Marzo in musica – Atmosfere progressive (e non solo…)

Anche in questo post di fine Marzo, ci sarà moltissima carne al fuoco: le opere musicali che verranno presentate non finiscono mai di stupirci e sono sempre ben propense nel regalarci grandi emozioni e, particolarmente in questo periodo assai critico, un pizzico della tanto agognata normalità. Siete pronti per questo ennesimo viaggio all’insegna dei capolavori che hanno fatto la storia della musica? Se la risposta è sì, non posso fare altro che augurarvi buona lettura ma, soprattutto, buon ascolto!

 

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19 Marzo 1971

 

 

Old Charlie stole the handle and the train won’t stop going/no way to slow down.

 

(“Il vecchio Charlie ha rubato la maniglia e il treno non smette di andare / non c’è modo di rallentare.”)

Locomotive Breathe

 

Nasce un album senza precedenti dei Jethro Tull: Aqualung, un album il cui titolo sembra derivi dal rantolo roco del barbone che, secondo Ian Anderson, somiglia al rumore di un respiratore subacqueo (l’Aqua-lung è uno di questi). Nella copertina – a mio avviso abbastanza inquietante ed ispirata, peraltro, ad un senzatetto – dell’album è raffigurato proprio Anderson, la cui espressione è decisamente cruda e sprezzante, in netta contrapposizione con un manifesto pubblicitario nel quale si decantano dispendiose vacanze natalizie nella località sciistica delle Highlands.

Nell’album si fanno strada alcune tematiche ricorrenti afferenti alla vita, alle aspre critiche nei riguardi della società e a Dio. Ad esempio, la canzone Locomotive Breath tratta dell’inesorabile trascorrere del tempo e della vita, la quale viene paragonata ad un treno ad alta velocità che non ha modo di arrestarsi.  La rivista Rolling Stone ha inserito l’album al 337º  posto nella lista dei migliori 500 album. 

3 Marzo 1972

 

– and your wise men don’t know how it feels to be thick as a brick -.

 

("- e i vostri saggi non sanno come ci si sente a essere duri come un mattone -.")

                                                                                             Thick As A Brick

 

Un nuovo classico, sempre dei Jethro Tull, prende vita inserendosi ufficialmente nel filone del progressive rock: Thick As A Brick. Il disco – meraviglioso concept album – si divide in due parti costituite da un solo brano per “lato”, sebbene i due brani siano anch’essi suddivisi in parti, ognuna con un proprio titolo. Nell’originale copertina dello stesso, la quale rappresenta un perfetto prototipo di un quotidiano locale, si racconta una “strana” storia: Gerald Bostock, bambino prodigio che vinse un concorso di poesia per giovani talenti con la presentazione del testo Tick As A Brick, venne in seguito squalificato per aver pronunciato una parolaccia in diretta. Questo personaggio è stato inventato di sana pianta dallo stesso Anderson.

Marzo 1972 - Thick As A Brick
Marzo 1972 – Thick As A Brick

I testi che compongono l’opera godono di un sarcasmo e un’ironia particolari che Ian rivolse, in particolar modo, a quei critici che avevano considerato Aqualung un concept album. Il cantante desiderò, dunque, realizzare un vero concept album dalla struttura atipica descritta sopra, con l’intento di manifestare (ironicamente) il proprio disappunto nei riguardi della critica. La sezione che preferisco si trova nel LATO A del disco ed è proprio quella conclusiva: You Curl Your Toes In Fun/Childhood Heroes.

Nello specifico, trovo particolarmente affascinante la parte iniziale, nella quale si inseriscono la chitarra dello stesso Anderson e – in seconda battuta – il pianoforte di John Evan, riprendendo parzialmente il motivetto strumentale della prima track Really Don’t Mind/See There A Son Is Born, accompagnato dalla sommessa voce di Anderson e dai cori degli altri membri del gruppo. La track termina con il concerto flautistico di Anderson, culminando a tutti gli effetti con la chitarra elettrica di Martin Barre. Tale concept è stato collocato alla settima posizione della lista dei migliori 50 album di tutti i tempi.

3 Marzo 1973

 

The time is gone, the song is over,

Thought I’d something more to say.

