Tarkus: il potere distruttivo della guerra

  • Tarkus, secondo album degli Emerson Lake & Palmer, fu pubblicato nel 1971, pochi mesi dopo la creazione del disco d’esordio. L’originalità di questo lavoro consiste in una suite di lunga durata, molto complessa dal punto di vista strumentale, che dà proprio il titolo all’album. Tale componimento è suddiviso in sette sezioni, ciascuna riguardante una tematica specifica intimamente connessa all’uomo e ai suoi comportamenti all’interno della società.

 

1971. Dopo l’ascesa inarrestabile del gruppo, quest’ultimo sembra non fermarsi davanti al successo. Anzi, nel gennaio del nuovo anno, producono un album caratteristico e molto particolare: Tarkus. Il trio prosegue inarrestabile la sua corsa, dritto verso la meta che ben presto li condurrà al grande successo di un album, a mio parere, senza precedenti: Trilogy.

Ma facciamo un passo indietro.

Tarkus
Tarkus: la copertina dell’album

La copertina di Tarkus, disegnata da William Neal, oltre all’originalità che racchiude, è e squisitamente variopinta, racchiude un significato ben più profondo rispetto alla raffigurazione dell’album precedente. Infatti, in questo caso viene rappresentato un mostro immaginario, una sorta di armadillo armato di cannoni e missili; un mostro che simboleggia, appunto, la guerra, tematica principale affrontata nell’album. Gli effetti distruttivi che scaturiscono dal mostro vengono mostrati nel corso della prima suite, in cui viene raccontata la sua storia. Gli occhi dal colore rosso fuoco, lo sguardo minaccioso e la sua imponenza sono solo alcune delle caratteristiche dell’armadillo.

Senza pietà, Tarkus distrugge qualsiasi mostro mutante incontri sulla sua strada. La macchina, frutto dell’inventiva dell’uomo, testimonia ancora una volta la prevaricazione delle forze del male su quelle del bene. Dietro questa figura predominante è presente uno scheletro, simbolo del potere distruttivo dell’uomo e, al tempo stesso, della sua caducità. Tutti noi siamo, infatti, destinati a scomparire, non lasciando alcuna traccia materiale sul nostro cammino.

L’album si compone di due facciate:

 

LATO A:

  • Tarkus (composto da sette sezioni: Eruption, Stones Of Years, Iconoclast, Mass, Manticore, Batterfield, Acquatarkus)

 

 

LATO B:

  • Jeremy Bender
  • Bitches Crystal
  • The Only Way
  • Infinite Space
  • A Time And A Place
  • Are You ready Eddy?

 

La prima sezione della suite, intitolata Eruption (Eruzione), si apre con una melodia che, personalmente, mi ricorda l’atmosfera cupa e solenne di una chiesa gotica. Nonostante tale sensazione goda di una certa spiritualità, ben presto essa stessa viene rimpiazzata da una melodia il cui spirito combattivo richiama alle armi. Il titolo allude alla genesi del mostro, schiusosi da un uovo prodotto da una potente eruzione vulcanica. Ecco l’animazione che illustra tale fenomeno:

Tale parte strumentale è il preludio della successiva, Stones Of Years, scandita dalla meravigliosa voce di Greg Lake. Tra una strofa e l’altra, si alternano numerosi pezzi strumentali, come se si intendesse dare all’ascoltatore l’opportunità di riflettere sulle atrocità commesse dall’uomo che, sin troppo spesso, sembra non pentirsene minimamente.

Infatti tutte le strofe, eccetto una, pongono all’umanità importanti interrogativi su cui ragionare:

 

Have the days made you so unwise?

Have you walked on the stones of years?

When you speak is it you what you hears?

 

I giorni ti hanno reso così stolto? Hai camminato sulle pietre del tempo? Quando parli, è proprio la tua voce quella che senti?

 

Tali domande, nonostante sembrino prive di un significato concreto celano, in realtà, una sorta di linguaggio in codice che necessita di essere interpretato. Leggendo il testo del brano, particolari riferimenti cadono sulle qualità sensoriali dell’individuo: in particolare, ci si riferisce all’udito e alla vista. Rapportando all’uomo tali caratteristiche, ci si accorge di come quest’ultimo sia spesso indifferente a ciò che vede o sente, risultando egoista e opportunista.

