Scoperte musicali casuali (e non…)

Ebbene sì, la famigerata seconda parte del post inerente il mondo musicale che vi avevo promesso nel lontano mese di Dicembre ha finalmente “preso vita”, facendo il suo ingresso in questo fatidico 3 di Marzo. In questo post, raggrupperò quanto ho omesso negli “Speciali” precedenti, ponendo particolare attenzione anche alle cosiddette “opere minori” che di progressive non hanno poi molto ma che nel contempo si sono rivelate, per molti aspetti, decisamente sorprendenti. Per cui vi avverto… Il seguente post sarà davvero molto lungo!

 


 

Ottobre 1969

 

Kingdoms crops so fresh and pure are going out of season…

 

(“Le colture dei regni così fresche e pure stanno andando fuori stagione…”

Kings And Queens
Renaissance
Renaissance

Il gruppo Renaissance, nato dalle ceneri degli Yardbirds, era inizialmente composto dai seguenti membri: Keith e Jane Relf, Jim McCarty, John Hawken e Louis Cennamo. Annie Haslam, la famosa vocalist che avrebbe reso celebre la band, arriverà soltanto tre anni dopo, esordendo con “Prologue”, uno dei dischi migliori dei Renaissance. Anche l’album omonimo d’esordio, però, non scherza affatto. I cultori di musica classica, infatti, apprezzeranno sicuramente la presenza preponderante del pianoforte di Hawken (in futuro verrà sostituito da John Tout), che sarà una costante in quasi tutta la loro discografia.

Già a partire dalla prima track, “Kings And Queens”, ci si perde beatamente nell’assolo di tastiera iniziale, il quale ci permette di entrare in un mondo nel quale la storia medievale e i suoi eventi diventano gli indiscussi protagonisti, in un contesto favolistico popolato da miti, leggende, personaggi immaginari appartenenti proprio al mondo delle favole, come Scheherazade, la fanciulla protagonista de “Le mille e una notte” che verrà citata in “Scheherazade & Other Stories” del 1975, da molti considerata la pietra miliare del gruppo.


Ottobre 1973

 

“…Man is born with the will to survive
He’ll not take no for an answer… He will get by, somehow he’ll try
He won’t take no, never let go, no!”

 

(“L’uomo è nato con il desiderio di sopravvivere e non accetterà un ‘no’ come risposta. Egli se la caverà, in qualche modo ci proverà, non accetterà un ‘no’; mai arrendersi!”)

Never Let Go

 

Camel
Camel

L’album omonimo di esordio dei Camel, uno dei gruppi fondatori della “Scena di Canterbury” non fu certamente considerato come un prodotto di eccezionale qualità, un disco che potesse essere di buon auspicio per la carriera di un gruppo il cui capostipite per eccellenza fu il chitarrista Andy Latimer. O almeno, questo è quanto credeva la MCA Records, casa discografica che si occupò della promozione del primo disco e che abbandonò i nostri protagonisti senza pensarci due volte, a cagione dell’insuccesso commerciale ottenuto dallo stesso.

Complice il netto ritardo dell’ingresso dei Camel all’interno “dell’universo prog” rispetto ad altri gruppi già affermati, la band incontrò non poche difficoltà, durante il proprio percorso artistico. Ma a distanza di un anno, la Decca Records si assumerà l’egregio compito di condurre la band al tanto agognato successo, fermamente convinta del suo potenziale. Il primo disco della band rappresenta un buon concentrato di rock psichedelico condito da elementi di rock progressivo, sebbene lo stesso si riveli abbastanza distante dal futuro sound che Latimer e compagni adotteranno a partire dal secondo album in studio, “Mirage”.

La traccia cardine dell’album è sicuramente “Never Let Go”, il cui “refrain” è nominato nella citazione introduttiva. Il vocalist della stessa è Peter Bardens e questo potrebbe inizialmente suscitare in noi una sensazione di sorpresa.  La vocalità di Bardens, in effetti, non è una di quelle voci che “permangono nella memoria” degli ascoltatori, ma se è per questo nemmeno gli altri membri del gruppo possono vantarne una altrettanto convincente. Insomma, il loro stile vocale risulta decisamente pacato, se confrontato con quello aggressivo di Peter Gabriel o di Peter Hammil, tanto per fare degli esempi.

