Passato, presente e futuro – L’ordine Del Tempo

 

Se più dolcemente di Orfeo, che gli alberi anche commosse, tu modulassi la cetra, il sangue non tornerebbe all’ombra vana…

Duro destino, ma meno grave si fa, col sopportare, tutto ciò che far tornare a ritroso è impossibile.

(I, 24 – Odi di Orazio)

 

2.1. Introduzione

Il secondo capitolo del libro di Rovelli, (da me ribattezzato ‘Passato, presente e futuro’), si è indubbiamente prospettato ai miei occhi come un capitolo di difficile comprensione, almeno per molti aspetti. Ma niente paura: come al solito, proverò a riassumere quello che ho imparato facendo appello anche alla mia personale sensibilità e alle mie sensazioni e opinioni in merito all’argomento trattato, o almeno ci provo!

2.2. Il passato non ritorna

Come si può vedere, il capitolo comincia con un bellissimo trafiletto tratto dalle Odi di Orazio. Il concetto chiave che lo racchiude è uno solo: il tempo procede in avanti e, dunque, non si può tornare indietro e rivivere il passato.

Detto così, sembra che la questione sia semplice.

Niente di più sbagliato.

In realtà, l’argomento è (purtroppo) ben più complesso. Il fluire del tempo è un processo spontaneo, naturale e, in qualche modo, profondamente ordinato. Ma lo è solo in apparenza.

Ma andiamo con ordine (perdonate la ripetizione).

Rapportando il concetto di fluire del tempo alla filosofia, il grande pensatore Eraclito diceva: panta réi, ovvero “il tempo scorre”. Ma in che modo, potremo chiederci? In quale direzione?

Eccoci arrivati al primo punto focale del capitolo: il tempo è dotato di una direzionalità univoca che si manifesta proprio attraverso la nostra stessa esistenza. Dal periodo della giovinezza si passa, infatti, a quello della maturità, per poi raggiungere la tappa finale del nostro viaggio attraverso la vita.

Rivivere il passato è impossibile. Le azioni dell’uomo sono destinate ad influenzare – in bene o in male – l’intera società, nonché il comportamento di altri individui.

Come viene però interpretato, a livello fisico, questa caratteristica insita nel tempo?

2.3. Che cos’è il calore?

Tutto ha inizio e prende progressivamente forma con il concetto di calore. Il giovane fisico Sadi Carnot, intorno al XIX secolo, comincia a studiare il rendimento delle macchine termiche e, dunque, il calore che permette loro di funzionare. Il calore viene da lui ‘erroneamente’ immaginato come un fluido che passa dalle cose calde alle cose fredde.

Sarà però Rudolf Clausius a comprendere, in ultima analisi, che anche la diffusione del calore segue una direzione ben precisa, ovvero non può passare dalle cose fredde alle cose calde.

Può soltanto accadere il viceversa. Dunque, quest’ultima è la specifica che Carnot non aveva minimamente considerato.

E non solo.

Il calore non “cade”, non è concreto, come affermava Carnot. Se fosse così, infatti, il calore potrebbe tranquillamente fluire in avanti ma anche tornare indietro, se venisse considerato come un semplice oggetto (come ad esempio una pallina che, rimbalzando, può anche tornare indietro).

Sembrerà assurdo, ma il concetto di calore è direttamente collegato al concetto di tempo. Non appena ho letto questa affermazione, ammetto di aver dovuto leggerne la spiegazione più e più volte, senza però riuscire a comprenderla fino in fondo.

Non che il libro non la spieghi bene, anzi. Magari è solamente questione di abitudine nonché rilettura di quelle continue sperimentazioni che solamente esperti di chimica-fisica e fisica potrebbero comprendere appieno. Non capita certo tutti i giorni di dover pensare al calore per poi rapportarlo al tempo.

Apparentemente, le due cose non collimano. Eppure, i grandi studiosi del passato sono riusciti a spiegare anche questo.

Vediamo in che modo.

2.4. La relazione tra tempo e calore

Per spiegare la correlazione tra tempo e calore è necessario introdurre una forza che tutti avranno, almeno una volta, sentito nominare: la forza di attrito. Tale forza è quella che si oppone al moto di un oggetto in movimento.

Ad esempio, se lasciamo andare un carrello della spesa questo, prima o poi, si fermerà, poiché soggetto ad una forza di attrito che si esercita sulle piccole ruote dello stesso e che, dunque, ne decreta la fermata.

Certo, ciò dipende dalla superficie in cui ci troviamo. Nel caso sovraesposto, ovviamente non possiamo trovarci in una discesa ripida, altrimenti il principio non funzionerebbe.

Ma che diavolo c’entra il calore con tutto questo?

Incredibile a dirsi (almeno per me): l’attrito è in grado di produrre calore. Effettivamente, a pensarci bene non sembra così strano, dato che l’attrito si oppone alla forza da noi applicata.