I giorni ti hanno reso così stolto? – Recupera la saggezza.

Hai camminato sulle pietre del tempo? – Non commettere gli stessi errori del passato: è sempre possibile cambiare la propria vita.

Quando parli, è proprio la tua voce quella che senti? – Identificati nelle tue ideologie e nei tuoi valori, rispettando però i pensieri altrui. Inoltre, rifletti prima di parlare e su ciò che stai per dire. Altrimenti, potresti pentirtene.

A mio parere, sono tali le interpretazioni delle domande proposte. Chiunque commette degli errori, piccoli o grandi che siano: l’importante, è rendersene conto e imparare da essi (lo so, impresa ardua!). La storia, infatti, insegna agli uomini l’inutilità dei beni materiali ma, soprattutto, l’inutilità della guerra. Questa la morale fondamentale che è possibile dedurre dal testo.

La sezione successiva, Iconoclast (Iconoclasta), della durata di circa 1’40”, sentenzia il momento in cui Tarkus si prepara al combattimento, fronteggiando chiunque si trovi sul suo cammino. L’animazione riportata nel video sottostante, scandita dal sottofondo musicale creato dalla band britannica, rappresenta la smisurata sete di potere del mostro. In particolare, la batteria di Carl Palmer scandisce gli inesorabili colpi lanciati dai missili incorporati nella creatura, intenta a distruggere lo pterodattilo da cui viene attaccato.

Il termine “iconoclasta” ha una duplice accezione: può rappresentare colui che distrugge le immagini sacre, essendo un seguace dell’iconoclastia; oppure, può simboleggiare colui che intende muovere una critica verso principi e credenze comuni, intaccandone la veridicità. In ogni caso, entrambi i termini si riferiscono a Tarkus. In effetti, il mostro si professa come implacabile distruttore dei valori sacri all’uomo e alla società, ignorando spudoratamente i comandamenti  dettati dalla religione cattolica.

La canzone successiva, Mass (Messa) affronta, come da titolo, questioni di natura spirituale e dunque religiosa. Nello specifico, si narrano le vicende di una sorta di anti-chiesa spietata e corrotta, i cui peccati vengono infangati e nascosti tramite false preghiere e finte benedizioni ai fedeli. La denuncia contro la chiesa e l’ipocrisia che ne deriva è stato un tema di importanza capitale, soprattutto nel Medioevo. Fu uno scrittore – nonché poeta – italiano che, più di tutti, si interessò particolarmente alla questione, facendone oggetto di discussione nella sua opera più celebre: “Il Decameron”.

Ovviamente, stiamo parlando del grande Giovanni Boccaccio, nato a Certaldo nel 1313. Le sue novelle, caricate di sarcasmo, ironia nonché valori laici che richiamano all’importanza del benessere economico a dispetto di quello spirituale, affrontano tematiche in voga a quel tempo, seppur riconducibili alla modernità. Quel periodo fu infatti caratterizzato da una forte sfiducia riguardo la veridicità dei principi della chiesa, tant’è che cominciò a svilupparsi un nuovo periodo storico, denominato Umanesimo.

Fu così che, ben presto, la religione non occupò più un posto di rilievo nella società: fu l’uomo a prenderne le redini, rivelandosi unico artefice del proprio destino. Naturalmente, questa rinnovata fiducia nell’essere umano e nelle sue potenzialità divenne oggetto di numerose critiche da parte di filosofi e critici del tempo, ma allo stesso tempo rappresentò un inno alla libertà per tutti coloro che, fino ad allora, erano stati fortemente vincolati dalla Chiesa.

Boccaccio, pur non negando l’esistenza di Dio, evidenzia senza alcun timore i principi corruttivi cui tale istituzione spesso ricorre, insinuando nell’uomo una maggior fiducia nelle proprie capacità e nei propri mezzi. Ovviamente, il tutto risulta condito da una forte satira, che impone all’umanità riflessioni riguardo il proprio io: l’antropocentrismo è, dunque, la visione che il poeta intende trasmettere, quella prospettiva terrena che sovrasta, in larga parte, quella religiosa.