 

(“Il tempo è andato via, la musica è finita,

sebbene io abbia ancora qualcosa da dire…”)

Time

 

Viene prodotto un album leggendario e di immensa portata: The Dark Side Of The Moon dei Pink Floyd. Inutile girarci intorno: condensare il tutto in poche righe non sarebbe possibile, perciò mi limiterò ad elencare i temi del concept album. Innanzitutto, il titolo dello stesso fa riferimento al parallelismo uomo-luna: il primo, in effetti, può essere paragonato proprio alla Luna, la quale, per effetto della cosiddetta “rotazione sincrona”, mostra sempre “la stessa faccia”, a meno che… Non ci si trovi di fronte alle celeberrime fasi lunari, in particolare nella fase denominata ‘Luna Nuova’, nella quale la Luna e il Sole si trovano perfettamente allineati sullo stesso piano. Dalla Terra, la “faccia” della Luna ci appare in tal caso completamente oscurata (o quasi), a causa dell’incombente presenza del Sole che la nasconde. 

Così è l’essere umano. In effetti, egli potrebbe indossare molteplici maschere e magari nessuna di queste gli calzerebbe a pennello. O meglio, potrebbe indossarne diverse a seconda delle situazioni quotidiane che gli si presentano dinanzi. Comunque, tra le tematiche affrontate nell’album, hanno particolare rilievo il rapporto morboso con il denaro, la morte, la pazzia e l’alienazione mentale (chiaro riferimento a Syd Barrett).

1 Marzo 1974

 

Saw you sitting on a sunbeam,
In the middle of my daydream,
Oh my Lady Fantasy,
I love you.

 

(“Ti ho vista seduta su un raggio di sole
Nel mezzo del mio sogno ad occhi aperti
Oh mia ‘Signora Fantasia’
Io ti amo.”)

Lady Fantasy

 

Nasce Mirage, secondo album dei Camel. Questo lavoro – collocato alla ventunesima posizione dei 50 migliori album prog di tutti i tempi – afferente alla “Scena di Canterbury”, contiene delle tracce intrise di magia ed elementi fantastici. Non a caso, lo stesso è ispirato alle opere dello scrittore J. R. R. Tolkien, come testimoniato dalle tracce Nimrodel/The Procession/The White Rider. La traccia cardine del disco è senza dubbio Lady Fantasy, composta da tre parti: 

 

  • Encounter
  • Smiles For You
  • Lady Fantasy

 

Musicalmente, questa mini-suite mi sembra decisamente complessa ma altrettanto ben congegnata, tanto che le suddette parti di cui si compone sono perfettamente distinguibili da “melodie di transizione” che ne scandiscono un deciso cambiamento ritmico. Il testo parla di una certa “Lady Fantasy” che, come suggerisce lo stesso titolo del brano, sembra essere stata creata dalla fantasia di un uomo che si immagina innamorato di lei. Come recita il testo, il suo è un meraviglioso “sogno ad occhi aperti” dal quale non vorrebbe proprio risvegliarsi.

26 Marzo 1976

I Camel producono Moodmadness, disco che per molti cultori del progressive risulta essere uno dei momenti musicalmente più alti della carriera della band, assieme a Mirage e The Snow Goose. La copertina dell’album è particolarmente suggestiva e, come ci racconta un mensile di Prog Italia, parecchi illustratori si sono cimentati nella realizzazione della stessa. La proposta di John Field piacque molto alla band e Latimer interpretò l’artwork in questo modo.

 

Ognuno è libero di interpretarlo come vuole. A me piace pensare che rappresenti due amanti che osservano insieme la luna e al tempo stesso manifestano tutto il proprio amore reciproco.

 

Marzo 1976: Moonmadness
Marzo 1976: Moonmadness

Tra le canzoni che preferisco, Spirit Of The Water mi sembra quella che rappresenti al meglio i miei gusti, complice la presenza del pianoforte di Peter Bardens. Qui sotto appongo la versione “demo” priva della performance vocale, poiché a mio avviso è decisamente più emozionante ascoltare questo breve intermezzo strumentale senza alcuna “interferenza esterna”. Tra le altre track ufficiali dell’album, sceglierei invece Lunar Sea.

