“Buon compleanno”, Passion Is Life!

Ebbene sì, oggi il mio “Passion Is Life” compie esattamente due anni. Per l’occasione, ho dunque deciso di dedicare uno “speciale” nel quale parlerò di una mia grande passione. Specificamente, parlerò dell’esiguo – ma essenziale – repertorio musicale che possiedo a casa di mia nonna e che custodisco gelosamente di fianco allo stereo che mi permette di ascoltare dei meravigliosi capolavori. Esatto, parliamo ancora di musica (tanto per cambiare, direte…).

Ad ogni modo, prima di assaporarci questo tour all’insegna della musica di un tempo, ci tenevo a spendere due parole riguardanti “la nascita” di questo sito web che ormai rappresenta per me una grande fonte di soddisfazione. In questi ultimi tempi, il blog è cresciuto e il numero di visite (così come il numero di iscritti) è notevolmente aumentato rispetto allo scorso anno, sintomo del fatto che ho forse svolto un “buon lavoro” sinora. Agli inizi, questa piattaforma era nata un po’ per gioco e credevo che vi avrei scritto saltuariamente, giusto per trascorrere il mio tempo libero all’insegna della scrittura. Invece, in poco tempo mi sono resa conto che nella mia mente si stava già elaborando una sorta di “scaletta” (variegata ma forse alcune volte pedissequa e fin troppo prevedibile) concernente le varie passioni di cui avrei potuto parlare in questo blog, alcune delle quali risultano essere condivise da molte persone.

Avevo persino provato a “lanciare” alcuni articoli del blog su Facebook, ma come scrissi in un mio vecchio articolo, la mia permanenza sul social è durata  solamente due settimane. Ad ogni modo, non escludo di potervi “approdare” di nuovo, magari quando questa piattaforma sarà cresciuta ulteriormente.

Sì, nei confronti del suddetto social non ho affatto utilizzato delle parole molto lusinghiere, però pensandoci bene, devo ammettere che se questo “strumento” potesse aiutarmi anche un minimo nella promozione di un articolo cui tengo particolarmente (ne dubito), o magari ad informarmi meglio sul mondo editoriale in generale includendo nel pacchetto anche i famigerati “concorsi letterari”, beh… In fin dei conti, non sarebbe poi tanto male. Che vi devo dire, ammetto di essere un po’ lunatica e di cambiare un po’ troppo spesso idea su molte cose (sarà perché sono del segno del cancro?!), ma non escludo di poter un giorno riapparire “dall’oltretomba” su Facebook al fine di sfruttarlo come si deve, utilizzandolo in un modo ancora più responsabile di quanto non abbia fatto la prima volta.

“Di contro”, questo blog mi ha dato spesso l’opportunità di esprimermi in un modo che di sicuro non rispecchia in tutto e per tutto il mio carattere nei contesti reali. In effetti, non sono solita esternare troppo apertamente le mie opinioni personali riguardo qualcosa – o perché no, qualcuno – in un modo così “diretto” come invece accade in questa piattaforma. Sì, forse alle volte esagero un po’ (ma solo un po’), eppure quando c’è di mezzo la scrittura non riesco proprio a frenare quel flusso di pensieri che trovano posto nel mio cuore, ancor prima che nella mia mente.

Ognuno ha un proprio modo per esprimersi, ed io credo a tutti gli effetti di aver trovato il mio, sebbene so di dover ancora (e ancora) migliorare dal punto di vista della “produzione orale”, se così possiamo chiamarla. Ma ho cominciato ad attivarmi in proposito già a partire dall’ultimo anno del liceo, quando ho cominciato a comprendere l’importanza di esprimere a cuore aperto opinioni (o quant’altro) di qualsiasi tipo, a prescindere dalla condivisione o non condivisione delle stesse.

Insomma, l’ambiente liceale mi ha dato una grande opportunità di crescita, fornendomi anche diversi spunti di autocritica nei confronti di me stessa, cosa che non manca tuttora, adesso che mi trovo all’università. In soldoni, devo dire di essere migliorata parecchio.