Persino il clero, in effetti, sembra svincolarsi dalla provvidenza, manifestando debolezze e mancanze che si rilevano – nell’opera di Boccaccio – soprattutto tramite l’appagamento delle pulsioni fisiche e i possedimenti materiali. Allo stesso modo, il trio britannico intende denunciare i comportamenti spropositati della Chiesa e dei suoi membri, rapportando all’uomo quelle qualità che non contribuiscono minimamente alla sua crescita morale e spirituale.

Senza dubbio, la frase di maggior impatto sull’ascoltatore non può che essere la seguente:

 

The weaver in the web that he made!

Il tessitore nella rete che egli stesso ha fatto!

 

Cosa significa questa espressione, ripetuta in tutte le strofe del brano per ben quattro volte?

Sicuramente che l’uomo, pur essendo artefice del proprio destino, spesso lo è anche della propria rovina. Ancora una volta, è il comportamento di ciascuno di noi a decretare la salvezza o la dannazione.

Boccaccio comunque, non esprime alcun giudizio riguardo i comportamenti – a suo dire naturali – degli amministratori della Chiesa. Infatti, qualsiasi essere umano, nessuno escluso, può sfuggire alle cosiddette “leggi di natura”. Nessuno può, dunque, ritenersi completamente estraneo alla ricerca del soddisfacimento dei propri desideri carnali e materiali. Al contrario, gli Emerson Lake & Palmer esprimono, seppur implicitamente, il loro giudizio, rimarcando come il peccato e la corruzione – soprattutto in ambito ecclesiastico – possano provocare la distruzione dell’uomo e della sua integrità. La prevaricazione del potere sull’autenticità dei sentimenti è, anche in questo caso, il concetto fondamentale del brano.

La sezione successiva, Manticore, (Manticora) si può considerare una sorta di reprise della terza, Iconoclast: infatti, la batteria scandisce nuovamente i colpi incessanti scagliati dalla creatura meccanica. Stavolta, però, entra in scena la Manticora, gigantesco mostro  mitologico con testa simile a quella umana, corpo di leone e coda di scorpione, intento a distruggere definitivamente le forze del male.

Tarkus
Tarkus contro la Manticora

Uno scontro violento e senza tempo sembra delinearsi nella mente dell’ascoltatore. Alla fine, sarà la Manticora a uscirne vincitrice, provocando la fuga imminente di Tarkus. Dapprima, però, il mostro mitologico sembra rivolgersi a lui, domandandogli quale profitto avesse ricavato dalla guerra combattuta, se non lo spargimento di sangue di vittime innocenti. È in questo pezzo musicale, Batterfield (Campo Di Battaglia), che  si riconosce una volta per tutte l’identità di Tarkus: il mostro è, in realtà, diretta incarnazione dell’individuo, cieco e sordo di fronte alle atrocità da lui commesse.

 

Clear the battlefield and let me see all the profit of our victory

 

“Pulisci il campo di battaglia e mostrami i profitti che derivano dalla nostra vittoria”

 

Questa è la frase che la Manticora rivolge al suo rivale, cercando di farlo riflettere sulle barbarie compiute. Non ci sarà né pena né dolore per chiunque non si renda conto dell’esistenza del male sulla Terra e non si decida a combatterlo. La solennità di questo momento viene evidenziata attraverso dei piccoli intermezzi strumentali, che rendono il pezzo ancora più travolgente.


* In questo video, fino al minuto 1’51”, si sviluppa il brano strumentale Manticore, dopodiché si sussegue Batterfield, fino al minuto 5’43”.

L’ultima sezione, Aquatarkus, come già preannunciato, rivela la resa di Tarkus e la sua conseguente fuga: il mostro, nato dalle fiamme di un’eruzione vulcanica, stavolta cercherà rifugio nelle acque del mare in cui affonderà, scomparendo per sempre. La batteria di Palmer e il mellotron di Emerson fanno da sipario, concludendo la suite in modo magistrale.

