Forse Le Lucciole Non Si Amano Più – 1977

 

«E quando il vento ancora si fermava un po’, tra i miei capelli inventavo favole.

Poi caddi giù, ma avevo già le mani in tasca […]

[…] Come un sipario scuro sempre si alzerà, una luce accesa o spenta ci sarà. 

Mentre dal buio intanto spunterà una nuova favola.» […]

 

Forse Le Lucciole Non Si Amano Più 

 

[…] Non avrai nel cuore l’odio nascosto in castelli e città,
Qui senza rumore rubati i silenzi di antiche realtà
E seguirai le acrobazie strabilianti della tua mente accesa
Danze di parole, giochi bellissimi che inventerai,
Storie antiche e nuove insieme agli altri mi racconterai,
I tuoi pensieri specchi di altri mondi suoneranno dolcemente
Note che in silenzio ascolterai. […]

 

 Cercando Un Nuovo Confine

 

Molto spesso, nell’ambito musicale come in qualsiasi altro, le scoperte casuali sono sempre quelle più interessanti. Effettivamente, sono stati davvero tanti gli album – come le canzoni – che ho conosciuto solo grazie all’innocente riproduzione automatica di YouTube, o ancora grazie alle playlist pre-confenzionate di Spotify. E devo proprio dire che le emozioni non mancano mai. Alle volte, le suddette emozioni sono assai difficili da quantificare e, per quanto mi riguarda, riescono a infondermi quell’agognato senso di tranquillità, ma, nel contempo, un entusiasmo capace di stravolgere appieno la monotonia che scandisce le mie giornate.

Lo scorso anno, nello specifico, mi sono innamorata di un album (o forse dovrei dire di un gruppo?) che mai potrò dimenticare. Non sono solita parlare spesso del progressive italiano, o dello “spaghetti prog”, come viene volgarmente chiamato, ma… da quest’anno in poi, mi piacerebbe concedergli lo spazio che merita. Non conosco poi molti album prog italiani, ma sono più che disposta a una formazione continua sull’argomento (per quanto mi sia possibile goderne), al fine di parlarne un po’ di più.

Già, non c’è proprio niente da fare: anche se siamo ormai nel 2022, io mi ostino a continuare la mia vita di sempre andando a ritroso, pescando e ripescando nel passato. Della serie: anno nuovo, vecchie abitudini. E mentre tutto il mondo fuori continua a propinarmi musica dal cui ascolto coatto, molto spesso, non riesco che a trarre l’ennesima certezza legata al fatto che nessun altro genere al mondo possa regalarmi le stesse emozioni del progressive, non senza dolore, io vivo (Cit). Tranquilli, sto solo scherzando, non ho alcuna intenzione di riparlare dei Banco del Mutuo Soccorso (sempre che voi abbiate riconosciuto l’album da cui è tratta la Cit.!). O almeno non oggi.

In effetti, il titolo lunghissimo di questo post fa riferimento al disco di esordio de La Locanda delle Fate, una delle tante band progressive poco conosciute e altrettanto destinate a scomparire sin troppo presto dalla scena musicale. Questo gruppo originario di Asti, in effetti, si sciolse soltanto nel 1980, a distanza di tre anni dal primo album. Si  sarebbero riuniti solo più tardi, verso la fine degli anni ’90, quando pubblicarono Homo Homini Lupus (album che, purtroppo, ha ben poco a che vedere con le mie amate lucciole!). Spietata concorrenza a parte – nel panorama italiano, (come se nel resto del mondo la situazione non fosse la stessa!) c’erano all’attivo già sin troppe band progressive –, nel 1977 questo genere di musica, purtroppo, stava subendo un lento ma inesorabile declino, e tutto a favore del punk rock e del pop. Ma si sa: non è mai troppo tardi per sognare. E questo disco, di sicuro, non ci priva dell’opportunità di farlo.