Ma a livello compositivo e/o strumentale, la band ci regala indubbiamente il meglio di se stessa. A parer mio, non si può non innamorarsi della loro maestria e raffinatezza e di quella genuina malinconia che nascondono le molteplici tracce che compongono gli album – nonché delle sublimi interpretazioni scandite dalla chitarra di Latimer, coniugata agli altri strumenti -. La copertina dell’album è molto curiosa e raffigura una sorta di “treno-cammello” che si appresta ad entrare all’interno di una galleria, sotto un cielo stellato. Ma in essa campeggia un dettaglio che di certo non sarà sfuggito ai più attenti osservatori. Il cammello è in lacrime.

Saranno lacrime di dolore o di gioia? Chissà, magari il sound spensierato e a tratti malinconico dell’album potrebbe fornirci una risposta che contempli entrambe le possibilità.

29 Ottobre 1979

Se mi sono innamorata dei Camel, lo devo certamente a questo album: “I Can See Your House From Here”. Un album dalle solide atmosfere pop/rock, attorniato da una sublime melodia che a tratti ricorda il rock progressive. Ma ammettiamolo: gli “sprazzi prog” sono in tal caso decisamente ridotti ai minimi termini e i cultori del suddetto genere storcerebbero di sicuro il naso, trovandosi d’accordo con il bistrattamento del disco da parte della critica. La strumentale “Ice” è però una composizione di alto livello, un componimento della durata di dieci minuti che ci lascia col fiato sospeso.

I primi due minuti (a mio avviso i più sublimi), intrisi di una bellezza malinconica, sono scanditi dalla chitarra classica di Latimer e dalla timida presenza del pianoforte di Jan Schelhaas (o di Kit Watkins) che la accompagna. A partire dal minuto 1’43”, la canzone subisce un cambiamento di ritmo che conferisce al pezzo una discreta solennità manifestata attraverso l’utilizzo della chitarra elettrica e della batteria di Andy Ward.

L’eleganza e la maestosità della track crescono a dismisura culminando nell’ottavo minuto, quando si ripresenta nuovamente la chitarra classica, che ne cadenza il malinconico finale. Quanto alla copertina dell’album, la stessa è davvero inquietante e non credo abbia bisogno di ulteriori spiegazioni. Degne di nota la presenza dei celebri musicisti Mel Collins e Phil Collins, collaboratori atti al completamento dell’album.

Ottobre 1971

 

“The killer lives inside me: I can feel him move…

…The angels live inside me: I can feel them smile…”

 

(L’assassino vive dentro di me: posso sentirlo muovere…

…Gli angeli vivono dentro di me: posso sentirli sorridere…)

Man-Erg

 

Van der Graaf Generator
Van der Graaf Generator

Fu durante un pomeriggio di fine Ottobre che mi decisi ad ascoltare “Pawn Hearts”, famoso album dei Van der Graaf Generator capeggiati dall’eccentrico Peter Hammil. La mia prima impressione? Ci troviamo certamente di fronte ad un gruppo profondamente diverso dagli altri, al cospetto di una tipologia di rock progressive tetro, oscuro, assai lontano dalle atmosfere magiche e favolistiche che si incontrano negli “album genesisiani”, per esempio. Devo proprio ammettere che nel momento esatto in cui ho ascoltato “Man-Erg”, il mio cuore non ha potuto trattenersi da un’emozionante sorpresa. Peter Hammil è un vocalist eccezionale. Un frontman la cui follia mi sembra addirittura superiore a quella di Peter Gabriel (il che è un tutto dire!)

Per non parlare della copertina del suddetto album… Un’esplosione di colori dai toni freddi e spaziali, popolata da grotteschi personaggi. Un connubio perfetto con tutte le tracce dell’album e che si sposa perfettamente con l’intro del pianoforte di Hugh Banton, il quale ci fa innamorare all’istante di Man-Erg, almeno fino a quando… Peter Hammil “non impazzisce”, abbandonandosi ad una vocalità che non sembra nemmeno essere la sua, se paragonata a quella iniziale, che si mostra angelica e profondamente delicata. Ma il preludio di questa sua “pazzia” è testimoniato dalle primissime righe del testo della track riportate nell’introduzione, da quell’affermazione cui si cela la natura oscura di cui ciascuno di noi è provvisto e che, da un momento all’altro, potrebbe prendere il sopravvento se non siamo razionalmente consapevoli della sua esistenza. Eccoci, dunque, dinanzi allo schietto – quanto spudorato – spiattellamento “dell’altra faccia della medaglia”, di quel lato “distorto” di cui noi stessi abbiamo paura ma che intrinsecamente ci appartiene.