Il LATO B del disco, invece, si apre con una canzone dal taglio leggero, sebbene tratti una tematica precedentemente affrontata. Jeremy Bender (letteralmente ed esplicitamente “Jeremy Il Finocchio”) tratta la storia di un giovane che, camuffato da suora, tenta di soddisfare i propri impulsi carnali sulla madre superiora che, a sua volta, si rivela essere un uomo travestito. Questa volta, il tema precedentemente esposto scivola nel grottesco: le “leggi di natura” sembrano essere addirittura più forti della dignità dell’essere umano, pronto a tutto pur di appagare, anche spudoratamente, i propri desideri. Ma non è tutto. Nella canzone, infatti, vengono affrontati anche argomenti delicati legati all’omosessualità et similia, tematiche, in primo luogo, identificate nel titolo del pezzo.

Musicalmente, la canzone è accompagnata dal pianoforte “honky tonk” suonato da Keith, dalla voce di Lake e dal battito di mani del trio, presente anche nella canzone dell’album precedente, Take A Pebble. Il gioco di rime presente in ogni strofa conferisce maggior armonia alla composizione .

Bitches Cristal è l’ennesimo brano in cui predominano considerazioni sulla morte, sul male e sugli effetti che questo provoca nei riguardi ella società. A livello musicale, è un pezzo la cui potenza evocativa viene scandita dalla voce di Lake, a tratti aggressiva e violenta.

In questa canzone si fa soprattutto riferimento all’arte della stregoneria, fatta di incantesimi e rituali che spesso conducono alla follia dell’individuo, nonché alla sua stessa morte. Dunque, il gruppo intende dare voce ai misfatti compiuti durante il periodo dell’Inquisizione, istituzione ecclesiastica dedita al controllo delle eventuali eresie compiute da personaggi del popolo, soprattutto pagani.

Batteria e pianoforte si fondono in un unico abbraccio, creando un connubio perfetto tra i due strumenti. Verso il minuto 2’45”, la dolce melodia di un carillon sembra attenuare, per un istante, l’atmosfera di suspense creatasi nei minuti precedenti. Al minuto 3’12” la voce di Lake irrompe di nuovo e la canzone termina con una brevissima melodia al pianoforte e un mezzo battito di batteria, che ne sancisce la definitiva conclusione.

The Only Way  (Hymn), (L’unico Modo – Inno) altro capolavoro dell’album, è un brano musicalmente ispirato alla Toccata e Fuga in Fa Maggiore BWV 540 del grande compositore J. Sebastian Bach. Inizialmente, l’organo suonato da Keith conferisce alla canzone un’atmosfera solenne e celestiale. Una sensazione di perfetta beatitudine pervade l’ascoltatore, trasportandolo in un’oasi di pace e tranquillità.

Pochi istanti dopo, l’incantevole voce di Greg Lake si associa a questo scenario, sentenziando:

 

You must believe in the human race

“Devi credere nella razza umana”

 

Questa locuzione, in perfetta contrapposizione con la prima sezione dell’album in cui l’essere umano viene dipinto come una sorta di mostro assetato di potere e di controllo, spinge in qualche modo al cambiamento di sé stessi, dal quale può derivare un conseguente miglioramento della società.

A un certo punto, dall’organo si passa al pianoforte e il ritmo diventa più sostenuto. Il grande Emerson si destreggia tramite una graduale successione di scale musicali. Anche in questo caso, il musicista prende ispirazione dalla composizione bachiana “Il Clavicembalo Ben Temperato”, reinterpretandola in chiave jazzistica.

Anche la parte finale del pezzo elaborato dal trio, Infinite Space (Spazio Infinito) viene gestita dal pianoforte di Emerson, con brevi accompagnamenti della batteria.

 

Don’t be afraid: man is man made.

And when the hour comes, don’t turn away.

Face the light of day.

And do it your way.

It’s the only way.

 

“Non preoccuparti, l’uomo è fatto dall’uomo. E quando giunge l’ora, non voltarti indietro. Affronta la luce del giorno, e fallo a modo tuo. È l’unico modo.”

