“Stato di grazia” da trenta/trentesimi

All’università: Prendiamo le Tavole dei Caratteri e studiamone le caratteristiche.

 

Io (spaventata e sotto shock): Ma non avevano detto che era la Tavola Periodica la miglior amica di uno studente di Chimica?

 

 (Io che cerco su internet un qualcosa che possa consolarmi sul fatto che la Teoria dei Gruppi non sia così impossibile da capire):

Teoria dei Gruppi: È una branca della matematica nella quale si fa qualche cosa a qualche cosa e si confrontano i risultati ottenuti con quelli che si ottengono facendo la stessa cosa a qualcos’altro e con quelli che si ottengono facendo un’altra cosa alla stessa cosa. 

(Caro James Roy Newman, non pensi che questa “simpatica” definizione sia la definizione perfetta per far scappare gli studenti a gambe levate?).

(Nota: post scritto tra il 26 e 27 Aprile).

Credo sia la prima volta in vita mia che rimango davvero senza parole. Di solito ne ho tante  e sono un fiume in piena (perlomeno quando scrivo!), di solito ogni santa volta che mi spiccio superando un nuovo esame di profitto e mi metto davanti la tastiera del computer, le suddette parole cominciano a uscire da sole, ma oggi come oggi… be’, tutto quello che sono riuscita a fare è stato saltellare a minuti alterni per tutta la casa come un canguro fino a consumarmi tutto il fiato, alle volte tenendo persino tra le mani la ricevuta dell’esame con il rischio concreto di sbattere da qualche parte per la troppa emozione (e con la musica a palla, al solito scandita dalle mie amatissime cuffiette) – la pazzia regna sovrana, lo so da me, non c’è bisogno che me lo diciate voi!

Una cosa è ancor più certa: sono già le dieci e quaranta di sera e non sono nemmeno riuscita a scrivere un post decente (complice la troppa adrenalina che, appunto, non mi permette di starmene ferma per più di dieci minuti davanti al portatile e comportarmi da persona seria, matura e rispettabile). Un’altra cosa è certa (parte 2): questa giornata è letteralmente volata, perché forse sono io ad aver spiegato finalmente le ali. Sono io (sì, proprio io!) ad aver toccato il cielo con un dito. Anzi, con tutte e dieci le dita. Per la prima volta da quando ho messo piede all’università, ho sperimentato una gioia che definire immensa sarebbe troppo poco. Non vi mentirò dicendo che non ho sognato varie volte questo momento, che negli ultimi tempi non ho fermamente creduto in quella svolta che mi avrebbe regalato una felicità che presumo mi accompagnerà ancora per molto tempo.

Questa volta, ho bramato con tutte le mie forze di raggiungere un obiettivo che mai avrei creduto possibile, ma che desideravo così ardentemente da infondermi una forza d’animo e un’acuta testardaggine di cui, molto spesso, dimentico persino l’esistenza. Il mio film mentale si è avverato sul serio e io non so nemmeno da dove cominciare. Se non che ho sudato non sette camicie, ma almeno dieci, per arrivare finalmente a sostenere l’esame di Chimica Inorganica II, il penultimo della mia carriera di studentessa universitaria (a livello triennale). Non ho mai nutrito una smania così forte nel voler sostenere una verifica come in questo caso, e ciò non è testimoniato soltanto dall’e-mail che ho spedito al professore il giorno stesso dell’inizio dell’appello. Credevo, in effetti, di dover sostenere l’esame verso i primi di aprile, perciò avevo fatto davvero di tutto per cercare di completare un programma abbastanza vasto e variegato negli argomenti. Due giorni prima dell’appello (fissato per il 5 aprile), il professore aveva mandato una mail con su scritto che l’indomani (e quindi il 4 aprile) ci avrebbe inviato il link meet per stilare il calendario degli esaminandi.