Maggiore è la forza che applichiamo all’oggetto, maggiore è la forza che si oppone al nostro movimento e dunque più tempo ci vorrà affinché l’oggetto si fermi definitivamente.

Questo fluire del calore, che esattamente come il tempo, non potrà procedere a ritroso, sarà per Clausius un punto di svolta. Sarà lui, infatti, a introdurre il terribile e temibile concetto di entropia, parola derivante dal greco e simboleggiata dalla lettera maiuscola S.

Ma che cosa indica, esattamente, questa grandezza?

2.5. Entropia e disordine

La parola entropia, nella sua accezione più semplice, significa disordine. In natura, qualsiasi processo tende a raggiungere il maggior grado di disordine possibile. Dunque, l’entropia è sempre maggiore e uguale di zero, non diminuisce mai.

Da questa considerazione, si è scoperto il secondo principio della termodinamica che, paradossalmente, è stato addirittura scoperto prima del primo principio.

Ecco, dunque, la distinzione tra passato e futuro.

Problema risolto, direte.

Affatto: ciò che si è detto non basta a comprendere o quantomeno a cogliere il significato dell’intera faccenda. Sarà infatti il grande fisico Ludwig Boltzmann a chiarire (o a complicare?) ulteriormente la situazione.

2.6. Ludwig Boltzmann: “il terrorista algebrico”

Eccoci finalmente giunti al punto focale di questo articolo. L’equazione che spiega effettivamente la direzionalità del tempo viene sviluppata da Boltzmann, un fisico dal temperamento instabile e dalle idee brillanti. Così brillanti, eppure così osteggiate dalla comunità scientifica dell’epoca.

Ma Ludwig, profondo ammiratore della verità, non si arrende o, almeno, non ancora.

Il grande scienziato riesce, dopo numerosi studi, a comprendere la vera essenza del calore a livello microscopico e macroscopico. Il calore non è altro che un’agitazione delle molecole. Un’agitazione regolata, in particolare, dalla temperatura.

All’aumentare della temperatura, infatti, aumenta l’agitazione termica delle molecole e gli urti tra queste. Ovviamente, la violenza e la frequenza di tali urti dipende anche dal recipiente in cui le stesse molecole sono contenute.

Se, ad esempio, queste si trovano all’interno di un contenitore a volume ridotto gli urti aumenteranno notevolmente, ancor di più aumentando la temperatura.

Insomma, per Boltzmann, l’intero universo è contenuto in un bicchiere. Infatti, dal punto di vista macroscopico, un bicchiere poggiato su un tavolo sembra non possegga alcuna energia. In realtà, però, a livello microscopico, il bicchiere pieno d’acqua contiene al suo interno delle molecole che si agitano furiosamente, in un continuo scontrarsi.

Dunque, anche le molecole operano una complessa quanto affascinante danza all’interno di quel semplice bicchiere. Una danza disordinata e confusa, che permette alle cose fredde di essere riscaldate dalle cose calde, composte da molecole in continua agitazione termica.

Il cuore pulsante della teoria del calore è, quindi, il mescolamento. Il calore passa dal caldo al freddo attraverso un continuo disordine particellare che, paradossalmente, possiede un andamento proprio e unidirezionale.

È questo ciò che genera a noi comuni mortali la più ‘straziante’ confusione: il calore si propaga in una modalità precisa e che non può essere  invertita, eppure lo fa in maniera caotica, disordinata. L’entropia è destinata, pertanto, ad aumentare, in contemporanea al mescolamento di tali particelle.

Essa, così come il tempo, è irreversibile: non si può infatti riordinare un mazzo di carte che è stato mescolato senza incorrere a dei cambiamenti nell’ordine delle stesse. Non si tornerà mai, dunque, allo stato originale. Non si tornerà mai al passato.

Una stanza disordinata può essere riordinata in pochissimi modi seguendo una ‘logica’, mentre non è vero il contrario. È molto più facile, infatti, renderla disordinata spostando le cose a nostro piacimento (e a nostro rischio e pericolo), piuttosto che ‘perdere del tempo’ a riordinarla secondo uno schema preciso e ben ragionato.

Uno schema che, tra l’altro, provoca il riscaldamento delle nostre sinapsi e dunque l’attivazione del mostro cervello, il quale cerca di elaborare metodicamente un sistema efficace per far sì che si possano ritrovare vari oggetti e affetti personali in modo semplice e immediato.

Da uno stato di bassa entropia si passa, perciò, ad uno stato sempre più disordinato, con conseguente aumento della stessa.

Ricollegandoci ad un fatto scientifico, ad esempio, la reazione che coinvolge la dissociazione dell’acido cloridrico (acido forte), è una reazione irreversibile. Essa può, infatti, essere scritta come:

HCl(aq) + H2O(l) —-> H3O+(aq) + Cl-(aq)

Nella reazione, HCl perde un protone cedendolo all’acqua, che ricevendolo, si comporta da base. Lo ione cloruro, (Cl-), essendo la base coniugata dell’acido, potrebbe a sua volta ricevere un protone.

La reazione inversa è però impossibile.

