Memorie liceali: metodi di studio particolari (e non solo…)

Durante i primi due anni del liceo, ho avuto il piacere e l’onore di studiare la lingua latina attraverso un approccio/metodo di studio che nel corso degli anni ho avuto modo di rivalutare, e dunque considerare come un ottimo metodo da poter applicare eventualmente all’università. Prima di introdurvelo, però, sarebbe lecita una “piccola” – quanto fondamentale – premessa, congiuntamente alle mie esperienze di studentessa. In fondo, avevo in bozza questo articolo da moltissimo tempo (inoltre, negli ultimi post ho sempre nominato il mio caro liceo, per lo meno di sfuggita), perciò mi sono presa il gusto di pubblicarlo oggi.

Inizialmente, il mio rapporto con l’insegnante di Latino è stato molto conflittuale. In effetti, non amavo particolarmente le sue proposte didattiche, peraltro riguardanti dei metodi di studio che giudicavo a dir poco assurdi. Soprattutto quelli associati alla Storia e alla Geografia. Al secondo anno, il professore ci ha insegnato, per un breve periodo, anche la lingua italiana.  

A ripensarci ora, a distanza di anni, mi accorgo di come quei momenti siano stati a dir poco bellissimi: ma spesso si sa, si è soliti apprezzare un qualcosa soltanto quando lo si è perduto. E ad oggi, ciò che mi rimangono sono soltanto i ricordi, quell’avversione ingiustificata contro quel professore, quei piccoli “conflitti” che hanno contribuito a formare il mio carattere, nonché quell’episodio che non dimenticherò mai nella vita.

Un giorno, la nostra classe aveva un’ora di Latino e una di Storia, intervallate nel mezzo da un’altra materia. Ebbene, quel giorno il professore mi interrogò per ben due volte, ovviamente ad entrambe le materie. Le valutazioni da me conseguite non furono eccezionali. Per quanto concerne Latino, non fui affatto soddisfatta della mia prestazione: avevo studiato per prendere una votazione decente, invece dovetti accontentarmi di una misera sufficienza.

Dopo un’ora, quando il prof tornò in classe e mi chiamò per la seconda volta, inizialmente stentai dal crederci. Lo aveva fatto davvero? Nessuno se lo aspettava, ma a muso duro accettai la sfida. Lui mi aveva sfidato, su questo non v’era proprio alcun dubbio. Perché? Lo avrei scoperto più tardi. Sulla prima, credetti che il professore ce l’avesse con me. Ovviamente non era vero, e questo l’ho maturato molto tempo dopo dallo “strano” accaduto. Comunque, quando mi avviai verso la cattedra, la prospettiva si era ribaltata.

Io mi trovavo seduta lì, con tutti gli occhi puntati addosso; mentre il professore, tranquillissimo, aveva preso posto all’ultimo banco della classe, in veste di alunno. In quel momento, mi resi pienamente conto di quanto non sia così semplice trovarsi (anche) dall’altra parte, consapevole che da una tua spiegazione, i tuoi “spettatori” potrebbero non capirci nulla. Ad ogni modo, “l’alunno-professore” cominciò a tartassarmi di domande, pertanto non ebbi molto tempo a disposizione per riflettere a dovere sulla questione; su quel cambiamento di prospettiva. L’interrogazione si concluse con un “bel” sette, ma il professore non mi diede affatto la soddisfazione di dirlo davanti a tutti.

Dovetti carpirgli il voto in privato, a ricreazione, e ad oggi questa cosa mi fa davvero sorridere. Non mi guardò neppure negli occhi; mi riferì indifferente la votazione che avevo conseguito, quasi a volermi dire di non essere stata poi così brillante. Ad ogni modo, questo lo sapevo già. In effetti, a partire da quel momento, crebbe in me il forte desiderio di spaccare. Dovevo dimostrare di essere perfettamente in grado di “fronteggiare” un professore dall’indole che non riuscirei a definire con una semplice parola. Perché di sicuro, il suo obiettivo era uno soltanto: riuscire a tirar fuori “il mostro” che avevo dentro e che tutti noi abbiamo (sebbene alle volte, per qualche “misterioso” motivo, non riesca ad emergere nell’immediato).