La mattina del 5 aprile (avevo aspettato fino alle dieci e trenta di sera sperando che lui si facesse vivo), verso le sei del mattino, mi sono svegliata e sono corsa a vedere se fosse arrivata quella benedetta e-mail. La mia “ricerca” si è conclusa in un nulla di fatto. A quanto pareva, nessuno degli studenti esaminandi aveva ricevuto il link per Meet. Così, non ho perso altro tempo e gli ho inviato una e-mail, comunicandogli questa sua mancanza. Magari se n’è dimenticato, può succedere, mi ero detta tra me e me, mentre il mio bel filmetto cominciava a prendere forma. Dai, che oggi mi interroga; dai, che oggi spacco di brutto; dai, che stavolta… è la volta buona! Queste sono state le parole che mi sono ripetuta come un mantra durante quella giornata, sperando che il professore, prima o poi, si facesse vivo. La “videoconferenza” era fissata per le ore 9, ed è stato proprio in quel momento che il docente ci ha scritto, posticipandola alle ore 10. Okay, tutto nella norma: non era fuggito alle Bahamas con chicchessia, non era diventato nonno all’improvviso, non era successo nulla di grave (vi giuro, in quei momenti mi sono fatta i peggio film mentali!). La motivazione della sua completa sparizione è stata tutt’altra: semplicemente non gli funzionava la connessione internet e, dunque, non aveva potuto inviarci il link tanto atteso. Ed ecco che la mia casella di posta istituzionale, dalle 9 in poi, ha cominciato a essere tempestata di e-mail (tutte sue): una inerente le Tavole dei Caratteri dei gruppi, un’altra inerente alla sua richiesta di preferenza per il suo esame, che avrebbe voluto sostenessimo in telematica. Insomma, è arrivato tutto assieme e non abbiamo nemmeno fatto in tempo a rispondere. Durante la “videoconferenza” delle ore dieci, vengo a scoprire che il docente insegna alla Sapienza e all’università di Latina (a CTF), quindi non ha tutto questo tempo per interrogarci e deve trovare assolutamente un giorno libero per espletare il suo compito. Impresa ardua (almeno per lui): le vacanze di Pasqua sono alle porte, bisogna trovare un’aula disponibile e mille altri cavoli. “Ho stilato l’ordine degli interrogati in base a tre categorie: fuori corso, anno pandemico, era post-covid.” In buona sostanza, ci avrebbe interrogato in base a questa sua specifica: gli esaminandi dell’era covid avrebbero avuto, a differenza degli altri “sfigatelli” come me, soltanto due domande, a dispetto delle tre previste (dato che durante quell’anno il professore non riuscì a terminare il programma). Così, il docente comincia a chiamarci in base alle ultime tre cifre del nostro numero di matricola (mamma mia, ma allora è proprio vero che all’università si è soltanto dei poveri numeri!)…

Seguono domande da parte degli studenti, tra cui una mia (dato che il docente stava continuando a divagare un po’ troppo senza darci delle certezze sul giorno eventuale in cui avremmo potuto sostenere il suo esame). Non è proprio possibile fare l’esame prima di Pasqua, nel caso scegliessimo l’opzione di sostenerlo in presenza? La risposta del professore non è più tanto vaga: il 12 aprile potrebbe rappresentare una buona soluzione, unico giorno libero dalle lezioni (sempre a patto che lui trovi quella benedetta aula – io, tra me e me: tra Caglioti e Cannizzaro non si trova un’aula? Maddai!), mentre il 9 (sabato mattina!) avrebbe interrogato gli studenti che avrebbero scelto l’opzione dell’esame in telematica. Inutile dirlo: speravo con tutto il cuore che mi interrogasse il 12. Di sostenere questo esame online non ci ho pensato nemmeno per un momento: chi mai vorrebbe trascorrere una mezz’ora con il docente che ti chiede in continuazione di inquadrare TUTTA la stanza e, alle brutte, persino aprire cassetti, spegnere il telefonino davanti a lui e smontare la qualsiasi cosa (sì, ho sentito varie testimonianze in merito) soltanto per appurare che insieme a te (povero sventurato!) non ci sia nessuno? Chi mai vorrebbe sottoporsi a uno strazio che, perlomeno alla sottoscritta, avrebbe tolto tutta la concentrazione regalandole soltanto più ansia e nervosismo di quello che, magari, può già presentarsi il giorno stesso di un qualsiasi esame? Di certo non io. Così, al termine di questa “videoconferenza”, ho dovuto fare i conti con un senso di frustrazione bello forte. Non avrei sostenuto l’esame il giorno stesso dell’appello, e non l’avrei sostenuto nemmeno il giorno dopo ancora. Avrei dovuto attendere un’altra settimana fatta di ripetizioni, sogni e speranze che magari avrebbero potuto anche logorare quell’adrenalina che avevo dentro (perché si sa, non è poi così facile alimentarla!). Rassegnata, ho scritto al professore dicendogli che preferivo l’opzione in presenza (e, anzi, aggiunsi pure che sarei stata anche disponibile a sostenerlo il pomeriggio stesso, giusto per farvi capire quanto io non vedessi l’ora di prendere ‘sto 30). Sapevo che quell’affermazione non sarebbe servita a nulla, che lui aveva i suoi impegni e che non avrebbe interrogato nemmeno una persona, né durante la mattina, tantomeno il pomeriggio (malgrado lui avesse detto di essere occupato solo la mattina). Della serie: volevo tutto e subito.