Questa è, dunque, la musica dei VDGG. Una musica dai toni particolarmente indigesti (soprattutto agli inizi), assai “difficile” e non di immediata comprensione (né classificazione), soprattutto dal punto di vista stilistico. Insomma, ci troviamo decisamente all’interno di un mondo proiettato nel futurismo, “nell’angoscia del vivere”, nel profondo esistenzialismo che soltanto degli esperti in campo filosofico potrebbero forse spiegarci. Ad ogni modo, il mio approccio all’ascolto di questo gruppo è davvero agli esordi, per cui potrò esprimerne un’opinione decisamente più esaustiva soltanto in futuro.

7 Ottobre 1982

 

“Know who you are… There’s a world wants to know you… Know where to go… There’s a world wants to touch you…”

 

(Conosci te stesso… C’è un mondo che desidera conoscerti… Devi sapere dove andare… C’è un mondo che vuole toccarti…)

Know Who You Are

 

Supertramp
Supertramp

Forse in molti crederanno che io stia esagerando, ma aver scoperto i Supertramp per me è stato come essere d’improvviso catapultata all’interno di un multiverso completamente nuovo. Un multiverso felice e spensierato costituito dalla magnifica voce di Robert Hodgson – coniugata a quella di Rick Davies – e dalle incredibili atmosfere musicali che profumano di fresco, di una genuina e tagliente ironia mescolata ad un’altrettanta dose di leggerezza che li rende un gruppo decisamente atipico, seppur anch’esso annoverato nel filone del rock progressivo.

In realtà, ci basterebbe ascoltare alcune loro hit di successo (in particolare quelle afferenti all’album cardine della loro carriera “Breakfast In America”) al fine di inquadrare i Supertramp all’interno di un contesto nel quale “lo sfarzo compositivo” che si respira nelle suddette tracce potrebbe risultare deliziosamente accattivante oppure spaventosamente irritante. Questa sorta di “doppia angolatura” catalogante le suddette track divide, perciò, gli appassionati di rock progressive in due fazioni. Gli estimatori del gruppo difenderanno a spada tratta “lo stile supertrampiano” – uno stile indubbiamente trascinante che spesso crea dipendenza – mentre i “superfedelissimi” al rock progressive puro potrebbero spesso ritrovarsi a storcere il naso.

Dal canto mio, sento di appartenere alla prima fazione. Il motivo? Ve ne sono molti, in verità. In effetti, a seguito dell’ascolto di alcuni album, non è difficile convincersi dell’ottima qualità degli stessi. Certo, in molti di essi si respira un’atmosfera decisamente “commerciale”, ma nella discografia del gruppo non mancano di certo delle tracce prettamente progressive (come nei primi album Crime Of The CenturyCrisis? What Crisis?).

Il pianista autodidatta Davies e il frontman Hogdson – che, peraltro, in alcuni momenti mi ricorda Jon Anderson – sono, in effetti, i principali fautori delle molteplici ballate pop/rock composte da quei ritornelli che molte volte ti entrano nella testa, rimanendoci per parecchie settimane. A mio avviso, le suddette canzoni hanno un qualcosa di speciale, una sorta di raffinatezza che non le rende affatto banali, malgrado i testi delle stesse non trascendano nel favolistico, nel sacro o nel profano come nel caso di altri gruppi celebri.

Insomma, ormai l’avrete capito. Non sono ancora riuscita ad inquadrare del tutto i motivi per i quali nutro questa sorta di passione nei confronti dei Supertramp, ma di sicuro la loro versatilità e nel contempo diversità rispetto ad altre band li rende davvero originali ai miei occhi. L’album “…Famous Last Words” (ricco di tracce interessanti) è, purtroppo, l’ultimo lavoro nel quale è presente il solista Hodgson. A seguito della sua dipartita, sarà Davies a prendere in mano le redini del gruppo, trascinandolo “in un ciclone” costituito da sonorità profondamente diverse da quelle cui si è solitamente abituati. Basterebbe, in effetti, ascoltare la hit Cannonball dell’album Brother Where You Bound (1985) per capirne l’entità.

Ma quando (e soprattutto come) sono nati i Supertramp?