Già, furono esattamente queste le sue parole, e quando poi, un bel giorno, dichiarò davanti a tutti (durante la lezione di Italiano): “Io questo tuo scritto (riguardava Isaac Asimov) lo pubblicherei da qualche parte… Magari affisso anche sulle bacheche della scuola… Hai un mostro dentro, che emerge ogni volta che scrivi…”, io mi emozionai (e sorpresi!) moltissimo. Forse, fu proprio da quel momento che cominciai a comprendere i motivi del suo strano comportamento.

Quella sorta di “sfacciataggine” che alle volte mostrava nei miei confronti durante le interrogazioni, non era altro che il suo modo di “farmi arrabbiare”, di farmi affrontare a muso duro la mia timidezza, affinché potessi tirar fuori il meglio di me stessa. (Ricordo addirittura che nell’arco di una sola settimana di scuola, lui mi aveva interrogato per ben tre volte in tre materie differenti!). Ma tutto questo, io l’ho capito pienamente verso la fine del secondo anno, quando sulla pagella finale mi ritrovai un meraviglioso nove in Latino. Ebbene sì, alla fine c’ero riuscita. E il professore evidenziò con grande enfasi il mio risultato, orgoglioso di essere stato il promotore di quella sofferta scalata che dal sei del primo quadrimestre mi aveva condotto a quell’incredibile voto finale.

Per quanto concerne il primo anno… L’esperienza di noi studenti fu abbastanza travagliata. Avevamo cambiato una miriade di professoresse di Latino, e quando poi arrivò il definitivo (il prof di cui sinora ho parlato), verso metà Marzo, ci ritrovammo con una scarsissima preparazione di base in questa materia. L’anno successivo, quando ritornò, fummo fortunati – lo ammetto, all’inizio non ne fui per niente contenta – poiché era appena cominciato l’anno scolastico; ma durante il primo regnò letteralmente il caos. E proprio adesso, “nel bel mezzo di questo caos”, credo sia giunto il momento di parlarvi del metodo di studio attuato dal mio ex-insegnante (come vedete, mi sono persa di nuovo nei meandri dei miei bellissimi ricordi liceali…).

La particolarità di questo metodo consisteva nell’utilizzo di matita e colori. Occorreva evidenziare ogni concetto importante con dei colori diversi. La prima lettura dei paragrafi di un libro veniva testimoniata dalla sottolineatura a matita. Per le date, si utilizzava ad esempio il colore blu, per le cause dello scoppio di una guerra ancora un altro colore, e così via…

Insomma, per ogni singolo concetto, il professore richiedeva di sottolineare il libro di testo che, alla fin fine, si sarebbe trasformato in una sorta di decorazione carnevalesca (così la vedevo io!) e dunque, a mio parere, in un qualcosa di assolutamente inguardabile. In effetti, io non ero affatto abituata a studiare con questo metodo, anzi. A dirla tutta, io non sottolineavo nulla! I miei libri, prima che arrivasse lui, erano immacolati, conditi soltanto da qualche piccola scritta a matita. No, non amavo per niente quella storia dei colori; pertanto obbedire alle sue richieste si stava rivelando davvero difficile. All’inizio del secondo anno (qualche mese prima che egli tessesse le mie lodi in Italiano nell’emozionante episodio raccontato poco prima), stanca di assolvere quel dannato compito, mi rifiutai di adempiervi: al professore dissi chiaro e tondo che non volevo sottolineare i miei libri con i colori. 

