‘Io, lei, l’altra…’

Fortunatamente, il mio rapporto con la bilancia è sempre stato normalissimo, benché spesso la gente si preoccupasse del mio aspetto fisico e, dunque, del mio peso, nonché del fatto che dovessi assolutamente nutrirmi di più. Beh, ovviamente e tanto per ‘rimanere in tema’, non ho mai dato molto peso alle loro considerazioni.

Ma quando ci si trova in un laboratorio – precisamente nel nostro ‘beneamato’ laboratorio di Chimica Analitica Quantitativa – e non ci si trova di fronte a una normalissima bilancia pesapersone o una bilancia digitale pesa alimenti, allora il discorso cambia.

Infatti, venire a conoscenza dell’esistenza di bilance antichissime e ultramoderne che hanno delle funzionalità (non molte, a dire il vero), apparentemente complicatissime può suscitare, almeno inizialmente, una certa dose di sorpresa accompagnata, (almeno nel mio caso) da un certo timore di combinare dei danni irreparabili.

‘Sentire’ la spiegazione del funzionamento della bilancia analitica nel primo pomeriggio, dopo una bella abbuffata di cibo nella mensa universitaria dalla quale è poi scaturito un profondo senso di sonnolenza non è proprio il massimo. Già, avevo provato ad ascoltare l’assistente, ma il senso di sazietà condito da una certa dose di ‘intorpidimento’ non mi hanno affatto aiutato a comprendere immediatamente il funzionamento di quel maledetto aggeggio.

In ogni caso, perché allarmarsi?

Sicuramente, potrò attingere a delle fonti autorevoli (compagni di corso, altri assistenti…) riguardo il meccanismo della pesata. Non sarà poi così terribile.

Sbagliato.

La mia primissima esperienza con la bilancia analitica è stata un completo disastro. Ripensandoci adesso, il pensiero mi suscita una certa allegria, sebbene non sia stato esattamente questo il mio iniziale stato d’animo. Il meccanismo di pesata consta, infatti, di uno schema ben definito che occorre tassativamente seguire alla lettera, se non si vogliono ottenere dei risultati assurdi.

Va altrettanto precisato, comunque, che la soglia di errore ammissibile nell’utilizzare tale strumento non è molto alta, sebbene la si possa significativamente ‘aumentare’ nel caso in cui il nostro metodo operativo non risulti corretto. Ad esempio, pesare dei composti mentre si indossano i consueti guanti da laboratorio sarebbe – almeno teoricamente – una possibile fonte di errore. Le più comuni ed importanti cause di errore, comunque, riguardano l’umidità associata ad un campione e la temperatura.

Riguardo al primo fattore, se il campione è umido, questo tenderà a a pesare di meno a causa della cessione di acqua all’ambiente circostante; al contrario, l’igroscopicità di una sostanza ne causerà un sensibile aumento di peso, a causa del suo assorbimento dell’umidità connessa all’ambiente. Pertanto, è necessario che le sostanze vengano seccate in stufa al fine di eliminarne l’umidità.

Nel caso della temperatura, il calore o il raffreddamento di una data sostanza possono influire notevolmente sulla correttezza del risultato.

Comunque… Dove eravamo rimasti?

Ah sì, alla mia personale quanto ‘terrifica’ esperienza in fatto di pesate.

La prima volta in cui mi sono trovata davanti a quella strana bilancia, ho sperimentato un vago senso di panico. Una domanda mi sorse spontanea.

Quale sarebbe l’operazione preliminare da fare?

Sedersi e prendere posto, innanzitutto. Ok, questo è facile.

Ora… Chiamare l’assistente, che non so dove diavolo sia finito. Terza mossa: guardarsi intorno. Alcuni hanno già cominciato, perfetto. Mi alzo dalla sedia e cerco di estrapolare informazioni attraverso l’ausilio ‘della mia più grande dote’: l’osservazione. Ma questo sembra non bastare.

Passiamo al piano B.

Scusami, ma quale sarebbe il primo passaggio da fare? Chiedo a un ragazzo che conosco dal primo anno.

Il ragazzo mi risponde con aria sicura e cordiale, ed io per l’ennesima volta mi sento ‘la ritardata di turno’. Ma sono davvero felice che qualcuno riesca a metabolizzare facilmente una procedura tecnica alla quale io non sono mai stata abituata.