L’origine del gruppo britannico è in realtà piuttosto insolita. Nel 1969, un miliardario olandese di nome Stanley August Miesegas, detto “Sam”, rimanendo profondamente colpito dalle performances vocali-pianistiche di Rick Davies, decide di offrirgli l’opportunità di formare una propria band previo finanziamento dello stesso “mecenate”. La carriera musicale della band ebbe dunque inizio proprio nello stesso anno, tra genuine speranze ed impervie difficoltà che, di primo acchito, sembravano essere ineluttabili.

Eppure, la perseveranza – nonché quella ventata di ottimismo – mostrata da Davies e compagni li ripagherà appieno con Crime Of The Century nel 1974  (a distanza di quattro anni dal primo album), riuscendo finalmente a guadagnarsi un posto “tra i giganti” del prog-rock. Il nome del gruppo, suggerito dal chitarrista Richard Palmer, è ispirato ad un romanzo di W.H. Davies, “The Autobiography Of Supertramp”.

11 Ottobre 1990

 

“Freudiana, do you want to be somebody?
Freudiana, do you want to change the world?”

 

(“Freudiana, desideri diventare qualcuno?

Freudiana, desideri cambiare il mondo?”)

Freudiana

 

Alan Parsons Project
Alan Parsons Project

L’album “Freudiana”, pur non appartenendo ufficialmente alla discografia degli A.P.P. , viene a tutti gli effetti considerato come un prodotto del duo Wolfson-Parsons. Sono moltissimi gli artisti che parteciparono alla creazione di questo concept il cui protagonista, come suggerito dal titolo, è lo psicanalista austriaco Sigmund Freud, uno dei padri fondatori della psicologia. Nonostante l’interessantissimo tema, Parsons non si è mai ritenuto soddisfatto del risultato. Benché “Freudiana” fosse sbarcato anche in teatro nelle vesti di musical, l’artista non mancò infatti di affermare:

 

“Non c’è abbastanza musica rock genuina nei teatri: per averne un esempio bisognerebbe tornare a ‘Tommy’, negli anni Sessanta”. 

 

Le tracce del concept sono numerosi e trattano le seguenti tematiche:

 

  1. The Nirvana Principle – strumentale
  2. Freudiana (un’introduzione al mondo di Freud)
  3. I Am A Mirror (la funzione dello psicanalista)
  4. Little Hans (il più giovane paziente di Freud)
  5. Dora (una paziente di Freud)
  6. Funny You Should Say That (l’interpretazione dei sogni)
  7. You’re On Your Own (la relazione madre-figlio)
  8. Far Away From Home (altri pazienti di Freud)
  9. Let Yourself Go (Maitre Carchot, il maestro francese di Freud)
  10. Beyond Your Pleasure Principle (dal titolo di un libro di Freud)
  11. The Ring (il regalo dato da Freud ai suoi seguaci)
  12. Sects Therapy (un tranello della psicologia)
  13. No One Can Love You Better Than Me (il complesso di Edipo)
  14. Don’t Let The Moment Pass (un quadro di realismo romantico)
  15. Upper Me (l’ego ed io)
  16. Freudiana (Instrumental)
  17. Destiny (un breve ritorno alla realtà)
  18. There But For The Grace Of God (un inno alla condizione umana)


 Novembre 1970

 

Now she sits by the riverside
Watching the waters glide by,
With a sigh…
And the things she put faith in
Are ripples just waving her by
With a sigh

 

(“Ora siede vicino al fiume a guardare le acque scorrere via,
Con un sospiro…
E le cose in cui ha riposto fiducia sono increspature che solo la agitano
Con un sospiro…”)

Nothing At All

 

Gentle Giant
Gentle Giant

I Gentle Giant nascono dall’idea dei tre fratelli Philip, Dereck e Ray Shulman. Questo gruppo, dallo stile musicale prettamente progressive, è davvero particolare e per ascoltarne le composizioni è necessario armarsi di grande pazienza. In effetti, ammetto di non aver approfondito molto la conoscenza di questa band perché i loro album mi sono apparsi particolarmente indigesti e a tratti, persino noiosi. Sono riuscita ad ascoltare per intero soltanto i primi tre (ed è stato “un mucchio” di tempo fa!), ma non è stata affatto cosa semplice.