Devo comunque essere onesta: all’inizio, non apprezzavo poi molto questo album. Avevo provato ad ascoltarlo, ma dopo un quarto d’ora spicciolo decisi di abbandonare l’impresa. Un déjà-vu, insomma. Con i BMS avevo fatto praticamente la stessa fine. Stravaccata sul divano, lo sguardo perso nel vuoto, l’espressione corrucciata volta a cercare di capire un album (Darwin!) di cui ancora oggi – ammetto pure questo – capisco ben poco, ma che però, a differenza di qualche anno prima, riesco musicalmente ad apprezzare. No, la voce di Leonardo Sasso (come quella di Francesco di Giacomo) non mi aveva particolarmente convinta (lo so, apprezzare le voci prog italiane è sempre difficile). Forse perché non riuscivo ad amalgamarla con le stupende melodie del disco, o più semplicemente… perché i tempi non erano ancora (troppo) maturi.

Insomma, alcune volte mi piace paragonare il progressive ai miei studi universitari: ci sono stati degli esami che agli inizi ho disprezzato enormemente, vuoi per colpa dei docenti, vuoi (soprattutto) perché non riuscivo a capirne la logica. Ma cosa succede una volta che si è capito il gioco? Kaboom. La prospettiva pare ribaltarsi. E di colpo ti si apre un mondo (anzi, il mondo) e riesci persino a sorprenderti di quelle cose che solo qualche tempo prima definivi come un’assurda perversione scientifica concepita tanto per. E il rock progressivo non è affatto esente dalla cosa. Nell’ambito “musica” ho cambiato spesso idea (in altri campi della vita e sul conto di alcune persone un po’ meno, ahimé); e queste idee sono tuttora in continua elaborazione/trasformazione. Certo che sì, il moto perpetuo esiste. Ma soltanto nella mia testa strabordante di pensieri, s’intende (non sia mai che al mio ex-professore di Chimica-Fisica I fischino le orecchie)!

Tornando al disco… la copertina dello stesso mi ha colpito sin dal primo istante. Ma le splendide tracce di cui si fa portavoce mi hanno letteralmente conquistata. Questo album si avvale di complessi cambi di ritmo, partiture musicali di alto livello che permettono all’ascoltatore di viaggiare in un mondo in cui la dura realtà delle cose si mescola alla fantasia in un modo spaventosamente calibrato, senza troppi virtuosismi, ma nemmeno con eccessiva semplicità. Probabilmente, all’inizio il passo più complicato sarà abituarsi alla voce di Sasso; la melodia classicheggiante che riecheggia in tutto l’album, invece, ci conquista al primo ascolto – o quasi!. E tutto attraverso l’ausilio della chitarra acustica (E. Vevey/A. Gaviglio), del flauto traverso (A. Gaviglio), della batteria e del basso (G. Gardino/L. Boero) e dell’immancabile pianoforte (M. Conta/O. Mazzoglio), strumento predominante. Le tematiche? Questo disco, come detto esplicitamente dal vocalist: è un viaggio all’interno dell’uomo che si interroga durante le diverse stagioni della propria vita, una ricerca che va al di là della narrazione come cronaca o delle progressioni armoniche, bensì, entrando nei particolari, descrive gli stati d’animo che incontra, in una lucida necessità di risposte, cercando di limitare la retorica dell’intuizione.

Forse Le Lucciole Non Si Amano Più
Forse Le Lucciole Non Si Amano Più – 1977

Il nostro tour virtuale incomincia con A Volte Un Istante Di Quiete: a mio parere, un ottimo strumentale (personalmente, mi sono bastati i primi cinque secondi di ascolto per innamorarmene all’istante) in cui si intersecano, in maniera del tutto naturale, il pianoforte e la batteria, in un perfetto connubio che ci introduce all’interno di un mondo fatato. La composizione è davvero vivace e per nulla noiosa; i vari cambiamenti di ritmo di cui si avvale la rende sicuramente degna di nota, anche se… io  trovo questo pezzo semplicemente divino. Stupefacente.