Per concludere questa breve parentesi, ci tengo ad affermare che la scrittura, oltre ad avermi permesso di scoprire al meglio me stessa, rappresenta per me anche una sorta di “terapia”, una passione che avrà sempre un qualcosa da insegnarmi. Ad esempio, è spesso grazie a “lei” se ho imparato a gestire in modo ottimale eventuali attacchi di ansia dovuti a delle circostanze inerenti il contesto accademico e non.

Detto ciò, credo proprio che questo blog continuerà ad esistere (e a resistere) malgrado il trascorrere del tempo, perché esso è ormai diventato “una costante” nella mia vita. E adesso, tornando al tema principale di questo post…

Premetto (sì, ancora una breve premessa) che a casa mia, mio padre possiede una marea di vinili che nel corso degli anni ho avuto modo di scoprire (sebbene ci sia ancora molto da ascoltare!), mentre mio nonno possiede tuttora numerosissime musicassette e 45 giri. Come forse intuirete, sono cresciuta immersa nella musica dell’epoca, quella “vera”, quella sperimentale e condita di numerose parole che nascondono un senso alquanto profondo rispetto alla maggior parte della musica odierna. Ma questo ovviamente è soltanto il mio modestissimo parere; non ho intenzione di smuovere critiche agli ascoltatori di musica contemporanea (in fondo, sono due generi completamente diversi!). 

Anzi, ammetto che talvolta anch’io, senza volerlo, rimango per giorni “intrappolata” dalle orecchiabili melodie di alcuni tormentoni che non fanno altro che rimbombarmi nelle orecchie e nella testa. Ad ogni modo, sapete già come la penso in proposito, infatti… Quando premo il tasto PLAY per ascoltare una canzone degli anni 70′ – progressiva o meno – (ri)scopro che il mio amore per quella musica non potrà mai spegnersi. Un fuoco che brucia senza mai consumarsi. Una passione di cui mi nutro giorno per giorno, a prescindere dal mio stato d’animo. Una musica che ti rimbomba nel cuore e che scandisce momenti di gioia, tristezza, malinconia, speranza.

Or dunque… Cominciamo finalmente il nostro breve (e spero piacevole) tour “nel paese delle meraviglie…”

Per amore della mia musica preferita “ho imparato” ad utilizzare lo stereo (per una volta, ho potuto mandare al diavolo Youtube) e al di sopra di esso, ho apposto i “misteriosi” CD di cui vi parlerò tra pochissimo.

Dunque, da dove iniziare?

Direi di partire dal disco più recente: Emerson Plays Emerson. Aspettate  un attimo, però: prima di addentrarci nella descrizione dello stesso, ho intenzione di spendere due parole sulla produzione del musicista.

Ormai sapete quanto io adori il pianoforte e senz’altro conoscerete il talento del mitico e solenne tastierista degli ELP – Emerson Lake & Palmer. Keith Emerson, appunto, lo stesso fondatore del supergruppo.

Ebbene, da sua fan sfegatata, ho spulciato nella sua discografia solista e ho scoperto delle produzioni davvero interessanti. Il soundtrack del film Inferno (1980) è di una bellezza disarmante. In particolare vi propongo la prima traccia, per coloro i quali non la conoscessero.

Ho scoperto l’intero soundtrack circa due anni fa quando mi trovavo in vacanza al mare, e per me è stata un’emozione davvero particolare. Nello stesso periodo, ho scoperto questa sua altra composizione: Hello Sailor (1981), melodia peraltro ispirata al leitmotiv di Braccio di Ferro e appartenente all’album “Honky”.

Nel 1984, invece, Emerson elaborò un soundtrack per il film thriller “Murderock uccide a passo di danza”, nella quale figura una composizione contenuta anche nell’album “Emerson Plays Emerson”.

