A spasso nel tempo con i ‘Re Cremisi’

“I nostri” Re Cremisi…

Nel mese di Marzo – ovviamente in epoche differenti – i King Crimson produssero degli album decisamente eterogenei tra di loro, poiché caratterizzati da quel profondo – e ben noto – sperimentalismo musicale ed artistico cui il gruppo soleva appellarsi sin dagli esordi. In particolare, questo post prenderà in considerazione il trentennio 1973 – 2003 (nello specifico i relativi album di Marzo, appunto), cercando di porre minimo accento al graduale processo di evoluzione della band inglese, sia da un punto di vista “tecnico-musicale” che compositivo.

Essendo in tal caso una “neofita” e non avendo ascoltato gli album che verranno citati in modo approfondito, non sarà molto semplice redigere questo post… Ma come al solito, ci proverò lo stesso, senza pretendere troppo da me stessa (da voi mi aspetto lo stesso trattamento!). D’altro canto, “ho dalla mia” che non è mai stato – come non sarà mai! – semplice “catalogare” gli stessi King Crimson all’interno di schemi predefiniti, proprio perché è la band stessa a ritrovarsi, spesso e volentieri, fuori dagli schemi!

23 Marzo 1973

Lo abbiamo già espresso a chiare lettere nell’introduzione: sperimentazione ed improvvisazione. Sono proprio queste, le parole chiave che ci permetteranno di caratterizzare al meglio uno degli album prog più celebri di tutti i tempi: Larks’ Tongues In Aspic. Catalogato come quinto album della band, capeggiata dal virtuoso ed inarrestabile Robert Fripp, esso nasce dalla fusione alchemica del Sole e della Luna raffigurati nella copertina che funge come da “amalgama”, nel vero senso della parola.

Re Cremisi - Lark's Tongue On Aspic
‘Re Cremisi’ – Lark’s Tongues In Aspic

Tutti i brani che lo compongono sono infatti accomunati da una forte componente sperimentale che, a primo impatto e in alcuni momenti, potrebbe apparirci aspra, algida, a tratti cacofonica e ben lontana dal totale compiacimento dell’ascoltatore. Ma la musica dei Re Cremisi sa anche essere sublime, romantica e stupendamente malinconica. È proprio il caso di Book of Saturday, la più breve composizione presente nell’album. Il testo venne redatto da Richard-Palmer-James, allora paroliere e membro fondatore dei Supertramp, congiuntamente all’apporto di Fripp e di John Wetton (1949 – 2017), celebre cantante e bassista britannico.

La track, malgrado trasudi una certa tristezza, riesce comunque ad incantare gli ascoltatori, rendendoli partecipi di una storia sentimentale che sembra ormai essere giunta al capolinea. Il protagonista del testo, nonostante sia fermamente convinto di chiudere una volta per sempre quella relazione amorosa tenuta in piedi soltanto dall’abitudine, sembra comunque non riuscire nel suo proposito di voltare definitivamente pagina. Non per niente, il titolo della canzone è  “Book Of Saturday…”.

Ma la prima track omonima al nome del disco è indubbiamente la più celebre. Una sorta di mini-suite strumentale di quasi quattordici minuti dai contorni delicati ma tinti, nel contempo, di un’intensità che cresce di minuto in minuto senza perdere quel pathos che la rappresenta. In effetti, ecco che al minuto 3’43”, entra in scena la chitarra di Fripp, che si frappone agli altri strumenti. Sembra quasi che il tutto rappresenti un continuo “fare e disfare”.

Allo stesso tempo, però, si percepisce una sorta di “unione alchemica musicale” rappresentata simbolicamente non soltanto dalla copertina. In effetti, a viva testimonianza di quanto detto dal percussionista James Miur, ideatore del titolo del brano, è possibile riscontrare la suddetta trait d’union tramite l’ascolto del delicato ritmo delle percussioni, del violino di David Cross che conferisce alla track un volto decisamente classico e del mellotron di Fripp.