La seconda traccia, omonima al titolo dell’album, è stata una di quelle canzoni che non riuscivo proprio ad apprezzare, e invece… è poi diventata una delle mie ossessioni. Quasi dieci minuti di puro sperimentalismo musicale, un sofisticato coacervo di suoni dai quali spicca la voce potente di Sasso. Il testo della canzone non è di facile interpretazione: molto probabilmente, ogni singola canzone dell’album profuma di una sentita nostalgia correlata alla sfera dell’infanzia. Quando si è piccoli, si vive di facili illusioni e i sogni sono tanti, forse troppi. Quando si cresce, purtroppo, si perde un po’ non solo quell’ingenuità e quella meraviglia tipica dei bambini, ma anche un po’ di speranza, di fiducia nel domani. 

 

«Troppo scuri i silenzi dei dintorni e qui dentro… forse le lucciole non si amano più.»

 

Questa frase, forse, racchiude tutta l’essenza dell’album. Quando un silenzio assordante si dilaga dentro e fuori di noi… è allora, e proprio allora, che si è entrati nella spirale del dubbio e dell’incertezza. Due sono le cose: lasciarsi andare o… rifugiarsi nuovamente in quella dimensione onirica che tanto abbiamo osannato da piccoli. Quindi si ritorna agli albori. Alla tematica del sogno come ferma contrapposizione di una realtà che non apprezziamo poi troppo (soprattutto di questi tempi) e che è quasi sempre pronta a regalarci infiniti grattacapi, piuttosto che gioie condivisibili.

Anche in Profumo di Colla Bianca si avverte questo senso di profonda nostalgia per il passato infantile. Un mondo in cui tutto assumeva le tinte del rosa. Ed ecco che, ormai adulti, ci si ritrova a rientrare in quell’esigua soffitta nella quale giacciono i resti di un tempo, tra cui un vecchio giocattolo e, magari, una miriade di album di figurine attaccate con la mitica Coccoina (il titolo della canzone fa riferimento proprio a questa colla bianca, assai più nota alle vecchie generazioni).

 

«Ombre riposano nella soffitta buia
Tra i resti di un tempo e i ricami della luce
Con la polvere trasformano
Libri e quaderni vecchi
E un sogno rimasto a specchiarsi nel tempo
Tra rovine di un giocattolo
Profumo di colla bianca, ritrovato qui
Fantasmi vecchi e nuovi si confondono…»

 

I ricordi del glorioso passato si mescolano ai problemi del presente. La differenza si avverte eccome: Raccolgo un libro di immagini sbiadite dalla realtà, recita Sasso. La realtà ha cancellato le illusioni, le speranze e la gioia di vivere. Riacquistare la visione celestiale di un tempo sembra quasi impossibile, ormai…

 

Ma il profumo di colla bianca si è fermato qui
Per regalare al vento le mie maschere…

 

E con questa canzone si conclude il LATO A del disco. Nella seconda parte, composta da Cercando Un Nuovo Confine, Sogno di Estunno, Non Chiudere a Chiave Le Stelle e Vendesi Saggezza, l’affannoso tentativo di nutrire le solite illusioni cerca di vincere l’incedere del tempo. Cercando Un Nuovo Confine è la mia canzone preferita (anche in questo caso, una grandissima parte del merito va al mio adorato pianoforte); un perfetto intreccio di melodie che alimenta in noi quel senso di profonda nostalgia per quello che è stato. Quel qualcosa che, purtroppo, non tornerà più, ma che è destinato a far parte di una Sequenza Circolare (bonus track!) ben definita, di quel moto perpetuo di pensieri che è, da sempre, in ciascuno di noi. 

