Un esame, varie fornaci, una (grande) rivincita!

Prof: «Ah, lei è di Subiaco… Quindi subbiacciana/sublacense… E mi dica, lei si sente più subbiacciana o sublacense?»

Io, assai sorpresa da quella bizzarra domanda (l’esame era appena concluso e gli avevo chiesto gentilmente di firmarmi la ricevuta – tra le altre cose c’è scritto il mio luogo di nascita), rispondo di getto e gli dico… «Subiacciana!!!» – dentro di me, invece, mi domando: Ah ma perché, c’è forse differenza?»

Poi in ogni caso, ritratto (non so manco io il perché!) e gli dico… «Una via di mezzo tra le due!!!»

E mentre esco da quell’aula – dopo ben quasi cinque ore di attesa – con un sorriso a trentadue denti, non posso fare a meno di esclamare, sempre dentro di me: Alla faccia del paesello! ‘Sto Subiaco lo conoscono pure i muri (o quasi)!

 

(Durante una lezione) il prof ci rivolge la fatidica domanda che fa rabbrividire sempre tutti: «COME SI CHIAMA QUESTA MOLECOLA?»

Silenzio totale. A un certo punto, qualcuno (e no, quel qualcuno NON sono io!) trova il barbaro coraggio di osare: «Idrossi—»

Il prof (che subito vuole correre ai ripari): «Ah no, non me fate sentí “idrossi”, eh!»

Al persistere di quel silenzio così assordante, al professore non resta che sospirare e arrendersi di fronte alla massa di studenti impreparati: «Si chiama ALCOL PROPARGILICO! Nessuno lo chiama 2-propin-1-olo, okay?

Uno studente, dopo qualche attimo: «Mi scusi, professore, ma se all’esame avessimo detto “idrossi”»

Il prof, senza lasciarlo finire, se ne esce con un: «Mi sarei ADONTATO!»

Io, corrugando la fronte, estraggo il cellulare da sotto al banco, e come di consueto, be’…

 

treccani.it:

Adontare;  (ant. aontare) v. tr. [der. di onta] (io adónto, ecc.). – 1. ant. Fare onta, offendere. 2. intr. pron. Risentirsi come di un’onta per sé, ritenersi offeso, sdegnarsi: adontarsi per un nonnulla; s’adontò per le mie parole. Anticam. anche senza la particella pron. : Ed è chi per ingiuria par ch’aonti (Dante).

 

Io, dopo aver letto tutto per filo e per segno (e aver appurato, per l’ennesima volta, la mia totale ignoranza rispetto a questi professori che delle volte mi sembrano l’esatta personificazione di Petrarca): Altro che Chimica! Sicuri che non ci vogliano un bel po’ di lezioni di italiano?

 

Tra qualche settimana – e vogliate scusarmi se, miei carissimi lettori occasionali e non, non mi sono sfiatata prima (un verbo che peraltro casca a pennello, viste le condizioni meteorologiche attuali) –, il mio primo romanzo verrà pubblicato con una piccola casa editrice. Il titolo che ho scelto per quest’umile, umilissima opera è – udite udite! – “La Fornace”.

Proprio così. D’altro canto, da qualche tempo a questa parte (e come anticipato poco prima) non siamo stati forse subissati da quell’anomala ondata di caldo pazzesco che ti fa sudare millemila camice persino quando cerchi disperatamente delle zone d’ombra (calde anch’esse, ovvio) sul tuo impervio cammino? E quel cammino, be’… quello specifico cammino, solitamente, non consta quasi mai di scorciatoie allettanti che possano accorciarti la strada. È, anzi, pieno di insidie e altrettanti ostacoli. Insomma, è davvero molto lungo. Caspita se è lungo! Delle volte… sembra proprio non finire mai (proprio come i “Rotoloni Regina”, sì)!