Volevo continuare con il mio solito metodo (cioè nessuno!); non volevo che il professore mi forzasse ad utilizzare il suo. A ripensarci ora, non so nemmeno dove trovai il coraggio di ribellarmi a quel modo (ma chissà che non fosse quello il suo parziale scopo!?). Ma quel mio moto di ribellione mi costò caro: il professore, per “vendicarsi” della mia mancanza, mi interrogò in Geografia (la materia che odiavo di più!). Ebbene, presi un misero sei e mezzo; ma c’è da dire anche che il prof mi porse delle domande un po’ strane, decisamente articolate, forse al fine di trovare una conferma al fatto che io avessi torto nel non applicare il suo metodo.

Ad ogni modo, sinceramente non ricordo come poi andò a finire: tornai “a testa bassa” a sottolineare il mio libro di Storia e Geografia, oppure continuai per la mia strada? Quel che è certo è che il professore venne, di lì a poco, sostituito da quella che sarebbe stata la nostra professoressa di Italiano (e Storia/Geografia) per tutta la durata del secondo anno. Ma se pensate che sia finita qui, vi sbagliate di grosso. Per quanto riguardava Storia, il professore ci assegnava ogni singola volta l’elaborazione di un riassunto che poi doveva trasformarsi in una sorta di pergamena, unendo e incollando i pezzi di carta che di volta in volta formavano quello che infine si sarebbe rivelato il riassunto di pagine e pagine di testo.

Ricordo con sentita nostalgia quando noi studenti ci avviavamo verso la cattedra, con queste pergamene lunghissime frutto di un collage di fogli a quadretti simmetrici, perfettamente avvolte attorno a se stesse a formare una sorta di chiocciola, e poi srotolate al fine di essere scrupolosamente controllate dagli occhi esigenti del professore, estasiato da quelle “mistiche” visioni. A casa mia, la possiedo ancora: non avrei certo osato buttarla, dopo ore ed ore di fatica spesa nel crearla! Non ne ho mai misurato la lunghezza, ma è davvero impressionante. A detta del professore, quella pergamena tascabile avremmo potuto portarla ovunque studiandone e/o ripassandone i contenuti, permettendoci di lasciare il libro di testo a casa. In effetti, era davvero un’idea geniale: peccato che, quando la lunghezza della stessa cominciava a diventare importante, era quasi impossibile che si potesse studiare tranquillamente in qualsiasi posto senza dare troppo nell’occhio!

Riguardo le versioni di Latino, il professore utilizzava lo stesso metodo dei colori di cui vi ho parlato prima. Applicato a questa materia, il metodo si rivelava utilissimo al fine di distinguere i vari casi e le varie declinazioni, pertanto, in questo caso adoravo cimentarmi nella sottolineatura delle varie locuzioni latine con i colori necessari alla semplificazione delle stesse tradotte in italiano. Insomma, a quanto pare questo metodo non mi andava a genio solamente per Storia e Geografia!

Un altro aneddoto: ogni singola volta che dovevamo affrontare come compito in classe una versione di Latino, il nostro professore accendeva il suo MP3 e indovinate un po’? Durante il compito ci faceva ascoltare le sinfonie di Mozart e (più spesso) di Beethoven! Certo che cercare le parole sul dizionario e nel mentre trovarsi ad ascoltare un pezzo specifico del musicista tedesco scandito da disperazione, poi ottimismo e poi ancora disperazione era davvero impressionante e, a tratti, inquietante.

Terminare la versione sembrava fosse davvero una corsa contro il tempo. E in fin dei conti, Beethoven definiva se stesso un misantropo e nelle sue composizioni è possibile riscontrare quella sorta di “disturbo bipolare” di cui soffriva ma che, paradossalmente, assieme alla sua sordità, dava adito alla sua genialità. Ecco… Personalmente, durante lo studio di Analisi II, io mi sentivo un po’ come il musicista. Prevalevano (purtroppo) i momenti di “pessimismo cosmico” (e rieccoci con il vecchio e caro “spettro leopardiano”!) ma nel contempo, in me vi era ancora il profumo di una leggerissima speranza scandita dal ritmo di una sinfonia particolarmente felice che cercavo di costruire dentro la mia testa.