Lo ione Cl-, infatti, essendo un anione derivante da un acido forte, non può riformare come prodotti HCl e H2O, dato che questi ultimi reagirebbero a loro volta per ridare H3O+ e Cl-. Dunque, scrivere:

Cl-(aq) + H2O —–> HCl(aq) + OH-

non ha senso, poiché Cl- non ha alcuna tendenza a reagire.

Tralasciando (per ora) la teoria alla base di questo comportamento chimico e tornando alla nostra ‘beneamata’ entropia, Boltzmann conclude che tale fenomeno è costituito da numerosi stati microscopici di cui l’essere umano non può distinguere il passato, né tantomeno il futuro. Se mi perdessi a descrivere i dettagli di un dato evento, si perderebbe infatti la visione del tempo come sequenza delle varie fasi che compongono la nostra vita.

Questa conclusione mi ha lasciato senza parole e, a dire la verità, ancora mi si arrovella il cervello nel tentare di interpretarla. Spero che i prossimi capitoli del libro riusciranno a fornire ulteriori delucidazioni in merito a questo concetto di visione soggettiva che ciascuno di noi ha del mondo. In effetti, vi è un non so che di filosofico, in tutto questo.

2.6. “Conclusioni” 

La conclusione assoluta del capitolo è, comunque, la disgregazione del passato e del futuro cui facevo riferimento all’inizio. Perché si va incontro a tale distruzione?

Sembra tutto così incredibile…

In realtà, trovo ancora più incredibile il fatto che un semplice essere umano abbia pensato al tempo e ai suoi misteri con una profondità tale da riuscire a sfatare le vecchie credenze. Ma Boltzmann non era un tipo qualunque… era una mente eccelsa.

Una mente brillante rimasta però vittima del suo genio: egli ha infatti posto fine alla sua vita sparandosi un colpo di pistola. Pensandoci bene, però, la cosa potrebbe non apparire così sorprendente. I continui scontri con la comunità scientifica dell’epoca sono stati, in effetti, davvero forti e un’anima sensibile come la sua non ne sarà certo uscita indenne.

Ma sarà stato davvero questo ciò che lo ha spinto a questo tragico quanto folle gesto? Oppure, Boltzmann aveva implicitamente compreso ancor prima di tutti gli altri che, in un tempo come quello che stava vivendo, – così come in un prossimo futuro – le sue idee non avrebbero trovato terreno fertile a causa della chiusura mentale dei suoi oppositori e, conseguentemente, del mondo contemporaneo?

Era forse ben consapevole ‘dell’effetto domino’ che si sarebbe creato a causa di quelle assurde convinzioni che i grandi pensatori avrebbero tramandato di generazione in generazione, come una sorta di peste nera in grado di distruggere totalmente il progresso?

In sostanza, Boltzmann aveva perso davvero la speranza, la fiducia nel futuro?

Sì, e magari tutto ciò sarebbe stato lecito, dati i suoi burrascosi trascorsi e le sue vicissitudini.

Eppure, a distanza di un secolo, è accaduto esattamente il contrario di quanto egli poteva aspettarsi. Sembra, dunque, che il tempo gli abbia dato ragione.

Sembra proprio che il tempo (quello stesso tempo cui lo scienziato aveva smesso di credere suicidandosi) abbia aggiustato ogni cosa, mescolando ‘sfocatamente’ le visioni dei vari studiosi e pensatori arrivando, ancora una volta, a mettere un ordine paradossale a quelle che, al tempo, sembravano essere delle idee senza alcun fondamento scientifico.

Ricadiamo, pertanto, nell’ennesimo paradosso. Nel XX secolo, il tempo non si è affatto fermato ma, nel frattempo, è in qualche modo rimasto ancorato con un piede nel passato e con lo sguardo dritto e aperto nel futuro.

Uno sguardo che ha saputo dire basta ai pregiudizi, alle strampalate quanto euristiche convinzioni.

Uno sguardo che ciascuno di noi dovrebbe assumere ogni qualvolta si prefigge l’obiettivo di scoprire ciò che si cela dietro questo piccolo grande universo.

passato
Questa breve – quanto complessa – equazione racchiude l’essenza del pensiero scientifico di Boltzmann. Un’equazione in cui la differenza tra passato e futuro scompare, lasciando il posto all’interpretazione ‘sfocata’ e continua dei fenomeni, senza alcuna distinzione temporale. Tale equazione è diventata una sorta di epitaffio commemorativo allo scienziato, infatti questa è incisa nella sua tomba, a Vienna.

Pubblicato da Eleonora

Sono una ragazza curiosa dalle molte passioni: amo scrivere, leggere (ovviamente), disegnare fumetti, ascoltare musica - specialmente appartenente al filone del rock progressivo - e ballare, soprattutto i Latino-Americani. Mi piacerebbe molto imparare a suonare il pianoforte, nonché trovare un partner ballerino con cui condividere la mia grande passione per la danza... Lo so, forse chiedo troppo!

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