Emerson Plays Emerson
Emerson Plays Emerson – Copertina

Il disco, prodotto nel 2002, si compone di 22 tracks, di cui una registrata dal musicista alla giovane età di 14 anni (Medley). All’interno del boocklet contenuto nel CD, Emerson spiega una per una la genesi di tutte le composizioni in esso contenute, con particolare riferimento alle sue principali fonti di ispirazione. Il tastierista, da sempre grande fan del compositore argentino Alberto Ginastera, ha rivisitato un suo pezzo celebre denominato “Creole Dance” (Danza Creola), molto apprezzato dalla consorte dello stesso Ginastera, anch’essa famosa musicista (nello specifico violoncellista).  

Un’altra grande fonte di ispirazione alla quale Keith si rifece soprattutto in gioventù fu Dudley Moore, attore, sceneggiatore e pianista britannico scomparso proprio nel 2002 e al quale il musicista dedica “Broken Bough” (Ramo Spezzato).  Il nostro viaggio prosegue con altre tracce frutto della fantasia di un inguaribile romantico qual Emerson si dimostra. In particolare, nutro una profonda adorazione per l’eccellente “The Dreamer” (Il Sognatore).

Insomma… Spesso, ascolto questo album quando ho necessità di concentrarmi o di scrivere un qualcosa, proprio perché il pianoforte può rivelarsi una delle mie principali fonti di ispirazione.

Proseguendo sulla scia di Keith, nella mia stanzetta troverete anche Trilogy, fantastico album degli ELP del 1972 (il mio preferito, tra l’altro…).

Personalmente, ho acquistato questo disco perché sono molto legata alla settima traccia dello stesso e il cui titolo è omonimo all’album. L’assolo di pianoforte di Emerson è da brividi, ma d’altronde non è una novità. Il grande tastierista è sempre stato un profondo conoscitore della musica classica e in particolar modo dei compositori dell’Est Europa.

Ciò che però a me stupisce è la dichiarazione dello stesso musicista, il quale si è sempre definito un autodidatta, contrariamente al mio preconcetto che egli avesse ricevuto numerosissime lezioni private da grandi maestri. Insomma, sembra quasi che il nutrire una forte passione sia, alle volte, il motore che spinge l’essere umano a diventarne un grande esperto, pur non avendo ricevuto ‘una sorta di brevetto’ che lo certifichi. Personalmente, questo mi regala la grandissima speranza di continuare a vivere di sogni…

Comunque, a proposito di musica classica, mio padre mi ha regalato un CD che non ho ancora avuto modo di ascoltare. Una collezione dei capolavori del musicista russo Ciaikovski. Lui, – furbescamente, diciamocelo – si è preso Beethoven (o Mozart?), ma a suo rischio e pericolo. Infatti, a giorni lo interrogherò e scoprirò se anche lui ha mancato al suo “dovere” 😂.

Adesso, cambiamo decisamente genere musicale. Siamo sempre nell’epoca dei 70′, ma questa volta ci addentreremo nell’hard rock e nel rock vero e proprio. Il prossimo CD che intendo “mostrarvi” è anch’esso uno splendido regalo di mio padre. Quadrophenia, la bellissima opera rock dei The Who del 1973. All’interno del disco è presente un book nel quale sono riportati tutti i testi delle canzoni, nonché la storia del concept album.  

L’opera è pretenziosa e complessa, ma a mio avviso meravigliosa. Come detto qualche articolo fa, il protagonista della stessa è Jimmy, un ragazzo alle prese con i tipici problemi dell’adolescenza che gli creano dei frequenti sbalzi d’umore e cambiamenti nella personalità. Insomma, spesso (soprattutto in questo periodo) mi sento anch’io un po’ come lui. Sì, negli ultimi tempi il mio umore è talmente altalenante che potrei davvero correre il rischio di diventare una “schizofrenica” (in fondo il titolo dell’album rappresenta una variazione lessicale dello stesso termine!)… “Quadrophenia”, in effetti, è il titolo che simboleggia le quattro differenti personalità di ciascun componente dei The Who.

 

Love, reign o’er me!

