“Il (dannoso) culto del 30”

Non appena ho cominciato a frequentare la magistrale in Chimica Organica (e non appena ho convinto me stessa ad “affilare le armi”), mi sono segretamente posta un obiettivo: non saltare nemmeno una sessione (d’esami, s’intende). Insieme a questa “silente promessa”, mi sono altresì imposta una maggiore partecipazione in classe durante le lezioni – alias tormentando i professori di domande proprio quando serviva, onde evitare ulteriori drammi una volta tornata a casa.

Sul primo punto, molti studenti fanatici del prog rock potrebbero chiamare in causa It, la celeberrima, ultima traccia del grandioso concept album And The Lamb Lies Down On Broadway (1974) dei Genesis, in risposta a chiunque possa far notare loro che l’obiettivo che si sono preposti sia fin troppo pretenzioso e, almeno in prima battuta, assolutamente irrealizzabile. D’altra parte, per uno studente fuorisede (quale sono io) che viaggia tutti i santi giorni per assistere alle lezioni e/o frequentare laboratori potrebbe, alla lunga, rappresentare un grossissimo problema anche solo prepararsene una, di materia.

Ebbene, sempre citando It, io potrei benissimo rispondere a chicchessia con una massima gabrieliana: “If you think that it’s pretentious, you’ve been taken for a ride!”. Tradotto: “Se pensate che sia pretenzioso, sarà meglio che andiate a farvi un giro!”. Come vedete, Peter Gabriel non le mandava certo a dire. E io, di riflesso, mi accingo a prendere esempio da lui.

Che l’obiettivo prefissato fosse di difficile attuazione, in effetti, non l’ho mai messo in dubbio. Ma sono sempre dell’idea che tanto impegno e tanta determinazione non possano andare sprecati. Era proprio questo, l’obiettivo. Sprecare il minimo tempo possibile in cose che, pur non considerando futili (la scrittura, in primis), mi avrebbero comunque tolto parecchie energie per altro, alias lo studio delle materie in questione.

Al netto di tutto, ci sono riuscita. Ovvio, non sono certo mancate le complicazioni. Il tempo per studiare si riduceva sempre più all’osso, e purtroppo in molte occasioni si è stati costretti a ridurre il tutto “ai minimi termini” (o quasi), pur di partecipare alla sessione a cui tanto aspiravo. Non che avessi, come si suol dire, una pistola puntata alla testa, ma di fatto la canna di quella pistola io la sentivo, e non era nient’altro che Il Signor Tempo. Quel tempo che scivolava via come niente, di fatto lasciandoti sempre più in balia dei numerosi concetti che avresti dovuto conoscere in tutta la loro “precisione” ai fini di “un esame coi fiocchi”.

Il 24 di febbraio, dopo il bel 28 conseguito in Spettrometria di Massa, è stata la volta di Chimica Farmaceutica. Un esame che – va detto – ho maledetto più e più volte (e l’avevo, ahimé, scelto di mia sponte) a causa del fatto che il professore avesse spiegato quasi tutto il programma in un modo assolutamente caotico e poco incline ai collegamenti che avremmo, a detta sua, dovuto dimostrare di saper fare durante l’esame.

Perché non ho cambiato materia come avevo già fatto in precedenza, allora? Semplicemente perché sulla piattaforma adibita agli insegnamenti c’erano tutte le sue lezioni registrate. E questo, per inciso, significava: più tempo per studiare a casa, meno viaggi e nessun problema inerente a sovrapposizioni con le altre materie che stavo seguendo in quel periodo (C. Organica IV – C. Fisica IV).

Per farla corta, l’appello di fine febbraio si è concluso con queste parole: “Metterti solo, che so, un 25 non sarebbe giusto, perché meriteresti molto di più”. C’è da dire che nella prima parte (consistente nel portare una classe di farmaci a piacere) dell’esame me la sono cavata anche piuttosto bene, quindi contavo comunque di potercela fare. Nella seconda, purtroppo, complice le spiegazioni caotiche del professore – come le conseguenti (e in parte intrinseche) difficoltà nel farmi entrare nella testa una marea di definizioni –, non sono “riuscita a farmi valere” quel tanto che bastava a estinguere l’esame nel “migliore dei modi”.

Ma mi sarei rifatta nella sessione di aprile (sì, alcune volte qualche docente ha pietà di noi e apre gli appelli normalmente destinati ai fuoricorso/laureandi anche a quelli in corso), o perlomeno era quello che speravo. Effettivamente, qualche giorno fa mi sono “portata a casa” un 26, peraltro rifilatomi come se avessi preso un misero 18, o giù di lì.

Che ci volete fare: il culto del 30, soprattutto in magistrale, sembra essere l’unica cosa che conta o che debba contare per lo studente. E così, lo stesso studente finisce per svalutare quanto ha imparato, diventando vittima di uno squallido sistema che di fatto non promuove lo spirito di sacrificio, ma soltanto la “singola prestazione” del discente, che tra l’altro è scandita da tutta una serie di fattori (non sempre controllabili) quali conoscenze/competenze, fortuna e… umore del docente (soprattutto).