17 Marzo 1977

Tornano in scena gli Emerson Lake & Palmer con un album dalla struttura decisamente particolare e nel quale spiccano separatamente le doti artistiche dei componenti della band (il LATO A, B, C dell’album sono ognuno dedicati ad un singolo musicista), che nell’ultimo lato del disco (LATO D), si riuniscono per creare due canzoni: Fanfare For The Common Man e Pirates. Nel LATO A del disco, l’assai virtuoso pianista Keith Emerson ci presenta una pièce musicale di altissimo livello che certamente adoreranno i cultori della musica classica: Piano Concerto No. 1. Questo è diviso in tre meravigliose sezioni (la prima è quella che preferisco!):

 

  • First Movement: Allegro Giojoso
  • Second Movement: Andante Molto Cantabile
  • Third Movement: Toccata Con Fuoco

 

Non essendo (purtroppo!) una musicista professionista – né tantomeno una profonda cultrice in campo classico – non posso descrivere il pezzo come meriterebbe. Continuerò a ribadire, comunque, che l’autodidatta Emerson era un genio. Un genio dotato di uno straordinario talento, di una sorta di “orecchio assoluto” che gli permetteva di creare delle composizioni a dir poco straordinarie – nonché sognanti -. Il pezzo di Emerson è scandito anche dalla collaborazione della London Philarmonic Orchestra diretta da John Mayer. Nell’album si fondono, perciò, rock progressivo e rock sinfonico, due generi musicali che spesso si completano l’uno con l’altro.

Nel LATO B del disco entra in scena Greg Lake che, con la sua voce straordinaria, ci presenta cinque brani il cui stile è afferente al romanticismo. I testi delle canzoni vengono redatti congiuntamente a Peter Sinfield (ormai da tempo ex membro dei King Crimson). Il LATO C dell’album è invece dedicato al batterista Carl Palmer, le cui canzoni presentate sono interamente strumentali, a metà strada tra il genere jazz e il rock puro. I brani rappresentano delle rielaborazioni di brani classici: un estratto della Scythian Suite del russo Prokofev ed un’altra opera del musicista BachInvenzione a due voci – entrambe reinterpretate in chiave rock. Degna di nota, in questo lato del disco, è la partecipazione di Joe Walsh, chitarrista degli Eagles.

24 Marzo 1978

 

Don’t live today for tomorrow like you were immortal…

 

(“Non vivere oggi pensando al domani come se fossi immortale…”)

Burning Rope 

 

Purtroppo anche Steve Hackett “abbandona la nave” e così i nostri amati Genesis, come recita il titolo dell’album – And Then There Were Three – si ritrovano ad essere in tre. Collins, Rutherford e Banks decidono di rimboccarsi le maniche per produrre un album dallo spessore minore del precedente ma comunque di ottima fattura. All’interno del disco, non mancano infatti della track che diventeranno delle vere e proprie hit di stampo pop – prima tra tutte la romantica ballata Follow You, Follow Me assieme a Many Too Many – congiunte alle classiche progressive tracks (Down And Out, Snowbound, Burning Rope).  Una perfetta mescolanza di sonorità nuove e tradizionali si presentano agli occhi (e soprattutto nelle orecchie!) degli ascoltatori, non del tutto soddisfatti della trasformazione del sound del gruppo, che si modificherà drasticamente a partire dal 1981 (Abacab).

Nella copertina del disco domina l’oscurità e ammetto di avervi posto maggiormente l’attenzione solamente in questi ultimi tempi, cercando di captare cosa vi fosse rappresentato. In realtà, la stessa è davvero misteriosa e sembra raffigurare tre individui – così si vocifera sul web, ma io questo terzo individuo non lo vedo! –  che, secondo alcuni sarebbero i tre musicisti, sebbene non compaiano con i loro volti, mentre a lato sembra esserci un altro membro che a me personalmente ricorda vagamente un individuo del Ku Klux Klan (forse un voluto “richiamo” all’album Foxtrot?), sebbene il suo cappuccio non sia a punta. Da uno degli uomini sembra farsi strada una sorta di scia bianca che culmina con una luce fulminea nelle profondità del bosco che fa da sfondo all’inquietante scenario. Un plumbeo cielo dalle sfumature nere, rossastre e violacee invade l’intera copertina, rimarcandone il senso di profondo mistero che la descrive.