In compenso, però, c’è stata una traccia che mi ha particolarmente colpito e la stessa afferisce al primo album omonimo del gruppo: “Gentle Giant”, appunto. La traccia si intitola “Nothing At All”, della durata di ben 9 minuti. Che dire, io lo trovo un pezzo davvero spettacolare poiché ad un certo punto, è possibile ascoltare un prolungato assolo di batteria di Martin Smith (che per analogia ricorda un po’ quello di Ginger Baker – sebbene questo risulti decisamente più energico – nella canzone “Do What You Like” dei “Blind Faith”, della durata di 15 minuti), coniugato alla successiva intrusione del pianoforte di Kerry Minnear.

La copertina del primo album raffigura un vero e proprio gigante dalle fattezze non proprio gentili ma dal carattere squisitamente dolce (o almeno così si dice!); temperamento comprovato dal suo rassicurante sorriso – nonché dalla profondità dei suoi occhi azzurri -.

8 Dicembre 1967

 

I’m looking for a girl who has no face… She has no name, or number

And so I search within this lonely place, knowing that I won’t find her…

 

(“Sto cerando una ragazza che non ha volto… Lei non ha nome, o numero

Così la cerco all’interno di questo posto solitario, sapendo che non potrò trovarla…”)

No Face No Name No Number

 

Traffic
Traffic

I Traffic irrompono sulla scena musicale capeggiati dal ragazzo prodigio Steve Winwood con un classico dall’atmosfera decisamente beat/blues/psichedelica: “Mr. Fantasy”. Di primo acchito, potrebbe essere difficile ascoltare l’album per intero, dato che si tratta di un genere nel quale mancano ancora elementi concreti di rock progressivo. Ma all’interno del disco non mancano delle piccole “gemme”: una di queste è sicuramente “No Face No Name No Number”, struggente canzone d’amore nella quale il protagonista pensa costantemente ad una ragazza della quale non conosce, come detto esplicitamente nel titolo, né il nome, né il numero, né… il volto.

Evidentemente, Winwood ci sta presentando una storia nella quale un ragazzo si ritrova ad essere del tutto prigioniero della propria fantasia, la quale gli prospetta delle possibili realtà che non hanno ancora trovato attuazione concreta (nel qual caso, l’incontro con la ragazza dei suoi sogni). La performance vocale di Steve – ma anche la melodia che fa da sfondo alla track – è degna di nota ed è possibile percepire nell’immediato il sound tipicamente blues di cui la sua voce è dotata, sebbene in tal caso la stessa sconfini nel sublime, interpretando perfettamente il ruolo “richiesto” dalla canzone. All’epoca della creazione del suddetto album Winwood aveva soltanto diciannove anni, eppure il cantante poteva a tutti gli effetti vantare l’esperienza di un professionista. Infatti, il giovane aveva già fatto parte di un’altra band (la The Spencer Davis Group). Il suddetto disco viene comunque considerato una pietra miliare del rock psichedelico, congiuntamente all’album capolavoro “John Barleycon Must Die” (1970), di stampo folk/prog.

3 Dicembre 1965

 

Better leave her behind
With the kids they’re alright
The kids are alright
The kids are alright… The kids are alright

 

(“Meglio lasciarla alle spalle, dove i bambini sono a posto,
I bambini sono a posto.
I bambini sono a posto… I bambini sono a posto.”)

The Kids Are Alright

 

The Who
The Who

Chiunque abbia ascoltato Tommy, Quadrophenia o Who’s Next, rimarrà certamente sorpreso quando si ritroverà ad ascoltare il primo album dei The Who: “My Generation”. Inizialmente, potrebbe sembrare che il gruppo rappresenti la perfetta copia dei The Beatles – sia visivamente che musicalmente – (tanto che, non appena mi sono imbattuta per caso nell’album, quasi non credevo che si trattasse proprio dei The Who!), dato che, nel secondo caso, nelle tracce dell’album si respira un’atmosfera decisamente beat coniugata al rhytm & blues e al rock puro. Sta di fatto che questo album è stato inserito, dalla rivista Rolling Stone, al 237º posto della lista dei migliori 500 album, comparendo anche nel libro “1001 Albums You Must Hear Before You Die”. Risultato analogo ottenne il secondo album – “A Quick One” (Dicembre 1966) – che venne inserito, sempre dalla Rolling Stone, al 384º posto della lista dei migliori 500 album.

Una delle tracce più famose del primo album della band, oltre all’omonima “My Generation”, è The Kids Are Alright”, (di cui è possibile ascoltare uno spezzone anche nella canzone Helpless Dancer dell’album Quadrophenia). Nella track, spicca indubbiamente l’abilità del grande Keith Moon (1946 -1978) – uno dei migliori batteristi di tutti i tempi – il cui apportò sarà di fondamentale importanza nella creazione degli album successivi, che verranno considerati dei veri e propri capolavori di stampo rock/hard rock.