 

Queste frasi, pronunciate dolcemente da Lake, sono di un’intensa e straordinaria bellezza. Occorre fronteggiare le avversità della vita attraverso la creazione di una coalizione forte e duratura, nonché tramite la condivisione di gioie e dolori, sudore e lacrime, vittorie e sconfitte. L’unico modo possibile per sconfiggere il male è lottare contro le ingiustizie della vita: ognuno può farlo a suo modo, utilizzando i mezzi leciti a sua disposizione.

Altra tematica di rilievo del pezzo è l’ateismo di cui Greg si fa portavoce: ponendo l’accento sul “non intervento di Dio” riguardo la drammatica vicenda dell’olocausto, il cantante invita l’uomo a fidarsi della ragione e dei propri pensieri, giungendo al discernimento del bene e del male e alla liberazione dei credi religiosi. Ovviamente, non tutti possono essere d’accordo con tale ideologia: per molti, infatti, la religione è un pilastro fondamentale su cui si basa l’esistenza dell’individuo. A volte, l’essere razionali non basta… In compenso, confidare nella trascendenza non significa trovarsi in un mondo parallelo, al di fuori della realtà. Significa semplicemente affidarsi a una forza divina più potente; quella forza da cui è possibile trarre una bontà e una grazia incommensurabili.

Ecco, invece, la Toccata e Fuga in Fa Maggiore BWV 540 di Bach, una composizione di bellezza straordinaria, tramite la quale è possibile captare le differenze con quella elaborata dal trio. Ovviamente, queste si possono trovare, in particolar modo, all’esordio dell’opera.

L’altra composizione cui il trio fa riferimento è l’opera bachiana “Il Clavicembalo Ben Temperato”. In particolare, l’analogia tra la canzone del trio e il pezzo classico di Bach si evidenzia nel Preludio n. 6 dell’opera.

Ecco, invece, la sezione conclusiva della canzone degli ELP:

La penultima canzone, A Time And A Place (Un Tempo E un Luogo) sembra parlare di una sorta di mondo sconosciuto in cui chiunque può dirsi al sicuro. Un luogo isolato e selvaggio, immerso in un silenzio rassicurante, lontano dai sentimenti negativi che spesso l’individuo cova dentro di sé, quali la rabbia e il risentimento.

Le strofe, caratterizzate da rime interne che conferiscono maggior ritmo, dinamismo e organicità alla rockeggiante composizione accompagnata dall’insostituibile organo Hammond, risultano essere più brevi  rispetto ai pezzi musicali precedenti. Nel ritornello, la voce di Lake prorompe nella mente dell’ascoltatore, invocando disperatamente la salvezza dal luogo oscuro da cui proviene.

L’ultima canzone, Are You Ready Eddy? (Sei Pronto, Eddy?) in puro stile rock’n roll, conclude il LATO B del disco ed è dedicata all’ingegnere del suono Eddie Offord, stretto collaboratore degli ELP, degli Yes e molti altri gruppi appartenenti al filone del rock progressivo.

Questo pezzo è frutto di un’improvvisazione, definito come uno dei consueti numeri divertenti che solitamente il trio soleva inserire all’interno degli album. Quest’ultima traccia, infatti, stempera definitivamente la tensione creatasi mediante l’ascolto dei pezzi precedenti, concludendo l’album con una stupenda esibizione canora dell’intero gruppo. Infatti, per la prima volta, è possibile ascoltare non solo la voce di Lake, ma anche quella di Emerson e Palmer, che gli rispondono in coro, pronunciando “Eddy edit, Eddy, Eddy edit”.

Il testo esordisce con un selvaggio:

 

Are you ready Eddy?

 

La canzone prosegue con una serie di domande che Lake rivolge a Eddy, mentre il  pianoforte e la batteria creano una perfetta armonia di suoni. Il pezzo si conclude con una frase non-sense che sottolinea, ancora una volta, lo spirito divertito e spensierato del gruppo, le cui fragorose risate contagerebbero chiunque:

 

Ham or cheese?

 

“Prosciutto o formaggio?”

 

Tarkus – Il titolo

In conclusione, Tarkus è un album in cui trovano largo spazio elogio e critica, disprezzo e ammirazione. Ma qual è la genesi del titolo? Studi musicali condotti da William Neal rivelano che il titolo, inventato dallo stesso Emerson, rappresenta una sincrasi – fenomeno fonetico che consiste nell’unione di due o più suoni vocalici – tra Tartarus, sinonimo latino di inferno, e carcass (carcassa di animale). In particolare, questa visione biblica e al contempo infernale viene illustrata dalla canzone Stones Of Years, emblema della futilità della guerra e del potere che ne deriva, nonché simbolo della morte spirituale dell’individuo.

Tarkus
Tarkus, Iconoclast e Mass
Tarkus
Lo straordinario mondo di Tarkus

http://www.songfacts.com/detail.php?id=5860

 

Pubblicato da Eleonora

Sono una ragazza curiosa dalle molte passioni: amo scrivere, leggere (ovviamente), disegnare fumetti, ascoltare musica - specialmente appartenente al filone del rock progressivo - e ballare, soprattutto i Latino-Americani. Mi piacerebbe molto imparare a suonare il pianoforte, nonché trovare un partner ballerino con cui condividere la mia grande passione per la danza... Lo so, forse chiedo troppo!

8 Risposte a “Tarkus: il potere distruttivo della guerra”

  1. Tarkus musicalmente non mi ha mai soddisfatto, lo trovo troppo barocco per ascoltarlo senza annoiarmi: degli ELP preferisco il disco d’esordio oppure Trilogy. Analisi comunque interessante, e l’immagine dell’uovo del Tarkus che viene eiettato fuori dal vulcano è davvero suggestiva.

    1. Ciao, Marco!
      Devo dirti la verità, anche io preferisco di gran lunga il disco di esordio, ancor di più Trilogy, che è il mio preferito! Ho provato, nello specifico, a “farmi piacere” la suite di Tarkus, ma non ci sono riuscita. Forse offenderò gli ELP, ma la trovo abbastanza noiosa e il fatto che io, della stessa, non ricordi nulla a livello musicale (questo post l’ho redatto almeno due anni fa, anche questo lo avevo tra le bozze!), la dice lunga al riguardo!

      Il mio pezzo preferito di Tarkus, comunque, rimane Are You Ready Eddie?, che si discosta totalmente dagli altri brani… L’atmosfera del disco, in alcuni momenti, la trovo piatta, ma ho cercato comunque di essere obiettiva e volevo fare un post completo del disco, perciò mi sono voluta fare una cultura in merito, abbinando tutto a una mia analisi personale riconducibile, ovviamente, alle scuole superiori… insomma, questo post l’ho in parte riletto con il sorriso perché in alcuni passaggi ho percepito proprio quanto la mia mente fosse ancora legata al retaggio prettamente scolastico… e ancora adesso, purtroppo, fatica a staccarsene del tutto!

      Comunque, concordo… i video animati del post sono davvero molto carini e suggestivi!

  2. E’ un problema molto comune in diversi dischi progressive. Per esempio Tales of the Topographic Oceans degli Yes: persino Wakeman lo trovava noioso da morire.
    Per questo mi piace molto il progressive della scuola di Canterbury: sa essere meno ripetitivo e più variegato, grazie all’inserimento di altri strumenti, influenze jazz, folk…

    1. Ah, questo Tales è l’esempio lampante di una monotonia musicale che conduce l’ascoltatore al limite della sopportazione, e se lo diceva pure il tastierista della band… chi avrebbe l’ardire di contraddirlo? xD
      Della scuola di Canterbury, come ben sai, conosco ancora poco… ma mi fido del tuo buon gusto e di quel poco che ho ascoltato finora (Camel, Traffic, qualcosa dei Caravan)!

  3. Mi sembra però che i Traffic non ne facessero parte… Gli altri due gruppi di punta erano i Renaissance e i Soft Machine. Oltre poi ovviamente a Mike Oldfield.

    1. Ecco, infatti sui Traffic mi si era insinuato il dubbio! I Renassaince e Oldfield, poi… che ho dimenticato! Sono grandiosi; riguardo ai Soft Machine di R. Wyatt & CO, in effetti, ho ascoltato qualcosina: in particolare “Softs”, mi ero fissata con quel disco, anche se Wyatt mi pare avesse già lasciato la band allora, continuando il suo percorso musicale in solitaria…

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