Una cosa posso dirla: a differenza della volta scorsa, lui mi ha praticamente assaltata con le domande, chiedendomi qualsiasi cosa. A differenza di un’altra ragazza che portava il mio stesso argomento, che ha scritto una struttura di numero (io ne ho scritte almeno nove, insieme a un paio di meccanismi di reazione), che non è stata torchiata quasi per nulla, che d’altra parte ha fornito anche la risposta sbagliata alla domanda inerente alla seconda parte del programma (con me stavolta si era fissato, e praticamente abbiamo passato un’ora a discutere sugli antibiotici β-lattamici), e a cui però il docente ha messo un 30 condito dalle parole “però attenzione a questa cosa” (da quando in qua a uno studente a cui metti 30 vai a dire “però attenzione?”).

Certo, io non sono stata sicuramente al top in tutto (magari se avessi avuto più tempo sarebbe potuta andare meglio, anche se non è detto!), sulle prime avevo persino pensato di rifiutare il voto (cosa che fino a qualche tempo fa avrei considerato un sacrilegio), più per orgoglio (e rabbia verso un docente che palesemente usa spesso due pesi e due misure per valutare gli studenti) che per altri motivi. Ma vabbè, alla fine mi sono detta che rifiutare non sarebbe stata una mossa intelligente, soprattutto alla luce dell’imprevedibilità del suddetto docente (come del suo non essere chiaro in molti punti). Ergo, dopo essermi concessa un po’ di tempo per riflettere, mi sono presa questo 26 concludendo così la mia sessione infernale invernale con la consapevolezza di aver comunque fatto del mio meglio. E questo, malgrado dentro di me permanga ancora un filo di amarezza, credo sia molto più importante rispetto a un voto superiore o pari al 27. Mi sono destreggiata tra innumerevoli lezioni, registrazioni di Analisi Organica per cercare di stare al passo con gli argomenti e non perdere troppo il filo, viaggi su viaggi, ore di laboratorio per quasi due mesi interi, e tutto senza quasi respirare.

Dovrei  quindi essere fiera di aver dato due esami, essermi presentata a tutte e tre le sessioni e aver comunque affrontato i miei demoni nonostante tutto ‘sto marasma?

SÌ. Perché tutti questi sacrifici, al netto del dannoso culto del 30 (sì, perché il professore mi aveva persino detto che sarebbe stato meglio tornare un’altra volta, “se aspiravo al 30”!), e al netto delle ingiustizie a cui di tanto in tanto ci capita di assistere, valgono senz’altro più di un numero (come del resto).

Ergo… siate sempre fieri dei vostri sforzi, anche se ci sarà sempre chi, non conoscendo la vostra storia o i salti mortali che avete fatto per essere lì quel giorno, a dimostrare quanto avete imparato, farà sempre di tutto per sminuirli!

Pubblicato da Eleonora

Sono una ragazza curiosa dalle molte passioni: amo scrivere, leggere (ovviamente), disegnare fumetti, ascoltare musica - specialmente appartenente al filone del rock progressivo - e ballare, soprattutto i Latino-Americani. Mi piacerebbe molto imparare a suonare il pianoforte, nonché trovare un partner ballerino con cui condividere la mia grande passione per la danza... Lo so, forse chiedo troppo!

2 Risposte a ““Il (dannoso) culto del 30””

  1. Quando avevo dato Chimica Farmaceutica (2 CFU, ma un mattone di roba che ne valeva di più) avevo preso 28 per aver sbagliato l’idrolisi della pennicillina, il che mi è costato ben 2 voti. E vabbé.
    Comunque a proposito del culto del 30, mi raccontavano che qui a Torino a Medicina meno di 25 non danno. Piuttosto bocciano. O meglio, invitano a ripresentarsi all’appello successivo.
    E poi… 28 di MS? Ma bravissima!

    1. Eh già, su MS ci avevo fatto pure il post, e mi ricordo molto bene il tuo bel commento!

      Per C. Farmaceutica, da noi vale 6 CFU, e se non fosse che la prima parte dell’esame consisteva in un argomento a piacere, penso avrei sclerato anche di più… Anzi, alla fin fine ho avuto ben poco tempo per “lamentarmi”, ma credo sia stato meglio così!
      Certo, da una parte non so se ho fatto bene ad accettare il voto, ma buttare via così una sessione mi sembrava proprio un sacrilegio… Posso solo cercare di andare avanti e vedere cosa ne ricavo dagli altri esami, e poi magari farne un bilancio.
      Per medicina… boh, non so se valutare come positiva la cosa che mi hai raccontato, però credo che questa ossessione per i voti alti, alla lunga, faccia più male che bene.
      Certo, è bello essere ambiziosi e conosco la sensazione che si prova nel prendere il massimo, però l’università mi ha anche insegnato che non sempre i voti che si prendono corrispondono all’effettiva preparazione dello studente.
      E questo l’ho appurato in primis con Organica III: ho preso quel misero 22, ma paradossalmente ancora adesso mi ricordo una marea di particolari, cosa che invece non posso dire per Inorganica II, dove ho invece preso il mio primo 30.

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