La track di maggior bellezza, a mio avviso, è Burning Rope, la cui sonorità afferisce al rock progressive. La strofa introduttiva inserita all’inizio del paragrafo inerente questo album, ci regala un prezioso consiglio. Vivere nel presente senza pianificare nei minimi dettagli il nostro futuro è questione di fondamentale importanza, se desideriamo goderci appieno quanto lo stesso presente ha da offrirci.

Marzo 1979: And Then There Were Three
Marzo 1979: And Then There Were Three

Marzo 1978

 

I stand and gaze upon your smile
A deep reflection
Held in my soul as a child…

 

(“Mi alzo e contemplare il tuo sorriso
Una riflessione profonda
Tenutasi nella mia anima come un bam
bino.”)

Day Of The Dreamer

 

I Renaissance producono A Song For All Seasons, un fantastico classico di rock progressivo congiunto ad elementi di rock sinfonico. Nella copertina è ritratta la cantante Annie Haslam in una tenuta che si accorda perfettamente con l’avvento della stagione primaverile ritratta nella stessa, su di un cielo azzurro che contrasta con la pioggia che irriga il paesaggio e si posa sull’ombrello della Haslam. Day Of The Dreamer è secondo me il pezzo più rappresentativo dell’album (ma anche le altre tracks sono ottime!).

Il pianoforte di John Tout, la batteria di Terence Sullivan, la voce della Haslam congiunta al minimo intervento di Jon Camp ne fanno una composizione dai toni particolarmente felici – nonché energici -. A partire dal sesto minuto, però, “si placano gli animi” e la canzone assume dei tratti decisamente più pacati, scanditi dalla solenne vocalità della cantante. Nella fase conclusiva, il brano riprende le sue iniziali “fattezze” e la batteria di Sullivan ne cadenza il maestoso finale, per un totale di dieci minuti di progressive – e classicismo – allo stato puro da assaporare in tutta la loro magnificenza.

29 Marzo 1979

 

Goodbye stranger it’s been nice
Hope you find your paradise
Tried to see your point of view
Hope your dreams will all come true

 

(“Addio straniero, è stato bello

Spero che tu possa trovare il tuo paradiso

Ho provato ad analizzare il tuo punto di vista

Spero che tutti i tuoi sogni si realizzino…”)

Goodbye Stranger

 

Viene prodotto un album che rese ufficialmente famosi i Supertramp: Breakfast In America. Le tracce che lo compongono afferiscono al rock progressive, all’art rock, al pop rock e al soft rock. Una contaminazione di generi veramente interessante che rende questo album un classico intramontabile e nel conempo profondamente diverso dagli altri. Come decantato nel prolisso post di inizio Marzo, il sound tipico della band manifesta allegria, spensieratezza e benefica freschezza. Dal disco emergono quattro singoli di successo mondiale: The Logical Song, Goodbye Stranger, Take The Long Way Home e Breakfast In America.

Tutte le canzoni dell’album potrebbero creare una certa dipendenza e forse questo non dovrebbe sorprenderci. Qualcosa mi dice che l’intento del gruppo fosse proprio quello. In effetti, anche la scelta dello stesso titolo dell’album – a detta di Hodgson – si sposa perfettamente con l’atmosfera scanzonata e di puro  divertimento che vi si respira. La copertina raffigura un panorama di New York in miniatura e mostra l’attrice Kate Murtagh nei panni di una cameriera di nome “Libby”, in posa come la Statua della Libertà. Ella tiene in mano un bicchiere di succo d’arancia al posto della torcia tenuta dalla statua, mentre con l’altra stringe un menù con su scritto “Breakfast In America.” In questo post, inserisco la prima canzone che ho ascoltato di questo album e che per pura casualità mi ha fatto conoscere i Supertramp.


28 Marzo 1980

 

I am the one who guided you this far

All you know and all you feel

….