Con fiducia, torno alla mia postazione ma, fin da subito, emergono le prime problematiche. La mia bilancia analitica sembra diversa dalla sua. In effetti, le manopole della mia sono molto più piccole e la lettura dei valori numerici deve essere condotta diversamente. Bene, eccoci di nuovo al punto di partenza. Guardo la ragazza di fianco a me: inerme e perfettamente immobile, come una perfetta statua di bronzo.

Sembra che nemmeno lei abbia ben compreso la procedura. Cerco di capire se stia perlomeno ragionando sul da farsi, ed effettivamente è così. Dopo qualche secondo, anche lei si alza dalla postazione, tentando di ricavare delle informazioni. Una volta tornata a posto, comincio anch’io a tartassarla di domande. È la prassi. Quando non si capisce un qualcosa, apparire attivi ed ‘insistenti’ sembra sia l’unico modo per smuovere le acque.

Dopo qualche piccola indicazione, incomincio – ‘con la mia solita sicurezza, ovviamente’ – a mettere mano sullo strumento. Per prima cosa, pongo il vetrino sul piattello della bilancia e chiudo lo sportelletto.

Adesso?

L’assistente sembra non si faccia più vivo, dunque mi limito ad ‘imitare le mosse’ della mia collega. Nella sala bilance alberga la confusione più totale, sembra davvero impossibile domandare delle spiegazioni esaurienti al riguardo. Dopo circa ‘un’ora di inferno’, nella sala rimango solamente io. Sono riuscita a determinare il peso di un campione (NaCl) e del vetrino vuoto, per poi effettuare la differenza tra il peso del vetrino con la sostanza e il suddetto vetrino vuoto.

Beh, ‘riuscita’ è davvero un parolone, in realtà. So benissimo che ogni mia singola misura è affetta da una gran manciata di errori. Il perché? Non ho seguito correttamente il protocollo per effettuare una pesata abbastanza precisa. Peccato averlo scoperto solamente alla fine della mia prima esperienza.

Quando sto per andarmene, nella sala entra l’assistente di laboratorio, ed io mi becco il primo rimprovero nella mia vita di studentessa. In realtà, credo che questa ‘misteriosa assistente’ sia una professoressa, il che è anche peggio.

In ogni caso, aveva ragione ad essere arrabbiata: il mio quaderno di laboratorio faceva letteralmente schifo. Totalmente disordinato e disorganizzato. Esattamente come la mia testa in quel periodo. Di lì a poco, avrei dovuto affrontare il primo esonero di Analisi I (se non ricordo male), e quel senso di estraneità nei confronti della Chimica e delle altre materie del primo semestre del secondo anno avevano ormai preso piede nella mia routine accademica. Effettivamente, ho frequentato pochissimo le lezioni del semestre, e tutto questo per un unico motivo: la matematica.

Avevo sacrificato molti pomeriggi, ore di sonno e ore di svago per affrontare la bestialità di una materia che, ad oggi, mi sembra quasi incredibile che io stia riuscendo ad estinguere. Ovviamente, chiunque avrà fatto dei sacrifici: ogni studente sa bene cosa significhi rinunciare alle proprie passioni studiando una materia così ostica come la matematica. Ma è altrettanto necessario conoscere la materia di base che dovrebbe permettere una più piena comprensione dei concetti chimici, nonché una più completa padronanza del proprio sapere scientifico.

Per me, non esisteva nient’altro che la matematica. Anche se dire ciò mi suona ‘impossibile’, anche adesso la situazione risulta perfettamente analoga. In questi giorni dovrò prepararmi in vista dell’esame orale, sebbene io debba ancora conoscere – spero nei prossimi giorni – il verdetto relativo al terzo esonero.

Tornando alla bilancia analitica, la procedura per la determinazione della pesata corretta di un campione non è poi molto complicata. Ma come in tutte le cose è necessaria molta pratica e, soprattutto, molta ripetizione. Perché si sa, la ripetizione aiuta la tecnica e, ovviamente, la memoria.

E dalla continua ripetizione, nasce e si sviluppa anche una certa dose di sicurezza. Adesso sarei finalmente capace di pesare una sostanza senza nemmeno consultare il quaderno con la descrizione della relativa procedura. Un bel risultato, non c’è che dire.