 

«Mentre voli in alto, in braccio comete venute per te
Lasci indietro un mondo, miscuglio antico di sogno e realtà
Fili che non conoscerai, intrecciati, legati a nodi immensi
Non avrai l’amore, ma la tua pelle non invecchierà
E rimani un fiore, un fiore che il vento non sciuperà mai
Sentieri intrisi di linguaggi strani, e malinconia che sempre,
Si dispone chiara dentro noi…»

 

Insomma, all’interno di questo affascinante marasma di suoni progressive, qual è cosa più importante? Non Chiudere A Chiave Le Stelle. Perché chiudere a chiave tutti i nostri sogni dentro a un vecchio cassetto non significa solo morire, bensì rassegnarsi all’inesorabile flusso del tempo. Rinunciare per sempre all’io sognatore. Cosa fare, dunque? Forse, bisogna soltanto cercare di cogliere l’attimo. O meglio, quei fugaci attimi di cui si compone tutta la nostra esistenza. Come? Basta correre con prudenza.

Perché come dice Estunno: È strano, sai, avere tanta voglia di correre e muover piano i passi per non sciupare l’attimo di libertà.

 

[…] «Se nascondi il mondo agli occhi,
rischi non ne corri mai» […]

 

Pubblicato da Eleonora

Sono una ragazza curiosa dalle molte passioni: amo scrivere, leggere (ovviamente), disegnare fumetti, ascoltare musica - specialmente appartenente al filone del rock progressivo - e ballare, soprattutto i Latino-Americani. Mi piacerebbe molto imparare a suonare il pianoforte, nonché trovare un partner ballerino con cui condividere la mia grande passione per la danza... Lo so, forse chiedo troppo!

4 Risposte a “Forse Le Lucciole Non Si Amano Più – 1977”

  1. Purtroppo a me non intriga lo spaghetti-prog… Però amo molto la scuola di Canterbury (come be sai) e conosco abbastanza bene il progressive americano e canadese del Quebec, che sono poco conosciuti qui in Italia…

    Come destino questa band mi ricorda appunto i Quill, una delle pochissime band progressive americane, che pubblicò un unico (per me meraviglioso) disco nel 1977 (una suite in due parti di 30 minuti), e che concluse la sua esperienza subito a causa del proliferare del punk (fecero poi una seconda suite, suonata solo dal vivo, introvabile, mi mangio le mani al pensiero).

    Quanto a voce indigeribili del progressive, potresti ascoltarti Julia dei Pavlov’s Dog… Terrificante, anche se la musica è piacevole….

    1. Mi hai incuriosita! Vedrò di aggiungere alla lista questa band americana, allora! Comunque a volte è così: basta un solo album per innamorarsi di un gruppo!
      Quanto ad alcune voci, è un peccato che non siano poi troppo orecchiabili… perché le melodie sono davvero pregevoli! Tipo i Camel… purtroppo la voce di Latimer non è proprio il massimo, ma a livello musicale non gli si può dir nulla, per quanto non siano “fenomenali”, diciamo…
      Per il prog italiano, penso che per ora I Banco e Le Orme siano insuperabili, almeno dal canto mio… difficile trovare qualche altro gruppo che mi possa appassionare!
      Tornando a te, invece… eh, la scuola di Canterbury è ancora un po’ un punto interrogativo, per me… devo ancora scoprire se possa o meno scattarmi una scintilla degna di nota!

  2. Facciamo così, metto un link, altrimenti è difficile da trovare, perché c’è anche un’altra band americana che si chiama Quill…
    Quill – Sursum Corda (prog americano)
    https://www.youtube.com/watch?v=_w_yX72fUok

    E poi ancora: prog del Quebec, contaminato con la fusion, a te che ami il pianoforte…
    Maneige – Mambo Chant
    https://www.youtube.com/watch?v=gpPU57EOn1o

    E per il prog di Canterbury:
    Caravan – Nightmare
    https://www.youtube.com/watch?v=gDTT5ucIBQ0

    1. Wow, grazie mille! Devo ammettere che quando ho letto la parola “pianoforte”, il mio cuore ha fatto “boom”! 🙈 Fosse l’ultima cosa che faccio in vita mia, un giorno spero (anzi, devo) proprio imparare a giocarci un po’!
      Ti farò senz’altro sapere cosa ne penso delle canzoni! Grazie ancora! 😊

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