E invece… soltanto pochi giorni dopo, ho scoperto che sarei stata interrogata il 26 aprile!!! E che… e che il 12 avrebbe esaminato gli studenti per via telematica! Inutile dirvi quanto fossi imbufalita per questo suo programma. Ma cos’avrei dovuto fare, se non accettare tutto e andare avanti? Per me l’opzione di “spostarmi” al 12 e fare l’esame online non era assolutamente contemplata, perciò non ho potuto fare altro che resistere. Ma nel prosieguo del ripasso, cresceva in me la forte consapevolezza che stavolta avrei dato il meglio di me stessa. Che anche io, forse, avrei potuto assaporare la gioia di un 30. Eh già, questa volta il filmetto me lo ero fatto veramente. Solitamente sono la prima a non farmi troppe illusioni, a rimanere con i piedi ancorati ben a terra senza correre il rischio di fare un capitombolo che potrebbe portarmi dalle stelle alle stalle. Questa volta, però, non ci sono riuscita. Ho sognato e risognato che potessi dimostrare a me stessa di essere in grado di fronteggiare un esame orale di un’ora (di cui, fra l’altro, non ho sentito per nulla il peso!) senza perdere la concentrazione, con addosso quella forza e quella determinazione che magari sono sempre state dentro di me e che aspettavano soltanto il momento giusto per emergere. Quando ho cominciato la verifica, gli effetti dell’ansia si sono fatti sentire nell’immediato, ma questa volta mi sono risparmiata il batticuore e il mal di pancia (che di solito è una condizione che dura pochi attimi, ma è comunque più devastante di quello che ho provato ieri). La verità era una sola: morivo dalla voglia di parlare, di dimostrare e di scrivere alla lavagna tutto quello che avevo scritto almeno decine e decine di volte a casa, riempiendo un intero blocco di fogli in una sola settimana. E così… l’emozione ha presto lasciato il posto alla voglia di spaccare tutto.

Davanti al professore e ad altri due testimoni, ho cominciato a parlare a manetta spiegando la teoria dei gruppi applicata alla molecola che lui mi aveva assegnato, tanto che il professore non aveva proprio niente da obiettare e, anzi, misa proprio che stava godendosi appieno la mia “performance”, tant’è che alcune volte l’ho beccato persino con gli occhi chiusi (ma vi posso assicurare che lui non dormiva, bensì stava ascoltando tutto da cima a fondo perché… non ha mai perso battuta per puntualizzare piccolissime quisquilie non appena se n’è presentata l’occasione!), annuendo di tanto in tanto, condizione che alimentava ulteriormente la mia sicurezza in merito ad argomenti che avevo compreso a suon di botte in testa (alias: video visti e rivisti inerenti a un solo argomento anche per tre o quattro volte per cercare di capirne “i misteri”).

È stato bellissimo non essere interrotti quasi per nulla nella trattazione sistematica della molecola di NH3. È stato bellissimo accorgersi di come ci avessi messo davvero poco per spiegargli le proprietà di questa molecola dimostrando tutto a suon di immagini, formulette, matrici 2×2 e annesso diagramma degli orbitali molecolari (con simmetrie degli orbitali stessi comprese). È stato bellissimo discutere con lui dei complessi olefinici e del meccanismo sigma donazione e retrodonazione pigreca che conferisce all’etilene complessato una stabilità degna di nota. Ed è stato bellissimo giungere indenne e piena di emozione all’ultima domanda, che invece, a dispetto delle precedenti, mi ha fatto penare un poco. La spiegazione del perché esistesse il difetto di massa, in effetti, mi aveva fatto entrare in un limbo nel quale sono rimasta per svariati minuti. Mancava davvero pochissimo alla meta e dentro di me continuavo a ripetermi che dovevo farcela; mentre il professore, che cercava di darmi quegli indizi necessari all’individuazione di una risposta che, alla fin fine, era tutt’altro che astrusa, attendeva con una certa trepidazione un mio “cenno”.