Altra traccia di grande effetto è Exiles, la cui melodia in sottofondo ricorda, specie nel solenne finale, la famosa Epithap dei primi gloriosi ‘Re Cremisi’ (1969). Le altre track del LATO B del disco – Easy Money/The Talking Drum/Larks’ Tongue In Aspic Part Two – hanno in comune la costante presenza della potente batteria di Bill Bruford che, dopo la dipartita dagli Yes, sembra davvero aver trovato la sua “vocazione”. Ovviamente, anche la chitarra di Fripp occupa un posto di rilievo, tanto che in alcuni momenti si assiste all’ascolto del duo Fripp-Bruford, animato da un’aggressività tale da rompere qualsiasi disincanto possa sbocciare attraverso la malinconica – quanto sublime – melodia del violino di Cross.

In buona sostanza, questo album è scandito da una sperimentazione sonora molto profonda, ai limiti dell’estremizzazione. I nostri King Crimson si discostano, come di consueto, dai dettami appartenenti al rock progressive vero e proprio, mostrando ampia predilezione per una tipologia di musica che in alcune situazioni potrebbe quasi essere associata al rock/hard rock, o meglio, al cosiddetto progressive metal. La seconda parte dell’omonima suite iniziale, in effetti, ha ben poco da spartire con la prima, nella quale la finezza e l’eleganza si mescolano alla morbida asprezza propugnata dalla chitarra elettrica, destinata a scontrarsi con lo strumento forse più improbabile che possiamo associarvi, ovvero il violino.

La perenne sospensione tra “sogno e realtà” continua dunque a permeare in tutto il disco sebbene, nelle ultime due canzoni strumentali, la “componente sogno” venga totalmente bistrattata dal crescente influsso di una melodia dai toni decisamente freddi e distaccati. Una melodia che, come era già stato detto in precedenza, si mostra ben lungi dall’accontentare il desiderio degli ascoltatori più avvezzi agli “ideali romantici” sostenuti da gruppi prog come Genesis, ELPYes e assimilati. 

29 Marzo 1974

 

“… Le fratture sono dentro di noi e in questi suoni semplicemente le ritroviamo…”

Fracture – Robert Fripp

 

I ‘Re Cremisi’ non si fermano e producono un album il cui titolo sembra prospettarci una realtà dai toni a dir poco oscuri e agghiaccianti: Starless And Bible Black, parole prese in prestito dall’incipit del dramma Under Milk Wood, concepito dal poeta e scrittore gallese Dylan Thomas. Il suddetto album è decisamente particolare in quanto registrato quasi interamente dal vivo, in modo tale che l’improvvisazione fosse la chiave di volta per la corretta interpretazione del disco.

'Re Cremisi' - Starless And Bible Black
‘Re Cremisi’ – Starless And Bible Black

Tutte le tracce dell’album, eccetto le strumentali, sono cantate da John Wetton. Anche in Starless, il duo Fripp-Bruford non si risparmia affatto dal regalarci incredibili performances di stampo prog-metal. Un altro punto di contatto con l’album precedente è la presenza di una track di stampo prettamente romantico nella quale, come di consueto, si nasconde una velata malinconia: Trio, composizione strumentale dedicata al pittore impressionista francese Pierre-August Renoir, “descritta ad arte” dal violino di Cross.

In buona sostanza, questo ottimo album si può considerare abbastanza similare al precedente, eccetto per la dipartita di James Miur, presente invece in Larks’. La line-up del disco, in effetti, è per molti aspetti la stessa e la profonda sperimentazione musicale raggiunge in tal caso la sua espressione massima con le ultime due tracce: Starless And Bible Black e Fracture (a mio avviso, la migliore track del disco!). The Night Watch, invece, è una canzone dedicata al pittore Rembrandt e ispirata al dipinto La Ronda Di Notte.

La Ronda di notte
La Ronda di notte

27 Marzo 1984

Sono trascorsi alcuni anni da quando John Wetton e Bill Bruford sembrava avessero definitivamente abbandonato i ‘Re Cremisi’ su decisione di Fripp, ma spesso si sa, non è sempre l’ultima parola quella che conta. Per questo album,  purtroppo, non ho avuto modo di ascoltare nemmeno una traccia (su YouTube è praticamente introvabile!), ma la sua struttura risulta decisamente particolare. Il primo lato del disco è caratterizzato dalla presenza di tracce più orecchiabili ai fan, rispetto alle track più sperimentali, presenti nel secondo lato dell’album. 