Dicembre 1976

 

Fifty thousand men were sent to do the will of one…
His claim was phrased quite simply, though he never voiced it loud,
I am he, the chosen one.

 

(“Cinquantamila uomini erano stati mandati a morire per volere di uno solo…
La sua richiesta era stata formulata in modo assai semplice, sebbene non a voce alta:
Io sono Lui, l’Eletto.”)

One For The Vine

 

Genesis
Genesis

A conclusione di questo mega articolo a tema musicale, non poteva certamente mancare la punta di diamante, ovverosia i ragazzi (ormai uomini) della Charterhouse School, o meglio…. Chi è rimasto della Charterhouse, ovvero Tony Banks e Mike Rutherford! Phil Collins, ormai vocalist ufficiale della band, sfornerà l’ennesimo capolavoro con l’apporto dei suoi fidi compagni, creando un album dalla straordinaria bellezza: Wind & Wuthering”, in parte ispirato al romanzo della famosa scrittrice inglese Emily Brönte, Wuthering Heights. L’altra meta del titolo dell’album è infatti ispirata ad un brano acustico di Steve Hackett, The House Of Four Winds.

Scegliere la traccia migliore di questo album si rivela un compito assai difficile, ma in base al post sui Genesis prodotto il 1 Gennaio, “One For The Vine” mi sembra essere la soluzione perfetta. Il brano venne creato da Banks e inizialmente sembra che tratti di un leader che comanda il proprio esercito infondendo loro il coraggio necessario per affrontare le impervie battaglie che li attendono. Ma il suddetto leader non sembra essere un tipo del tutto affidabile, almeno per alcuni. Per altri si tratta invece dell’Eletto da Dio, futuro salvatore e vendicatore degli oppressi. Potrebbe dunque trattarsi di Gesù Cristo?

In effetti, analizzando a fondo le righe del testo, ci si accorge che il tema della track è altamente religioso e benché non venga esplicitamente dichiarato il nome dell’Eletto, si potrebbe benissimo pensare che si tratti di Lui. Dal punto di vista strumentale, la traccia non ha certamente bisogno di presentazioni… D’altronde, con un virtuoso tastierista come Banks accompagnato da un eccellente chitarrista come Steve Hackett cosa ci si potrebbe aspettare, se non la creazione di un grandioso capolavoro scandito ad arte dalla sublime voce di Collins?

*I link in grassetto colorati in blu conducono al sito ufficiale della band
**Alcune informazioni sulle band riportate in questo post sono state riprese (ed ovviamente rielaborate) dalla celebre webzine musicale di C. Fabretti & CO. : www.ondarock.it

Pubblicato da Eleonora

Sono una ragazza curiosa dalle molte passioni: amo scrivere, leggere (ovviamente), disegnare fumetti, ascoltare musica - specialmente appartenente al filone del rock progressivo - e ballare, soprattutto i Latino-Americani. Mi piacerebbe molto imparare a suonare il pianoforte, nonché trovare un partner ballerino con cui condividere la mia grande passione per la danza... Lo so, forse chiedo troppo!

2 Risposte a “Scoperte musicali casuali (e non…)”

  1. Non avevo idea che dai Renaissance fossero venuti fuori gli Yardbirds. Ma solo da una parte, perché ciò che rimaneva degli Yardbirds dopo gli svariati cambi di formazione aveva dato vita ai Led Zeppelin.
    A proposito di Yardbirds, Eric Clapton aveva definito Steve Winwood “il miglior cantante inglese in assoluto”.
    I Gentle Giant a volte sono un po’ pesanti all’ascolto, anche perché usano il flauto dolce, uno strumento notoriamente irritante, tanto che non viene nemmeno incluso nelle orchestre sinfoniche. 🙂

    1. Io invece non avevo idea che in questa “tresca” musicale fossero implicati pure i Led Zeppelin! 😊 Winwood è un frontman che gode sicuramente di un’ottima fama. Quanto ai Gentle Giant è proprio così… La loro musica è abbastanza pesante da ascoltare, ma credo che concederò loro un’altra chance. In fondo, devo ancora provare ad ascoltare “Octopus”, che a detta di molti è il loro capolavoro!

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