Poi, quando a tutto questo solito marasma ci si aggiunge il sole cocente delle sette e un quarto del mattino (a quell’ora, a Roma già non si respirava!), capite bene che la situazione si fa quasi disperata. Ebbene: Roma era (è!) una fornace. Quindi ecco, be’, ehm… come dire… NO. Ovviamente non c’è nessun primo romanzo all’orizzonte, e se pure ci fosse (e non escludo possa nascere davvero tra qualche anno!) non gli conferirei certamente “l’intrigante” titolo con cui invece ho definito queste giornate così afose e assolate. Volevo solo creare un po’ di suspence, se così si può dire. Perché se dapprima ho dovuto affrontare la solita viuzza per arrivare indenne all’università, mi sono presto resa conto che La Fornace era praticamente OVUNQUE. Persino dentro al mio Dipartimento. Lungo i corridoi, nella quasi totalità degli anfratti che lo costituiscono. Dentro e fuori di me.

Sì, pure io per certi versi ero una fornace. E non soltanto per la grossa sudata che mi son dovuta fare (fossi stata la sola!) prima e dopo l’esame di Analisi Organica. Sentivo nel mio cuore una speranza che cercava d’accendersi sempre di più, ma io a quella speranza stavo cercando di non dare più spazio del necessario. Da quando ho cominciato questa benedetta magistrale, sento che a ogni esame cresce l’emozione, la tensione e tanti altri sentimenti che durante gli ultimi mesi della triennale, forse per mera “abitudine”, avevo acquietato quasi del tutto. Forse anche perché (o forse soprattutto!) la valutazione che ormai potevo conseguire a ogni singolo esame non era poi così “importante” come adesso – per quanto “quel numero”, ci tengo a ribadirlo, non definisce certo la persona che sei, come non sempre definisce le tue competenze-conoscenze effettive.

E se da un lato è lecito provare le suddette emozioni perché, malgrado gli effetti poco “lusinghieri” che alle volte comportano, ti ricordano che sei vivo e che non sei un robot, dall’altro non fai altro che redarguirti cercando di tenerle a bada, spesso dicendoti: “Cavoli, hai studiato dalla mattina alla sera, quindi di che ti preoccupi? Devi solo dimostrarlo!”

E io, a dirla tutta, tenevo veramente parecchio a quest’esame, tanto da affrontare una delle mie “paure” più grandi, alias… andare a ricevimento dal professore (a dieci giorni esatti dall’esame). Vi dico solo che mi è venuta più ansia al solo pensiero (e se non ho rigettato la colazione, ehm… poco c’è mancato!) di recarmi in studio dal mio ex relatore soltanto per chiedergli aiuto su una ventina di spettrini che mi avevano fatto sbattere la testa più e più volte, che l’esame effettivo sostenuto oggi – che è invece filato liscio come l’olio (sì e no se mi ha tenuta poco più di venti minuti!). Alla fine, come di consueto, ho affrontato ambedue le spinose situazioni consolandomi sempre col pensiero costante di aver fatto cose ben “peggiori” di queste (ma quante ne ho fatte!), per quanto alle volte io tenda a dimenticarmene. 

Proprio ieri mi è ricapitato tra le mani un vecchio quaderno di Analisi I. Non ho potuto fare altro che chiedermi, mentre lo sfogliavo con meraviglia e scetticismo insieme, come avessi fatto a non scappare subito a gambe levate nel sorbirmi tutti quegli strani geroglifici che il professore scriveva, cinque giorni su sette, alla lavagna. Non nego che quell’insolito coraggio me l’abbia dato, in primis, l’inaspettato centone della maturità, come anche quella curiosità spasmodica che mi spingeva ormai da tempo verso la Chimica e… ovviamente quelle poche – ma preziosissime – persone che ho avuto la fortuna di incontrare (o ritrovare, a seconda dei casi!) sul mio cammino. Al che mi sono detta che non potevo certo lasciarmi spaventare da un esame per cui mi sono preparata per quasi un mese e mezzo (con vacanze al mare comprese!) con tutta la grinta, la determinazione e la volontà di cui fossi capace.