And you kill what you fear

And you fear what you don’t understand

 

(“Io sono l’unico ad averti guidato così lontano

In tutto quello che sai e in tutto ciò che senti

E tu uccidi ciò di cui hai paura

E temi ciò che non comprendi…”)

Duke’s Travels/Duke’s End

 

Viene dato alle stampe Duke (ultimamente, mio padre mi ha regalato il CD!), album dei Genesis contenente gli ultimi scampoli di puro progressive rock, congiunto alle ormai consolidate atmosfere pop che contorneranno i prossimi album, caratterizzati dalla preponderanza della batteria, della drum machine ed altre strumentazioni all’avanguardia che sanciscono ufficialmente l’inizio di una nuova epoca. Personalmente, adoro questo album – benché non sia prettamente progressive -, poiché in esso si respira un’atmosfera intrisa di una dolce malinconia che nel contempo è in perfetta congiunzione con le potenti atmosfere pop/rock che lo rendono energico al punto giusto.

Insomma, il disco presenta un perfetto equilibrio tra passato e presente; un equilibrio che però, in un certo qual senso, potrebbe definirsi transitorio: in effetti, sembra proprio che i Genesis non sappiano ancora bene da che parte stare. È meglio rimanere fedeli al proprio passato, oppure dirottarsi verso nuovi territori non del tutto sconosciuti e, almeno in parte, già esplorati? Lo scopriremo nel 1981, anno di nascita di Abacab (un disco che inizialmente – in parte la penso ancora così – giudicavo il peggiore della loro discografia).

La  copertina di Duke raffigura un uomo di nome Albert (la cui storia verrà raccontata dallo stesso Phil Collins durante un live) che si ritrova a contemplare dalla finestra la splendente luna che campeggia nell’azzurro cielo. Il senso di solitudine che pervade la copertina si trasferisce, almeno in parte, nelle composizioni dell’album, riflettendo nel contempo la difficile situazione sentimentale di Collins. Insomma, a quanto pare sembra ormai giunto il tempo di esplorare nuovi orizzonti, sotto tutti i punti di vista. Ma in questo disco, di “perle prog” ce ne sono ancora e la traccia che più lo testimonia è indubbiamente Duke’s Travels, che termina con lo splendido e maestoso finale Duke’s End.


21 Marzo 1994

 

…Talk, (talk) listening
Like the first words ever to reach out
Talk, (talk)
Like the first sounds in a silent spring
Talk, talk listening…

 

(“Parla, (parla), ascolta

Come se fossero le prime parole in assoluto a raggiungerti

Parla, (parla)

Come i primi suoni in una primavera silenziosa

Parla, (parla) ascolta…”)

Endless Dream

 

Inciso con l’etichetta indipendente Victory Records, gli Yes producono l’ultimo album insieme al chitarrista sudafricano Trevor Rabin: Talk. Il disco, malgrado la buona qualità delle tracce, non ottiene alcun successo anche a causa dell’avvento del grunge, un nuovo genere rock che comincia a spopolare in quel periodo.

Marzo 1984 - Talk
Marzo 1994 – Talk

 

In generale, l’album viene però ben accolto dalla critica. La traccia più rappresentativa dello stesso è sicuramente la suite “Endless Dream”, della durata di ben quindici minuti e articolata in tre sezioni:

 

 

  • Silent Spring
  • Talk
  • Endless Dream

 

L’inizio del brano viene scandito dal pianoforte di Rabin e dalla potenza della batteria di Alan White. Il pezzo subisce, in corso d’opera, numerosi cambiamenti di ritmo che ne sanciscono “l’epicità finale”. La prima sezione, Silent Spring – Primavera Silenziosa – sembra essere un diretto riferimento al libro della biologa e zoologa Rachel Carson.

Pubblicato da Eleonora

Sono una ragazza curiosa dalle molte passioni: amo scrivere, leggere (ovviamente), disegnare fumetti, ascoltare musica - specialmente appartenente al filone del rock progressivo - e ballare, soprattutto i Latino-Americani. Mi piacerebbe molto imparare a suonare il pianoforte, nonché trovare un partner ballerino con cui condividere la mia grande passione per la danza... Lo so, forse chiedo troppo!

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