Io e la bilancia analitica – da me battezzata ‘lei’ nel titolo di questo articolo – ‘siamo finalmente riuscite ad instaurare un rapporto amichevole’.

Ma chi sarebbe ‘l’altra’? 

Ebbene, ecco a voi la bilancia analitica elettronica.

 

Bilancia analitica elettronica
Bilancia analitica elettronica 

Questa bilancia è di gran lunga più semplice da utilizzare. Essendo completamente priva di manopole, per ricavare il peso di un dato oggetto è sufficiente osservare il visore digitale posto alla base della stessa bilancia. Ovviamente, non abbiamo utilizzato tale strumento. A detta dell’assistente, sarebbe stato fin troppo semplice.

Effettivamente, è altrettanto semplice dedurre la difficoltà di utilizzo del prossimo strumento dalla fotografia che vi allego qui sotto:

Bilancia analitica
Bilancia analitica

Ecco a voi la famosissima bilancia analitica dotata di un piattello, di una manopola principale, (quella di sotto) e di due manopole in alto a destra. In realtà, ci sarebbe anche una sorta di manopola segreta che si trova al di sotto dello strumento. Quest’ultima è necessaria al fine di azzerare la bilancia.

I passaggi successivi sono abbastanza sistematici. Innanzitutto, per inserire il vetrino nel piattello, occorre impostare la manopola principale perfettamente centrata, ovvero nella modalità di blocco. Dopodiché, possiamo inserire il vetrino aiutandosi con una pinzetta (toccandolo con le mani si falserebbe la pesata) e chiudere lo sportello di vetro.

Spostando poi la manopola verso destra (modalità pre-pesata), ci si ‘prepara’ alla pesata vera e propria: in alto, ci sono due manopole, ognuna ‘contenuta’ nell’altra. Quella più esterna, simboleggia le decine di grammi. Muovendola in senso antiorario, si procede fino a quando non si verifica la scomparsa della scala ottica del quadrante di lettura (in alto a sinistra). Se ciò si verifica, occorre ritornare al peso immediatamente inferiore. Successivamente, si procede con la seconda manopola e una volta determinato le prime cifre della pesata si blocca nuovamente la bilancia e, con cautela, la si sblocca completamente (verso sinistra).

Possiamo finalmente procedere alla lettura delle successive cifre decimali. Occorre, però, mettere in atto un’ultima decisiva accortezza. Con la piccola manopola presente in basso a sinistra (stranamente la bilancia in figura ne è sprovvista), occorre ‘aggiustare’ il valore segnato ponendo le cifre in corrispondenza di una lineetta della scala graduata. In questo caso, credo che la figura valga molto più di mille parole:

Quadrante della bilancia analitica (scala graduata)
Quadrante della bilancia analitica (scala graduata)

Alla fine, possiamo bloccare nuovamente la bilancia e rimuovere il vetrino dalla stessa. Insomma, dopo innumerevoli pesate non sarà nemmeno più necessario ‘pensare’ a ciò che state facendo. Il tutto vi apparirà estremamente naturale. Certamente, il ‘problema’ insorge quando al vetrino viene aggiunto un quantitativo di sostanza.

In quel caso, potrebbe volerci anche una buona mezz’ora. E, anche in questo caso, entra in gioco la cosiddetta sensibilità analitica cui accennavo nell’articolo precedente. Pesare circa 0.2 grammi di sostanza, ad esempio, può risultare difficoltoso per uno studente alle prime armi. Difficile che ci si riesca al primo colpo. Ma come al solito, nella vita quotidiana così come in tutti gli sport,  la pratica la fa da padrone. Ed è proprio sulla pratica e sulla continua sperimentazione che dovrebbe basarsi la vita di uno studente, di uno scienziato e di qualsiasi altro individuo.

Pubblicato da Eleonora

Sono una ragazza curiosa dalle molte passioni: amo scrivere, leggere (ovviamente), disegnare fumetti, ascoltare musica - specialmente appartenente al filone del rock progressivo - e ballare, soprattutto i Latino-Americani. Mi piacerebbe molto imparare a suonare il pianoforte, nonché trovare un partner ballerino con cui condividere la mia grande passione per la danza... Lo so, forse chiedo troppo!

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