 

Urla a squarciagola Roger Daltrey, (altra splendida voce del gruppo insieme al grande Pete Townshend) nell’ultima track che sancisce la fine del concept album. 

Proseguiamo il nostro viaggio leggermente indietro nel tempo a ritmo dei The Traffic. “John Barleycon Must Die”, album del 1970, raccoglie sei meravigliose tracce di cui una (sicuramente la migliore canzone dei The Traffic) è omonima al titolo del disco.

Un album particolare nel quale si intrecciano elementi di rock progressivo, folk & blues
Un album particolare nel quale si intrecciano elementi di rock progressivo, folk & blues

Nel CD sono anche presenti due extra tracks (registrate dal vivo): Who Knows What Tomorrow May Brings (che per un periodo ho amato alla follia) e Glad, la prima grande traccia strumentale del disco.

Per quanto concerne l’ambito  musicale progressive/”folkettiano”, possiedo anche un disco live dei Jethro Tull, il cui capostipite è Ian Anderson, il pazzo e geniale flautista, nonché cantante del gruppo.

Nello specifico, il disco contiene alcune delle canzoni più famose del gruppo, quali: Living In The Past, Aqualung, Locomotive Breath… Insomma, dei capolavori decisamente intramontabili.

Adesso, sempre nel ramo del rock progressivo, avrei intenzione di parlarvi di un disco che ho acquistato alla “Discoteca Laziale” di Roma circa un annetto fa, dopo aver assistito alle consuete lezioni universitarie: “Quella Vecchia Locanda”.

Non lo conoscete, non è così?

In tal caso, sono felice di avervi colto di sorpresa, perché questo gruppo italiano creatosi proprio negli anni 70′ (e che purtroppo ha avuto un tempo di vita davvero breve) ha concepito un capolavoro a mio avviso straordinario. Insomma, un capolavoro “alla Locanda delle Fate”, altro piccolo gruppo italiano quasi sconosciuto.

Questo disco, intriso di sonorità progressive – nonché di tematiche filosofiche connesse al subconscio umano e alla piena conoscenza di se stessi – prende diretta ispirazione da numerosi gruppi famosi dai quali il gruppo subì grande influenza. Nell’ascolto dello stesso, in effetti, è possibile riconoscere la preponderanza del flauto traverso suonato “alla Ian Anderson”, alcuni assoli di batteria tipici del celebre gruppo “Le Orme” e forse quel pizzico di malinconia manifestato dal vocalist Aldo Tagliapietra (voce de “Le Orme”) e rimarcata dal “frontman” di “Quella Vecchia Locanda”; ovvero Giorgio Giorgi. In questo primo disco si percepisce tutto l’entusiasmo di un gruppo che vorrebbe aprirsi una strada nel mondo musicale, ma che purtroppo non riuscirà ad affermarsi, arrivando a sciogliersi nel 1974.

“Colpa” dei grandi gruppi già affermatisi, della troppa somiglianza compositiva vigente tra le varie band italiane e straniere dell’epoca… Insomma, “colpa” di uno spietato sistema all’interno del quale non tutti possono ovviamente primeggiare, ma nel quale comunque si condivide lo stesso ideale: lo sconfinato amore per il rock progressivo. Ed è proprio di questo amore che si fanno portavoce i membri di questo piccolo gruppo (il cui album, tra l’altro, mi ha dato ispirazione per scrivere un… Non ve lo dico!).

Quella Vecchia Locanda - Album del 1972
Quella Vecchia Locanda – Album del 1972

Questa volta non pongo attenzione su una loro canzone in particolare, perché le trovo tutte fantastiche e così su due piedi non saprei sceglierne una… Insomma, per chi “mastica” un po’ di prog italiano, questo album potrebbe rivelarsi una piacevole sorpresa.