Eh sì, questa volta ci ho messo veramente il cuore. Volevo riscattarmi dalla bruttissima, frustrante esperienza (con annessa, miserrima votazione) avuta con l’esame di Organica III. Volevo dimostrare a me stessa che, pur essendo perfettamente cosciente dei miei limiti, potevo migliorare e imparare molto altro, se soltanto avessi avuto il coraggio di guardare ben oltre a quella siepe che in ogni suo singolo particolare mi appariva così tetra e misteriosa. Dovevo combattere di più, superare quegli stessi limiti che mi ero imposta. E quindi ho scelto quest’esame ragionato (che non era obbligatorio nel mio corso di studi) a dispetto dei tanti altri che richiedevano solo e soltanto memoria (e quindi sarebbero stati, per me, di una noia infinita durante il meccanico processo di ripetizione!) per tentare di raggiungere tutti questi obiettivi – della serie: ma allora te le cerchi!

Il risultato? In pochi mesi ho imparato molto più di quanto, forse, avrei potuto apprendere durante tutte quelle volte in cui ho guardato e riguardato quei video di Organica III con la speranza di comprendere sul serio la metodologia per interpretare, in primis, gli spettri NMR (cosa che ero riuscita a fare solo in parte). Certo, non sono diventata la “maga della spettrometria” (magari!), ma perlomeno posso dire di saper leggere determinati spettri con maggior contezza/agilità.

E questo forse vale persino di più del bellissimo 27 conseguito oggi! Di sicuro sono stata ripagata dell’immensa attesa che mi ha abbrancato a più riprese il cuore e, soprattutto, il mio povero stomaco. Sono arrivata all’università alle 8 in punto. Alle ore 9, il professore ha fatto l’appello, e prima che toccasse a me avrà interrogato almeno altre sei persone. Mi sono vista alcuni studenti rifiutare dei 24 (credo che anch’io l’avrei rifiutato, a esser sinceri), come prendere dei 25, un paio di 26, un altro 27 e, purtroppo, persino un brutto 21. Senza contare che per alcuni era già la seconda volta che ritentavano l’esame (cosa che non mi ha affatto rassicurata)!

Potete immaginare quanto sia stato bellissimo non essermi sentita dire dal professore (a differenza dell’esame di C. Farmaceutica svolto ad aprile), a pochissimi minuti dall’inizio della prova: “Lei che aspettative ha per quest’esame? Vuole prendere un voto alto?”

Perché ormai ho capito anch’io “il giochetto”. Quando i professori ti propinano questa (brutta) domanda di rito, be’… le cose non si stanno mettendo poi tanto bene (anche se è ovvio, un umile studente potrebbe accorgersene già da sé!). E io, questa volta, non ho voluto assolutamente mostrarmi “troppo” indecisa – emozione a parte, quella un pochino ti frega sempre! –, ergo… ho cercato di sfoderare quanto sapevo senza incartarmi troppo, e finalmente sono contenta di essere di nuovo qui, nella mia personalissima fornace (sì, stiamo parlando di casa mia), sdraiata su di un bel lettone matrimoniale con la mia fida tastiera sulle gambe che, per inciso, si stanno praticamente bruciando perché… perché sì, pure il mio PC raggiunge, di norma, delle temperature assolutamente anomale – roba che se non mi sbrigo ad acquistare quel set di ventole che si usa come base per raffreddarlo, va a finire che tra poco si frigge pure lui!

 

Ps: Davanti al mio Dipartimento (e pure a quello di Geologia), stamattina c’era questo bellissimo esemplare di Mammut (avevano imbastito una conferenza sul cambiamento climatico e, in generale, sulla recente evoluzione geologica del nostro pianeta). Inutile dire che, tra le altre cose – alias i mille scongiuri che ho fatto per quest’esame –, mi sono raccomandata persino a lui, pensando che potesse portarmi fortuna!

Pubblicato da Eleonora

Sono una ragazza curiosa dalle molte passioni: amo scrivere, leggere (ovviamente), disegnare fumetti, ascoltare musica - specialmente appartenente al filone del rock progressivo - e ballare, soprattutto i Latino-Americani. Mi piacerebbe molto imparare a suonare il pianoforte, nonché trovare un partner ballerino con cui condividere la mia grande passione per la danza... Lo so, forse chiedo troppo!

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