Triumvirat – Old Loves Die Hard (1976)

Se è vero che, nella vita quotidiana in generale, agli imprevisti di varia natura non c’è mai fine, è anche lecito affermare che non si finisce mai di scoprire gruppi musicali nuovi, pronti ad accendere dentro di te un notevole moto di curiosità. E se è proprio vero che i “vecchi amori” sono così duri a morire, come afferma il titolo dell’album di cui voglio discutere in questa sede, allora il mio amore per il rock progressive sarà per certo destinato a durare in eterno, o quantomeno per molti anni ancora.

Di sicuro, però, in questo caso specifico non si parla di “passioni” che recano in sé un qualcosa privo di corpo e che, sostanzialmente, risulta tanto magico quanto astratto (musica e scrittura, per esempio). Si parla senz’altro di quelle “passioni” vissute e non vissute, così presenti è così vive, così cristallizzate dentro di noi che estirparle del tutto sembra davvero “un’impresa da Dio”; quelle “passioni” destinate, alla fine della fiera, a morire (nei casi più fortunati, però!) proprio perché mai vissute (o magari vissute “a metà”), a non essere mai condivise con un mondo che non sia quello interiore di ciascuno o, al più, con persone davvero fidate. Quelle “passioni” che, in un modo o nell’altro, hanno lasciato un segno indelebile dentro di noi; quel segno che pare scolpito nella pietra. E magari, in alcuni casi, anche un po’ di amaro in bocca.

Eh già, posso dire che il titolo di questo album mi ha colpita parecchio, tanto che ho deciso di ascoltarlo da cima a fondo, così da conoscere meglio questa nuova band. I Triumvirat, a dispetto di quanto credevo all’inizio, non sono altro che un gruppo, o forse sarebbe più corretto utilizzare il termine supergruppo, di origine tedesca, per certi versi rassomigliabile per sonorità classicheggianti e stile − a mio avviso, molto raffinato − alla band inglese Emerson Lake & Palmer (ELP). Da notare, inoltre, un aspetto che forse potrebbe far sorridere: uno dei cantanti de i Triumvirat porta il nome di Barry Palmer. Impossibile, a questo punto, non pensare al batterista Carl Palmer, che invece apparteneva proprio agli ELP! In moltissimi, neanche a farlo apposta, credono che questo gruppo tedesco sia “la brutta copia” della  celebre band summenzionata, ma a mio avviso ci sono comunque molte differenze tra le due, per quanto in alcune canzoni (anche appartenenti a questo album), mi è sembrato effettivamente di “riascoltare” qualche spezzone di Trilogy (luglio 1972) e Take A Pebble (ELP – 1970). In effetti… nemmeno il gruppo si è nascosto dietro una mano, anzi: sono stati proprio loro stessi ad affermare quanto gli ELP e i The Nice li abbiano, in un modo o nell’altro, ispirati musicalmente! Non a caso, Old Loves Die Hard è uscito nel 1976!

Sicuramente, sia Keith Emerson (1944 – 2016) che Hans-Jürgen Fritz utilizzano il piano in maniera assolutamente eccelsa (certo, pure Rick Wakeman degli Yes non scherza affatto!); Emerson, però, è indubbiamente più pretenzioso e forse, in alcune casistiche, sin troppo “autocelebrativo”. Fritz, dal canto suo, è più melodico e meno “pomposo”, nella maggioranza dei casi predilige schemi di gran lunga più semplici. Ci tengo a sottolineare che io adoro Keith (il suo Piano Concerto No. 1 è, a mio avviso, fenomenale!),  per me è semplicemente inarrivabile, e nel momento stesso in cui ho saputo che si era tolto la vita a causa del fatto di non poter più suonare “ai livelli” di un tempo a causa di una grave malattia alla mano destra, che lo costringeva a suonare con solo otto dita, sono rimasta piuttosto male (e altrettanto impressionata) e mi sembrava davvero strano dover ascoltare quegli album sapendo di questa sua tragica morte (ai tempi, avevo appena cominciato a conoscere il gruppo).

Ammetto anche, però, che questa nuova band che ho scoperto su Spotify mi ha veramente colpita. Soprattutto per la cospicua presenza dello “strumento del mio cuore”. Come ormai saprete, nel momento in cui c’è di mezzo il pianoforte, perdo letteralmente la ragione (o quasi!). E quando mi è partita la canzone A Cold Old Worried Lady (che probabilmente rimarrà la mia − nuova − ossessione per un bel po’), ho deciso di ascoltare tutta la discografia di questa prog band (anche se in questo album non mancano sprazzi di pop!). Il gruppo, formatosi a Colonia nel 1969, era composto da tre musicisti, proprio come per gli ELP: il tastierista Fritz, appunto, Hans Bathelt (batteria) e Werner Frangenber (basso). Old Loves Die Hard, invece, è stato il primo album in cui, oltre ai tre citati, figurava anche il britannico Barry Palmer.

La prima traccia del disco è I Believe: “I sold my soul to rock ‘n roll and I never got it back…” (“Ho venduto la mia anima al rock ‘n roll e non l’ho più riavuta indietro). Ecco il primo “vecchio amore” destinato a sfidare le leggi del tempo e dello spazio, e di cui si sono fatti portavoce innumerevoli gruppi appartenenti ai magici anni ’70. Di questa traccia ho apprezzato moltissimo il connubio di voci che l’accompagna. Il protagonista della stessa sembra proprio un giocatore d’azzardo che spera in un colpaccio bello grosso. La parola “money!”, in effetti, viene ripetuta più di qualche volta in prossimità del ritornello. Inevitabilmente, questa canzone mi ha riportato un po’ ai The Alan Parsons Project, che nella suite Turn Of A Friendly Card (omonima al titolo dell’album – novembre 1980) si accinsero a sviscerare la tematica associata alla ludopatia. Gli assoli di pianoforte conferiscono a questa canzone quella componente pop/jazzistica che, a mio avviso, è abbastanza equilibrata con le melodie tipicamente prog delle canzoni successive.

La seconda traccia, A Day In A Life, è una bellissima canzone strumentale. Inizia in sordina per poi catapultarci in un tranquillo, affascinante e magico assolo di pianoforte. Per certi versi e in alcuni punti (quelli di maggior “quiete”), mi ricorda alcune composizioni al pianoforte di Anthony Phillips. Senonché, verso l’ultimo minuto della canzone, il ritmo cambia completamente e, da un’atmosfera calma, romantica e pacata, si passa all’utilizzo della batteria con annessi sintetizzatori. Un totale di otto minuti che passano davvero in fretta!

La terza canzone, in realtà, è una suite divisa in due parti: The History Of Mistery. L’intro al pianoforte di Fritz, come sempre, mi delizia enormemente. Dopo l’intervento del cantante Palmer, si passa a una sezione strumentale che, devo proprio dirlo, mi ricorda sin troppo lo stile degli ELP! Il testo della canzone sembra farsi portavoce di quei dubbi esistenziali a cui tutti, nel corso dell’esistenza, siamo costantemente assoggettati. Ma non solo: si discute altrettanto di violenza e dei conseguenti problemi che nascono da un atteggiamento di profonda aggressività, del pessimismo che, molto spesso, sembra prevaricare sulla speranza e sui buoni propositi. La conclusione del pezzo, in effetti, non è delle più rosee, malgrado la maestosa melodia che scandisce, appunto, la sua fine: “Quindi annega i tuoi dispiaceri nell’alcol, perché non c’è davvero più nulla da dire.” (“So drown your sorrows in your drink / There’s really nothing left to say”). Inutile dire quanto questa fine, per quanto (purtroppo) realistica, rappresenti una delle afflizioni peggiori a cui possa abbandonarsi l’essere umano.


E adesso, veniamo alla mia ballata preferita: A Cold Old Worried Lady. Questo pezzo mi ha conquistata sin da subito. Sarà stato il pianoforte (di sicuro!), la voce delicata di Palmer che però, a un certo punto della canzone, si fa quasi “disperata”, in un perfetto saliscendi in cui il dolore, le speranze e gli altrettanti sentimenti che si celano nel suo cuore (e in quello di tutti) si mescolano insieme per creare un qualcosa di struggente e malinconico al tempo stesso. Il finale, oltretutto, è davvero delicatissimo e non meno romantico. La protagonista della canzone, stando al titolo, è un’anziana donna che gli ha teso la mano nel bel mezzo dell’oscurità. Io credo che questa donna possa rappresentare, in verità, la coscienza di ognuno di noi. Il cantante, in effetti, arriva a domandarsi (e inevitabilmente lo fa anche l’ascoltatore stesso) cosa si sia lasciato indietro, quali siano stati i suoi errori; rimembra tutte le volte che avrebbe dovuto affrontare a viso aperto problemi e difficoltà, rendendosi finalmente conto di come la mancanza di coraggio l’abbia spesso portato ad archiviare desideri o scelte sentite seppur rischiose. E di come tutto questo, inevitabilmente, l’abbia portato a fare i conti con il rimpianto, uno di quei sentimenti tanto logoranti quanto difficili da gestire.


La quinta canzone è Panic On The 5th Avenue. Questa suite, ancora una volta, richiama un po’ lo stile degli ELP, ma è una strumentale che, personalmente, mi ha lasciata davvero senza parole. L’inizio della stessa, che sembra scandito da una sirena ambulante, ci riporta, come da titolo, in una condizione di emergenza e panico assoluto. La sperimentazione coi sintetizzatori, il pianoforte e la batteria contribuiscono al successo di questa suite, a mio avviso ben più originale di The History of Mistery.

La sesta traccia è proprio Old Loves Die Hard. La voce delicata di Palmer accompagnata al pianoforte, come sempre, è musica per le mie orecchie! Per non parlare del ritornello, che mi piace da matti. Il finale? Sempre scandito dal mio carissimo strumento, ovvio! Come appurato dal titolo della canzone, questi fantomatici “vecchi amori” sembrano proprio duri a morire. Lo sa bene il protagonista della canzone, a cui alla fine viene detto: Don’t hide your heart / New love will start”, ovvero: “Non nascondere il tuo cuore, un nuovo amore arriverà.”

L’ultima traccia è Take A Break Today (Prenditi Una Pausa Oggi). Per quanto mi riguarda, una gran bella pausa (meritata, direi!) me la sono già presa nella giornata di ieri, e non soltanto per scrivere questo post (magari tra qualche settimana spiegherò cos’è successo ieri di “così speciale”). La massiccia presenza del sintetizzatore e del pianoforte – suonato un po’ “alla Honky Tonk” – rendono questa canzone la più pop di tutte. E, devo proprio dirlo, mi fa quasi venir voglia di saltellare come una pazza in mezzo alla strada (ho detto quasi!).

Pubblicato da Eleonora

Sono una ragazza curiosa dalle molte passioni: amo scrivere, leggere (ovviamente), disegnare fumetti, ascoltare musica - specialmente appartenente al filone del rock progressivo - e ballare, soprattutto i Latino-Americani. Mi piacerebbe molto imparare a suonare il pianoforte, nonché trovare un partner ballerino con cui condividere la mia grande passione per la danza... Lo so, forse chiedo troppo!

4 Risposte a “Triumvirat – Old Loves Die Hard (1976)”

  1. In effetti The History of Mistery (part 2) ricorda abbastanza l’intro di Karn Evil 9, 1st Impression (part 2) degli ELP.
    Di kraut rock qualcosa conosco, i gruppi prog che ti posso nominare sono gli Eloy e i Ramses.

    1. Anche nell’album Illusion On A Double Dimple (sempre dei Triumvirat) qualcosa degli ELP c’è (e pure degli Yes, a mio avviso), però forse è anche più bello e complesso di questo di cui ho parlato qui, perché si tratta di una suite divisa in due parti, prettamente strumentale e di genere prog…
      Riguardo agli Eloy, avevo sentito qualcosina dell’album Ocean, ma non ero andata oltre ai venti minuti di ascolto (però ricordo che la prima track non mi è dispiaciuta)…
      Dei Ramses, chiaramente non so nulla! XD

    1. A questo punto dovrò riascoltare Ocean, questa volta per intero, visto che ne ho vaghi ricordi…
      Molto interessante la canzone che mi hai proposto, ha proprio un bel ritmo (a dispetto del titolo inquietante XD)!

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