Quella Vecchia Locanda: la storia del gruppo

Il nostro “tour” sta per terminare con un classico dei The Beatles dalla squisita atmosfera beat: “Sgt. Pepper Lonely Hearts Club Band”. Album del 1967, è considerato a tutti gli effetti una pietra miliare dalla rivista Rolling Stone, che lo ha collocato al primo posto della lista dei migliori 500 album. Una delle canzoni più famose dell’album è senz’altro il capolavoro “Lucy In The Sky With Diamonds”, sebbene io (non chiedetemi perché) nutra particolare simpatia per “With A Little Help From My Friends”.

Nella copertina sono presenti persino personaggi illustri, comici, letterati, attori…

Bene, con questo direi che abbiamo finito (per ora). Nei prossimi mesi, spero di poter ampliare la mie conoscenze in fatto di musica acquistando altri CD (magari dei King Crimson!), oltre ad ascoltare le meravigliose playlist che Youtube mi propone quotidianamente in base ai miei interessi. E già, va bene lo stereo, ma bisogna pur sempre ammettere che, se non fosse stata sviluppata questa piattaforma web, molto probabilmente non avrei nemmeno conosciuto certi capolavori “trotterellando” per le vie del mio paese!

 

Pubblicato da Eleonora

Sono una ragazza curiosa dalle molte passioni: amo scrivere, leggere (ovviamente), disegnare fumetti, ascoltare musica - specialmente appartenente al filone del rock progressivo - e ballare, soprattutto i Latino-Americani. Mi piacerebbe molto imparare a suonare il pianoforte, nonché trovare un partner ballerino con cui condividere la mia grande passione per la danza... Lo so, forse chiedo troppo!

2 Risposte a ““Buon compleanno”, Passion Is Life!”

  1. Ciao, intanto buon compleblog! 🙂

    Il mio blog ha quasi 4 anni, ma facevo il guest-blogger già nel 2013, quindi un po’ di cose le ho viste e imparate. Il miglior modo per far crescere un blog è quello di “fare rete”, cioè visitare e interessarsi di altri blog che abbiano argomenti affini o che ci interessino. Si creano degli scambi e dei ricambi, e un po’ per volta si cresce.

    Per quanto riguarda la musica citata in questo post, non tutto lo conoscevo o lo avevo già ascoltato. Del progressive ascolto di più quello inglese (come ti ho detto, mi piace in particolare quello di Canterbury), ma conosco qualcosina di un po’ di tutto, sia dell’Europa (compreso italiano), sia americano e canadese.
    Il tema di Braccio di Ferro (Sailor Hornpipe) lo aveva ripreso anche Mike Oldfield (il mio preferito di Canterbury) nel finale di Tubular Bells.
    I Jethro Tull sono uno dei miei gruppi preferiti in assoluti. Ian Anderson l’ho visto dal vivo a Torino nel 2012, quando si era esibito con Thick as a Brick + Thick as a Brick. 2

    Visto che hai lasciato una cosa poco nota, te ne metto una anch’io: Bombay Calling degli It’s a Beautiful Day, che i Deep Purple avevano scopiazzato in Child in Time.
    https://www.youtube.com/watch?v=jEKg9qyEQmw

    1. Ciao Marco, ti ringrazio molto! 🙂
      Wow, questa storia del guest-blogger non la conoscevo! Comunque, cercherò di seguire la dritta che mi hai proposto e che effettivamente io stessa ho sperimentato alcune volte.
      Per quanto riguarda Mike Oldfield, che dire… Anche lui un grande musicista; il suo Tubular Bells è semplicemente spettacolare e adesso che mi ci fai pensare, la melodia che ho spesso ascoltato nel finale dell’album mi era sempre suonata familiare, però non ero riuscita ad associarla al leitmotiv di braccio di Ferro come invece mi hai rivelato.
      Deve essere stato emozionante vedere Ian Anderson dal vivo; peraltro credo che il mio album preferito dei Jethro Tull sia proprio Thick As A Brick. Quanto al link che mi hai lasciato, devo dire che è stato davvero interessante scoprire un gruppo sconosciuto dal quale i Deep Purple hanno scopiazzato la famosissima Child In Time. Insomma, chi l’avrebbe mai detto!

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