Avete mai sentito parlare dell’effetto Mozart?

Beh, io ne sentii parlare in quinto liceo e fu davvero una bella scoperta! Inizialmente stentavo a crederci, ma dato che anche la scienza sembra aver attestato l’esistenza di tale effetto – un effetto che però è temporaneo – penso proprio che il nostro ex-professore si appellasse ad esso. Comunque, pare proprio che adesso non abbia più scuse e che debba ammettere che, senza volerlo, negli ultimi tempi mi sia spesso ritrovata ad attuare proprio il metodo dei colori da lui decantato anni addietro. Adesso, i miei fogli di carta a mo’ di riassunto e in parte, i miei libri, sono scanditi da colorazioni sgargianti e trasudano un’allegria di cui ai vecchi tempi non ero testimone. Il colore, effettivamente, mi aiuta a visualizzare – nonché a ricordare – meglio gli astrusi concetti. Sì, forse non ho scoperto l’acqua calda, però per me è stato abbastanza rivoluzionario!

Arrivati a questo punto, comunque, non mi stupirei se in questo preciso momento al mio vecchio professore stiano fischiando le orecchie… In effetti, per la prima volta in assoluto, a distanza di anni, mi trovo a dare ragione a quella che credevo essere una sorta di “pazzia”! Certo, non sono proprio arrivata ai livelli di utilizzare il suo metodo con una precisione assoluta (e temo non ci arriverò mai!), però credo che nel tempo si possa migliorare. 

Un altro metodo di studio da lui proposto per quella che si chiama ancora “L’omnia” (ovvero lo studio di tutto il programma di Latino che sinora si è svolto), consisteva nello scrivere su dei fogliettini i vari argomenti, piegarli e metterli all’interno di una scatola, mescolandoli. In questo modo, lo studente poteva mettersi alla prova, pescando di volta in volta i vari foglietti e verificando che sapesse destreggiarsi con gli argomenti, anche se gli stessi non erano ovviamente in ordine. Dal canto mio, mi divertivo un sacco ad attuare questo “magico metodo”!

Comunque, già che ci siamo ve ne racconto un’altra, sempre a proposito di metodi di studio. Una volta, l’esigente professoressa di Filosofia e Storia del triennio ci fece prendere un foglio di carta, al fine di farci applicare il “metodo della lettura veloce”. A distanza di tempo, avrei scoperto che non è un metodo poi così strano perché effettivamente lo utilizzano molti studenti universitari (ma non io!). Con quell’anonimo foglio di carta, dovevamo coprire tutto il paragrafo di interesse, tranne ovviamente la prima riga, dalla quale dovevamo cominciare a leggere.

Nel prosieguo della lettura, scandita in base alla nostra velocità, spostavamo man mano il foglio bianco verso il basso, rivelando una per una le righe di cui era costituito il corposo paragrafo. A fine lettura, dovevamo raccontarle quanto avevamo compreso durante quel breve esperimento. Dunque… Volete sapere come è andata? Ebbene, dal canto mio, quando la professoressa mi ha interpellato, ho fatto completamente scena muta perché non ricordavo assolutamente nulla di quanto letto!

metodi di studio...
metodi di studio…

Pubblicato da Eleonora

Sono una ragazza curiosa dalle molte passioni: amo scrivere, leggere (ovviamente), disegnare fumetti, ascoltare musica - specialmente appartenente al filone del rock progressivo - e ballare, soprattutto i Latino-Americani. Mi piacerebbe molto imparare a suonare il pianoforte, nonché trovare un partner ballerino con cui condividere la mia grande passione per la danza... Lo so, forse chiedo troppo!

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