Eldorado, in effetti, è ispirato alla figura di questo Walter: un uomo che, non tollerando la realtà che lo circondava, si rifugiava spesso nei sogni e nella fantasia. In questa canzone, il protagonista dice di aver sognato la figlia del mare e che il suo “vecchio mondo” non esiste più, complice il fatto di non voler accettare la cruda realtà delle cose.

 

«…Now my old world is gone for dead…»

«…Ora il mio vecchio mondo è morto…»

Can’t Get It Our Of My Head

 

 


 

 

L’ultimo gruppo (anch’esso, di sicuro, non troppo noto!) che vi voglio presentare sono i The Cars. Formatosi nel 1976 a Boston, è guidato dallo statunitense Ric Ocasek. L’album incriminato è Heartbeat City, uscito nel 1984. In effetti, le sonorità dell’album appartengono al pop sound; nello specifico, ci fu un singolo che riscosse un notevole successo anche in Italia (e che io, per inciso, adoro!): Drive. Questa ballata è semplicemente bellissima. Il testo è molto significativo, davvero profondo: ci insegna che non si deve mollare mai la presa, nemmeno quando si fa una bella caduta. Ci insegna quanto sia sbagliato chiudere gli occhi dinanzi a un qualcosa che non ci va troppo a genio. Ci insegna che, nella vita (volenti o nolenti!), pur dovendo spesso contare su se stessi, si ha sempre bisogno di qualcuno. Un qualcuno che ci tenda anche solo la mano, un qualcuno che ci regali almeno un briciolo di speranza, un sorriso sincero che possa mostrarci che, in fondo al tunnel, quella luce dentro di noi non si è mai del tutto spenta.

«Who’s gonna pick you up

When you fall?

Who′s gonna hang it up

When you call?

Who’s gonna pay attention to your dreams?

Yeah who′s gonna plug their ears

When you scream?

Who’s gonna hold you down

When you shake?

Who′s gonna come around

When you break?»

 

«Chi ti rialzerà
quando cadrai?

Chi alzerà la cornetta
quando chiamerai? 

Chi presterà attenzione
ai tuoi sogni?

Chi si tapperà le orecchie
quando urlerai? 

Chi ti terrà stretto
quando tremerai?

Chi ti starà vicino 
quando sarai a pezzi?»

Drive

Pubblicato da Eleonora

Sono una ragazza curiosa dalle molte passioni: amo scrivere, leggere (ovviamente), disegnare fumetti, ascoltare musica - specialmente appartenente al filone del rock progressivo - e ballare, soprattutto i Latino-Americani. Mi piacerebbe molto imparare a suonare il pianoforte, nonché trovare un partner ballerino con cui condividere la mia grande passione per la danza... Lo so, forse chiedo troppo!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *