Gruppi di studio (virtuali e non): sì o no?

Ho sempre sognato di far parte di un gruppo di studio (efficiente). Al primo anno di università, in effetti, ho sostenuto i miei primi esami godendo proprio del supporto di qualche studente/ssa che, come me, tentava di barcamenarsi tra la Fisica e la Matematica cercando di non soffrire troppo “le assurdità” a cui incappava. In verità, e come tutti sapete, il primo anno l’ho dedicato “soltanto” allo studio di C. Generale, Fisica I e Inorganica I. All’inizio andavo proprio a braccetto con un paio di studentesse, e questo mi confortava non poco. Se fossi stata completamente da sola con i miei demoni, non so se sarei riuscita nell’impresa di terminare indenne (seppur con qualche strascico mentale) questa prima annata. Ma come tutte le belle cose, queste sono prima o poi condannate all’estinzione. A partire dal secondo anno, è stato più che necessario rimboccarsi le maniche e procedere in solitaria lungo l’impervio sentiero da me scelto. Non che lo volessi, in verità: è capitato e basta. Senza che ce ne accorgessimo (o quasi), il gruppo si è sfaldato (anche perché alcuni facevano parte di diversi canali) e abbiamo cominciato a studiare materie diverse e, quindi, ad avere differenti obiettivi/routine di studio. Una di queste due studentesse, con le quali avevo affrontato le peggiori sfide del primo anno, nello specifico, ha finito per “abbandonare la nave” (o quasi). All’inizio, è stata proprio lei a darmi la spinta necessaria e a non farmi mollare quando io vacillavo, quando non facevo altro che dirle che, molto probabilmente, avrei cambiato strada (complice il primo attacco di ansia non appena mi sono vista schiaffare sotto al naso il libro di Generale, e il non capire una cippa delle lezioni giornaliere di matematichese). Fino a che… a causa di motivi che non sto qui a dire, la situazione non si è ribaltata totalmente. Lei e il suo ragazzo erano un poco più avanti di me (lui si è laureato da qualche mese), sia in termini di conoscenze che per numero di esami, ma alla fine, contro ogni mia previsione, la ragazza in questione ha deciso di lasciare a marcire un po’ gli studi per dedicarsi ad altro (compreso un lavoretto part-time), complice pure l’avvento e la prosecuzione della pandemia (che penso abbia un po’ messo a dura prova la costanza di tutti, la mia compresa!). Al primo anno, avevo pensato ingenuamente che io e lei avremmo sostenuto tutti gli esami insieme fino a che “la laurea non ci avesse separate”; questo pensiero mi aiutava a vedere il tutto da una prospettiva più rosea.

E invece… da un giorno all’altro, mi sono ritrovata a guidare da sola la nave senza saperla guidare, appunto. Per certi versi, avevo perduto “il mio spirito guida” e non avevo idea di come avrei affrontato tutto. In un primo momento, ho pensato che sarebbe stato un disastro (e, per certi versi, lo è anche stato), ma poi mi sono detta che non era la prima volta che affrontavo da sola una qualsiasi difficoltà. Lo avevo fatto fin dalle scuole superiori e, in nome di quel percorso, dovevo farcela a tutti i costi. Certo, l’asticella si era alzata di molto (troppo), ma non potevo lasciare senza provarci. Così, forte di quel pensiero, ho tentato di cavarmela da sola e devo dire che, alla fine della fiera, sono riuscita ad attraccare in molti porti (alcuni più ospitali, altri meno!). Mi sono persino ritrovata a pensare che, se avessi studiato insieme a qualcun altro, avrei finito soltanto per perdere tempo. Perché diciamocelo: un gruppo di studio si può chiamare tale se ci si vede spesso e si collabora altrettanto spesso, altrimenti diventa soltanto un mero “pretesto” per perdere tempo prezioso. Certo, di rado ho studiato insieme all’altra studentessa con cui tuttora mi sento (anche lei, come l’altro ragazzo, ha terminato i suoi esami di recente e si laureerà alla fine del mese corrente…) quando “si beccava” la coincidenza per le verifiche (ben poche volte), però, ho anche maturato il fatto che da soli, in molti casi, si lavora meglio. Il motivo principale è legato soprattutto all’organizzazione: se aspetti “i comodi” dell’altra persona, quasi certamente si finirà per non studiare nulla (anche perché in molti studiano più materie insieme e, sia chiaro, invidio chi riesce e lo trovo lodevole!). Ma mentirei a me stessa se dicessi che, negli ultimi tempi, non ho cercato di inserirmi all’interno di un gruppo con lo scopo di capire meglio C. Organica III, esame che ormai sapete essere particolarmente ostico. Così (anche se con le mie solite remore), approfittando del fatto che una studentessa avesse chiesto su WhatsApp se ci fosse qualcuno disposto a studiare insieme questa materia, ho provato a “infiltrarmi” e… mi sono ritrovata in un gruppo composto da 4 studenti. Com’è finita? Be’, sono passate tre settimane da quando il gruppo è stato fondato e, ora per un motivo, ora per un altro, non siamo riusciti ancora a sentirci via Meet. Nemmeno mezza volta.

In verità, si è scoperto che nessuno di loro (me compresa) aveva realmente “approntato” l’esame, quindi si dovrebbe partire un po’ tutti da zero; il che, lo capite anche voi, è piuttosto scoraggiante. Lo è per me (che purtroppo dovrò farmene una ragione, la laurea slitterà di un po’ di mesi, e lo dico con rammarico), come forse anche per gli altri… Ecco perché non è semplice far parte di un gruppo (efficiente). Le esigenze dell’uno non corrispondono a quelle dell’altro/degli altri, qualcun altro magari è più avanti di te, altri ancora sanno a malapena di cosa parla l’esame e via discorrendo. Insomma, studiare insieme è molto più difficile di quanto si possa credere. E quindi, alla fine… ci si ritrova a dover fare tutto (o quasi) da soli. Tra l’altro, alla fautrice del gruppo mancano i miei stessi esami, e una volta che ci siamo sentite per Inorganica II… mi sono praticamente ritrovata a spiegarle dei concetti basilari e quasi tutta una molecola con la teoria dei gruppi (devo dire che per una volta, però, è stato molto bello aiutare e non essere aiutati!) perché ho scoperto solo allora che lei non aveva ancora visto nulla di nulla della materia. Anche qui, com’è finita? Be’, dovevamo risentirci una settimana fa, ma alla fine non se n’è fatto niente! In verità, ho pensato a me stessa e mi sono detta che non potevo perdere più tempo di quello che già spreco abitualmente (se mi perdo nel mio mondo, è finita), quindi ho deciso, anche stavolta, di procedere da sola verso “la prima meta” (anche perché lei stessa aveva detto chiaro e tondo che la sua priorità sarebbe stata Organica). In fondo… ci siamo abituati, no?

La verità (amara), è che, a mio parere, per costruire un buon gruppo di studio, si dovrebbe perlomeno aver visto parte del programma dell’esame che si vuole sostenere. Altrimenti, si sa bene come va a finire. Stamattina, però, ho deciso di sondare il terreno e scrivere sul gruppo per vedere come procedevano le cose con Organica III. Sì, diciamo che per questa materia avrei davvero bisogno di qualcuno che ci capisce, o che perlomeno mi incanali verso una strada che mi permetta di passare l’esame (che è tanto vasto quanto ragionato, ahimé!).

Il fatto che, però, gli studenti in questione avessero mantenuto il perfetto silenzio per ben tre settimane, ha riaperto in me una sottospecie di vaso di pandora, che mi ha fatto ritornare ai vecchi tempi, precisamente al quinto anno del liceo. Ricordo che non fu un anno particolarmente felice: già vedere affissa sulla porta dell’aula la scritta 5C Linguistico, mi faceva venire il magone. Non avrei più “vissuto” tra quelle quattro mura, tantomeno avrei goduto dell’atmosfera familiare che ormai, da cinque anni a quella parte, mi aveva tenuto stretta a sé, avvolta come il più caloroso degli abbracci. Cambiare ambiente non sarebbe stato facile, tantomeno maturare e affrontare la vita a muso duro. La paura del futuro, poi, era molto presente (non che ora sia tanto diverso, ma diciamo che da un po’ cerco di “vivere alla giornata” senza farmi problemi inutili).

Ma al di là dell’affetto che nutrivo nei confronti dell’ambiente scolastico, nella mia classe l’atmosfera era completamente diversa (e lo è stata per tutto il triennio, in realtà). O almeno, lo era nei miei riguardi. Non ho mai parlato nello specifico della situazione che vi regnava, dei “compagni” (che, purtroppo, non ho mai considerato davvero tali, ma la cosa era reciproca) con cui mi ritrovavo a condividere parte della giornata. Forse, al liceo “la vera me” non è mai uscita fuori proprio perché, timidezza/riservatezza a parte, non ho mai avuto “gli stimoli giusti”. Ma cosa c’entra questo con il “Gruppo di studio di Organica 3”? Be’, l’esperienza vissuta al quinto anno del liceo e che mi accingerò, a grandi linee, a raccontarvi, non ha particolarmente alimentato la mia fiducia nei riguardi degli altri, tant’è che, non appena incontro una persona nuova, mi chiedo spesso (se non sempre): Posso davvero fidarmi? Oppure (quando le cose vanno – quasi mai, eh! – troppo bene!): Dove sta la fregatura? — [Ergo: mi fido, sì, ma sempre con riserva!]

Insomma, che l’apparenza inganna lo sapete meglio di me, no? E io, questa mattina, sulle prime ho pensato: ma non è che questi studenti di Organica hanno creato un altro gruppo e si stanno sentendo “senza di me”? Ora… a me questo pensiero è venuto di getto e non ci ho creduto affatto (in realtà ci ho riso su), chiaramente, anche perché non conosco nessuno dei tre studenti, e non avrebbero alcun interesse nell’escludermi, anzi! Qualcuno potrebbe pure prendermi per “scema”, diciamo, ma la verità è che il mio, del tutto inconsciamente, è stato un pensiero che è nato a seguito della brutta esperienza del quinto liceo. La gita a Praga è stata, nello specifico, la peggior gita mai fatta con la classe. Lungi da me dal raccontare i dettagli (se lo facessi, dipingerei in un modo troppo orribile i suddetti “compagni”), ma posso solo dire che, una volta ritornata da quell’inferno, io mi sono chiusa a riccio ancora di più, e più di qualche professoressa si era accorta di questo mio atteggiamento.

Se fino a qualche tempo prima, nonostante tutto, aiutavo volentieri chiunque avesse bisogno di una mano perché mi faceva sentire utile (e perché inconsciamente, speravo forse di “essere finalmente accettata” dal gruppo classe), poi ha cominciato a pesarmi, e non poco. Mi ritrovavo quasi a storcere la bocca, se la docente di filosofia o qualcun’altra mi chiedeva di prestare gli appunti a qualche alunno/a, che magari era stata assente (no, in quel periodo non mi sono affatto premurata di nascondere la mia riluttanza in merito). Per farla breve, di mia sponte non ho aiutato più nessuno, nemmeno mi facevo più volontaria per le interrogazioni (non che lo facessi per loro, però, a ben vedere, aiutando me togliendomi “le zavorre” era come se aiutassi anche loro). A dire il vero, nessuno si è più azzardato a chiedermi qualcosa.

Nonostante quelle assemblee di classe organizzate appositamente per me perché io, a detta loro, studiavo troppo e dovevo “abbassare i miei standard”, oltre al fatto di dovermi (DOVERMI!!!) rifiutare di fare i compiti che la docente del terzo anno di francese ci assegnava perché, sempre a detta loro, lei provava “troppa simpatia” per me (???), nonostante le volte in cui, due minuti dopo averli aiutati mi parlavano alle spalle, nonostante fosse loro dovuto che magari qualcuno a caso andasse per forza volontario alle interrogazioni malgrado non se la sentisse (per quest’ultima cosa successe, all’inizio del terzo anno, una diatriba infinita), nonostante altre cose ben peggiori (in particolare, c’erano quattro ragazze che “comandavano” a bacchetta la “banda”), io non mi sono mai abbassata a quelle idiozie (tantomeno alle cattiverie) e ho studiato sempre di più, (anche perché la mia realizzazione stava proprio in questo!) Ma nemmeno mi sono privata di aiutarli, sempre covando la segreta speranza che magari prima o poi, in qualche modo, “sarei stata apprezzata” (ah, quante illusioni sprecate!).

Ma al quinto anno, ho detto finalmente basta. Quella gita a Praga era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso, ma… quello che ho saputo di lì a qualche mese, è stato forse peggio (e mi ha reso conto di tutta l’indifferenza che stavo riservando loro). Da un po’ di tempo, sul gruppo WhatsApp della classe non veniva più scritto nulla: nessuna scemenza, nessuna domanda inerente ai compiti… niente di niente. Un bel giorno, per puro caso, parlando con l’unico compagno con cui mi trovavo un po’ d’accordo, mi è caduto l’occhio sul suo cellulare e… indovina indovinello? Solo in quel momento (lui, almeno, avrebbe potuto dirmelo ben prima, ma vabbé), mi sono accorta che la classe aveva costituito un nuovo gruppo, dove io non figuravo, chiaramente. Ma non è tutto: uno di quei giorni (mancava pochissimo alla maturità), tutti gli studenti erano stati convocati dalla professoressa di Filosofia (o lo fecero loro?) in un bar vicino la scuola (per parlare dell’esame stesso); l’unica a non esserci andata ero stata io. E tutto perché io non ne sapevo nulla, dato che “i miei compagni” si erano accordati tramite l’altro gruppo, e nessuno si era degnato di dirmi che c’era quell’incontro (be’, non sia mai che qualcuno si distingua dalla massa!). Non ricordo bene come, ma alla fine scoprii la cosa e chiaramente dovetti parlare con la professoressa in questione, che venne a conoscenza di tutti gli altarini, compresi quelli della gita a Praga…

Comunque… non pensiate che mi compiaccia nel parlare di queste cose, anzi. Io ho comunque dei ricordi bellissimi del liceo (e lo rifarei daccapo, con tutte le complicazioni del caso!); e non penso quasi mai alle delusioni/sfide difficili che mi ha riservato! Una cosa, di sicuro, l’ho imparata: questa esperienza mi ha insegnato a diventare più forte, a credere di più nei miei mezzi e a non darla vinta a chi, invece, vorrebbe vederti triste o debole a causa delle sue stesse azioni o parole! E io, proprio alla luce del mio amore per lo studio, del non volerla dare vinta alla classe (e forse, in fondo in fondo, anche per farli rosicare un po’!), ho fatto di tutto per cercare di conseguire una valutazione che mi ripagasse di ogni sacrificio e che testimoniasse che loro non avevano avuto alcun potere su di me.

E così, siamo arrivati fino a qua… e la morale della storia resta una: fidarsi degli altri non è mai facile (già non lo è di se stessi, quindi figuriamoci!), trovare la compagnia giusta (e quindi costruirsi una “cerchia affidabile” e senza “rivalità” di sorta – eh sì, qualcosa di spiacevole mi è capitato anche all’università!) lo è ancora meno… Gruppi buoni, di sicuro, ce ne sono, ma come detto all’inizio, bisognerebbe essere “sempre sul pezzo” per definirli tali… Io, ora come ora, posso solo sperare di cavarmela da sola almeno per quasi tutti gli argomenti inerenti ai due esami (almeno per Inorganica, ci sto lavorando!). Ma l’idea resta quella: spero, magari più in là, di potermi comunque confrontare almeno con un’altra persona su Organica III e di cavare un ragno dal buco per quegli argomenti che, nella mia testa, appaiono tuttora come una massa informe e priva di senso!

Pubblicato da Eleonora

Sono una ragazza curiosa dalle molte passioni: amo scrivere, leggere (ovviamente), disegnare fumetti, ascoltare musica - specialmente appartenente al filone del rock progressivo - e ballare, soprattutto i Latino-Americani. Mi piacerebbe molto imparare a suonare il pianoforte, nonché trovare un partner ballerino con cui condividere la mia grande passione per la danza... Lo so, forse chiedo troppo!