Io, che a quel punto stavo seriamente cominciando a “perdere colpi” (e tutto perché i discorsi del professore mi riportavano sempre al punto di partenza – in buona sostanza, la definizione che gli avevo dato era perfetta, ma mancava un passettino in più), ho cercato di partecipare in modo attivo ai suoi ragionamenti, ma ammetto pure che mi veniva quasi da ridere (perché si vedeva che lui era mezzo “disperato” e che voleva cavarmi di bocca quella dannata risposta a tutti i costi!), e… e quindi, alla fine della fiera, ho conosciuto quel tanto agognato “perché”. Un perché che, purtroppo, mi era proprio sfuggito durante gli studi. Al termine della verifica, il professore pensa per un breve momento, per poi…

“Guardi, peccato per quest’ultima domanda…”

Io, dentro di me: Addio, mio bramato 30, è stato davvero bello sfiorarti… Ora mi beccherò un beffardo 29…

“Comunque sia, a dispetto di alcuni altri suoi colleghi a cui ho messo 30 e Lode, a lei propongo 30/trentesimi.”

A quelle parole, il mio cuore esplode. Cioè, io stavo per… io stavo per prendere la lode??? Vabbè, ancora adesso sto sorridendo come una scema e tuttora mi sembra impossibile una cosa simile. A dire il vero, pensavo persino che “la lode” fosse un miraggio (per quasi tutti i professori lo è di sicuro!) e non avevo minimamente considerato un simile commento da parte del professore. Il fatto che l’abbia nominata, chiaramente mi ha reso ancora più orgogliosa e felice di quanto già non fossi non appena ho sentito quel magnifico 30 uscire dalla sua bocca. Con un sorriso a trentadue denti, prendo il documento e glielo mostro, chiedendogli anche se può gentilmente firmarmi la ricevuta.

La conclusione delle conclusioni? Sono uscita da quell’aula con addosso una consapevolezza che per troppo tempo avevo ignorato: l’impegno, la costanza e la determinazione, prima o poi, ripagano sempre. Magari ci vorrà del tempo, tanto tempo, di sicuro i buoni risultati non arrivano domani, ma prima o poi arrivano.

E, contro ogni possibile aspettativa, lasciano anche il segno. Un segno indelebile.

Pubblicato da Eleonora

Sono una ragazza curiosa dalle molte passioni: amo scrivere, leggere (ovviamente), disegnare fumetti, ascoltare musica - specialmente appartenente al filone del rock progressivo - e ballare, soprattutto i Latino-Americani. Mi piacerebbe molto imparare a suonare il pianoforte, nonché trovare un partner ballerino con cui condividere la mia grande passione per la danza... Lo so, forse chiedo troppo!

4 Risposte a ““Stato di grazia” da trenta/trentesimi”

  1. A me sembra sempre bizzarro vedere che la teoria dei gruppi venga trattata in Chimica Inorganica, comunque… Io l’avevo fatta in Chimica Fisica E (che per te corrisponde a CF II) e ripresa in Fondamenti di Spettroscopia al quarto anno. 27 e 28, quindi tanto di cappello per questo 30! Peccato per la Lode, ma sono certo che ci saranno altre occasioni… Per il momento brava così, e mi raccomando per l’ultimo! 😄

    1. Grazie mille, Marco! 😊
      In effetti l’Inorganica, anche se concordo sia strano, (ahimé) è parecchio connessa con la Chimica-Fisica (infatti in uno dei curricula della magistrale sono accorpate insieme), una primissima parte del corso praticamente riguardava tutta roba fatta a CF II (e che fortunatamente non chiedeva)…
      A ogni modo, fai bene a dirmi “occhio” per l’ultimo esame (maledetta Organica 3!)… perché il professore (ahimé bis) vuole sapere la qualsiasi cosa, oltre alle sette esperienze di laboratorio da sapere come l’Ave Maria, con tutti i millemila motivi sull’uso di un solvente piuttosto che un altro, sui meccanismi che le governano (‘ste esperienze sono simili al “gioco dei perché”, tanto per capirci), senza contare l’interpretazione degli spettri… eh, sono ancora in alto mare, vediamo come finirà e se, come dici tu, ci sarà qualche altra occasione di fare una bella (magari decente, in questo caso ci si accontenta 😂🙈) figura!

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