Re Cremisi: Three Of A Perfect Pair
Re Cremisi: Three Of A Perfect Pair

La copertina, dai toni giallo-blu, è molto semplice, mentre lo stile musicale che sancisce questo “ritorno alla vita” dei Re Cremisi, non è altro che una (sapiente?) combinazione di atmosfere dal carattere pop, prog, prog rock/metal. A detta di alcuni ascoltatori, comunque, la riproposizione – nonché continuazione – della meravigliosa The Lark’s Tongue On Aspic, (in questo disco figura la III parte della track)  è stata una scelta fin troppo azzardata.

Marzo 2003

 

She saved my life in a manner of speaking

When she gave me back the power to believe

The Power To Believe

 

Il trionfo della musica elettronica sprigionata da questo nuovo album dei ‘Re Cremisi’ è ormai questione di dominio pubblico, per i fan di questa band, all’apice della sua ultima sperimentazione musicale, che completa a tutti gli effetti il suo longevo processo evolutivo. The Power To Believe è in effetti l’ultimo album di Fripp e compagni, un vero e proprio concentrato di rock metal/heavy metal in puro stile King Crimson.

L’intro dell’album, di cui una sezione di testo è citata nell’introduzione a questo nuovo disco, è intitolato The Power To Believe: A cappella, ed è accompagnato dalla voce di Andrew Belew, che assume una tonalità dai caratteri robotici. La seconda track, Level Five, sulla falsariga di Red (1974), regala agli ascoltatori delle sonorità dall’impatto decisamente aggressivo, reggendosi sui pretenziosi arpeggi di chitarra elettrica di Fripp e Belew, che contribuiscono nel creare un’atmosfera dai contorni taglienti e distopici, come sembra mostrarci anche l’originale copertina dell’album (ennesima opera pittorica creata dalla moglie di Fripp!).

Re Cremisi: The Power To Believe
Re Cremisi: The Power To Believe

La successiva track è Eyes Wide Open – una ballata dallo stile decisamente più pacato rispetto alle composizioni strumentali del gruppo – cantata da Andrew Belew e sostenuta dal ritmo della celeberrima chitarra elettrica, che le conferisce un carattere dai toni decisamente misteriosi. EleKtriK, invece, è un’altra grande composizione che agli esordi è caratterizzata da una suadente melodia destinata, però, ad aprirsi su più “fronti d’onda”. Come suggerisce il titolo della track, la chitarra elettrica continua ad essere l’assoluta protagonista del disco. In sostanza, tutto l’album si poggia su delle solide atmosfere che piaceranno senz’altro agli appassionati di hard rock, metal e assimilati. Personalmente, non ne vado pazza, però è senza dubbio sorprendente la profonda evoluzione che il gruppo britannico ha subito nel corso della sua carriera. Ma d’altronde, da un musicista virtuoso, eccentrico e dallo sguardo profondamente enigmatico come Robert Fripp, che cosa ci si poteva attendere?

Pubblicato da Eleonora

Sono una ragazza curiosa dalle molte passioni: amo scrivere, leggere (ovviamente), disegnare fumetti, ascoltare musica - specialmente appartenente al filone del rock progressivo - e ballare, soprattutto i Latino-Americani. Mi piacerebbe molto imparare a suonare il pianoforte, nonché trovare un partner ballerino con cui condividere la mia grande passione per la danza... Lo so, forse chiedo troppo!

2 Risposte a “A spasso nel tempo con i ‘Re Cremisi’”

    1. Concordo sul fatto che spesso i KC diano il meglio di sé dal vivo, non a caso Fripp sfruttava al meglio quei momenti per inserire nuovo materiale negli album. Anche se dell’era di Andrew Belew, devo dire che preferisco “Discipline”.

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