2 Risposte a “Gruppi di studio (virtuali e non): sì o no?”

  1. Io di norma ho sempre studiato da solo. Andavo alla sala studio della biblioteca della mia città, alcuni che la frequentavano già li conoscevo, altri ci si conosceva col tempo – di vista o più personalmente – però studiavo da solo, perchè studiavo estremamente concentrato, senza cazzeggiare come altri. A volte andavo alle sale studio vicino l’università, anche con dei compagni di corso, però non spesso, perché magari non si studiava per lo stesso esame, e comunque la biblioteca era vicino casa. Ciò che non ho mai fatto invece sono i gruppi di “supporto”, per un esame.
    Anch’io alla gita di quinta liceo sono andato a Praga. E ti capisco…
    In quarta ho capito che dei miei compagni mi ridevano alle spalle (ma anche in faccia). Non ho mai legato particolarmente con loro, perché i miei amici erano fuori dal liceo, ma in un periodo ci siamo avvicinati, salvo poi capire di aver sbagliato a dar loro fiducia, e ci sono rimasto male. Ma non a lungo: non era gente di cui mi importasse davvero.
    Piuttosto al quarto anno di università ci rimasi malissimo quando un mio compagno di corso mi avvertì di stare attento a un nostro compagno, che alle spalle parlava male di me. Pensare che con lui avevo legato molto, specie per la comune passione musicale. E l’anno dopo la mia ragazza dell’epoca mi disse che aveva conosciuto una mia compagna di corso, che le aveva parlato male di me (e con questa ci avrò parlato sì e no una volta sola).
    E sai una cosa? Anni dopo sul lavoro una mia collega, oltre a vessarmi (vero e proprio mobbing orizzontale), alle spalle faceva commenti sgradevoli su di me ad altri colleghi.
    E potrei dirti che ho trovato persone del genere anche nel gruppo di lettura della biblioteca che frequentavo, finché non ho retto più e non me sono andato.
    Temo purtroppo che siano cose che ci si porta dietro in ogni fase della vita. Purtroppo non ho la ricetta magica, però si incontrano anche tante belle persone. Certo, alla lunga sono più quelle che ti hanno deluso a cui ripensi, però ti accorgi anche che te ne importa sempre meno, e che non ti scalfiscono più che tanto.

    1. A me ultimamente sta prendendo la fissa di andare nella biblioteca del mio paese per ascoltare “i video sacri” (li ho battezzati così per il semplice fatto che ormai vivo solo di quelli e non esiste altro, le lezioni sono spiegate tutte con questi), dato che a casa (ahimé) mi distraggo spesso. Purtroppo, però, non sono affatto brava a studiare in silenzio e dovendo ripetere a voce alta mentre scrivo le cose non potrò andarci tutte le volte che vorrei. Anche io, comunque, me la sono quasi sempre cavata da sola e ormai mi sono abituata, quindi non è più pesante come agli inizi.

      Capisco bene quando dici, riguardo alla tua esperienza liceale, che non ti interessava più di tanto dell’opinione che i compagni avevano di te. Effettivamente, io ho sofferto “veramente” della cosa soltanto agli inizi, perché poi ho imparato a farmi scivolare tutto addosso, in fin dei conti non avevo nulla da spartire con loro (né loro con me, figuriamoci); come dici tu non erano persone alle quali tenessi in particolare (io le mie due ex migliori amiche le avevo avute dall’asilo alla terza media; quelle sì, che sono state una grossa delusione!).

      Riguardo al resto, vediamola così: siamo sicuramente diventati più forti e poco interessati alle critiche che in futuro possono muoverci (al di là dell’autocritica che uno cerca sempre di farsi per tentare di migliorarsi)!
      Forse anche un pochino più diffidenti nei confronti degli altri, ma (viste le delusioni e annesse sofferenze) ci sta.
      Mi dispiace che tu abbia avuto esperienze negative anche sul lavoro, purtroppo l’invidia è una brutta bestia e il suo spettro aleggia ovunque.
      Però concordo con te anche sul fatto che ci siano tante belle persone: io, come tutti, ne ho incontrate, anche se nel mio caso sono stati perlopiù insegnanti. Di alcuni ho davvero un caro ricordo; se (malgrado tutto) sono riuscita a godermi gli anni liceali con entusiasmo, in larga parte lo devo proprio a loro, nonché all’amore e alla dedizione per lo studio che ho sempre nutrito e che negli anni (anche qua grazie a loro) è cresciuta.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *