Crime Of The Century – Supertramp

 

Bisogna ammetterlo: i Supertramp sono un gruppo decisamente particolare e potrebbero persino risultare troppo zuccherosi agli occhi (o forse sarebbe più giusto dire alle orecchie!) degli ascoltatori. Personalmente, non li ho scoperti da molto tempo ma sono felice di essermi imbattuta in qualche loro canzone, per poi approfondirne la conoscenza. Il loro non è un genere musicale ben definito: il rock progressivo tanto in voga in quegli anni si mescola, infatti, agli audaci colpi di pop, blues e jazz che li rendono, forse, ancora più speciali – nonché agli originali assoli del pianista fondatore della band, Rick Davies -.

Ecco, è stato proprio il tizio in questione a farmi innamorare di questo gruppo e, in particolare, di alcuni album.

Crime Of The Century è certamente uno di questi.

 

Il 13 Settembre 1974, i Supertramp dedicano il terzo album della loro carriera a un certo Sam (come decantato cripticamente nella copertina). Questo misterioso individuo non è altro che un miliardario olandese che un bel dì, assai colpito dalle prestazioni musicali di R. Davies, decide di finanziare un gruppo che, di lì a poco, avrebbe composto degli album assai particolari.

Come detto poc’anzi, Crime Of The Century è senz’altro uno di questi. 

Crime Of The Century - Copertina
Crime Of The Century – Copertina

È assai difficile – se non impossibile – in effetti, definire questo disco con una semplice parola poiché le sonorità che lo compongono, come detto nell’introduzione, non possono essere catalogate all’interno di un unico genere musicale. Nel 1974, mentre i giganti del prog producono l’impressionante The Lamb Lies Down On Broadway (Genesis), il pretenzioso Tales Of The Topographic Ocean (Yes), l’originale The Power And The Glory (Gentle Giant), i Supertramp rompono i cliché e, al posto di un complicato concept album, preferiscono di gran lunga produrre un disco le cui tracce, almeno in apparenza, non seguono un tema comune. 

Sbagliato.

Lo stesso gruppo ci rivela, in effetti, che un tema comune a tutte le tracce esiste eccome. Cosa riguarda? L’elogio della libertà attraverso la distorsione della pazzia (testuali parole). Il risultato? Un album eterogeneo nei suoni e ben costruito che, nel bene o nel male, non mancherà di sorprenderci.

L’album esordisce con la meravigliosa School, introdotta da un originale assolo di armonica a bocca (Davies) che rende il brano ancora più suggestivo. Roger Hodgson ci narra le (dis)avventure di un ragazzino alle prese con l’amata e odiata scuola. Gli insegnanti assegnano i compiti da svolgere ma il ragazzo non sembra poi molto propenso ad assolvere il suo dovere di scolaro. Il senso che forse si potrebbe trarre dal testo della canzone riguarda il fatto che molto spesso il nostro comportamento non è che dettato dalle istituzioni, che intendono formare cittadini migliori. Ma non è tutto oro quel che luccica, ovviamente. Non siamo certo obbligati a seguire un itinerario comune a molti, si può anche scegliere di distinguersi dalla massa, essendo ognuno padrone della propria vita.

 

…It’s always up to you if you want to be that
Want to see that want to see that way…

 

(…Sta sempre a te decidere se vuoi essere questo
Se vuoi vedere questo
Se vuoi vederlo in questo modo…)

 

La parte strumentale del brano farebbe innamorare chiunque e la sua dinamicità è scandita, in prima battuta dal pianoforte di Davies. Il tutto è condito con la chitarra classica di Hodgson, il basso di Dougie Thomson e la batteria di Bob C. Benberg.  

La seconda traccia, “Bloody Well Right”, è squisitamente blues. Rick Davies e i cori ci propinano una canzone abbastanza orecchiabile anche se, perlomeno a mio avviso, non colpisce molto. È la traccia seguente che, invece, lascia un segno indelebile nel cuore degli ascoltatori: “Hide In Your Shell”. La canzone incomincia con un assolo di pianoforte elettrico e il ritmo è lento e pacato. A un certo punto, però, la track prende il via e il suo ritornello… ci conquista. Lo ammetto, mi ci è voluto un po’ di tempo per apprezzare questo brano, ma ascoltarlo più volte ne è valsa davvero la pena. Il connubio Hodgson-Davies è semplicemente perfetto.

Ma di cosa parla il testo? 

Diciamo che non è poi così semplice decretare la tematica del brano ma, dal titolo, possiamo desumerlo. Quante volte ci nascondiamo dietro al nostro guscio senza permettere agli altri di captare il nostro reale stato d’animo? Quante volte sorridiamo nascondendo, dentro di noi, una tempesta pregna di sentimenti negativi a causa di esperienze vissute? A causa di pregiudizi che, molto spesso, rovinano quel poco di buono che si è creato? Quante volte ci si fa delle illusioni su una certa persona che poi si dimostra, in realtà, essere tutto il contrario di come l’avevamo immaginata nella nostra testa?

Ebbene, il protagonista della canzone suddetta si propone il nobile scopo di aiutarci a far uscir fuori il nostro vero io (che, nel mio caso, esce fuori soltanto con la scrittura; per chi non lo avesse capito: sono ciò che scrivo!), nonché a reagire contro qualsiasi delusione/disillusione si presenti nella nostra vita.

Never ever let yourself go…” – Mai lasciarsi andare… -, ci viene detto da Hodgson e compagni.

La traccia successiva, “Asylum”, è anch’essa molto suggestiva e decisamente particolare. Il pianoforte di Davies le regala senz’altro una marcia in più sebbene  il cantante si perda, a un certo punto, in un eccesso di “pazzia”… anche perché la traduzione del titolo non è altro che “manicomio”!

Eccoci arrivati alla traccia più odiosa del disco (perlomeno a mio avviso!): la spumeggiante “Dreamer”, scandita dal pianoforte sincopato di Hodgson e dalla sua voce che, almeno in questo brano, mi appare decisamente troppo gracchiante. Questa ballata dalle atmosfere “pop” viene considerata una hit e guadagnò successo come singolo.

La track cardine del disco, però, è “Rudy”, stupenda ballata blues/progressive di sette minuti condita, all’inizio e verso la metà del brano, da un meraviglioso assolo di pianoforte (il momento che giudico il migliore del disco – 3’11” – 3’29”). Ma non è tutto! Tra i numerosi cambiamenti di ritmo che scandiscono la canzone, i musicisti si avvalgono anche di un piccolo arrangiamento orchestrale ( 4’28” – 4’37” ). Il finale è malinconico e si sposa alla perfezione con la tematica del brano. La canzone tratta, infatti, di un senzatetto che vaga senza meta per le strade della città. L’unica cosa che gli resta è, purtroppo, tornarsene su quel treno diretto verso il nulla (“Rudy’s on a train to nowhere…”)

“If Everyone Was Listening” è la penultima traccia del disco e, molto spesso, è stata bistrattata dalla critica perché ritenuta troppo “melensa”. A mio avviso è  invece una traccia molto carina – seppur malinconica -: gran parte del merito va di certo al pianoforte che, assieme alla voce di Hodgson, crea un’atmosfera molto particolare.

L’ultima traccia che dà titolo all’album è di una bellezza suprema. Il pianoforte, il sassofono, l’armonica a bocca sul finale, la voce solenne di Davies e l’atmosfera progressive che caratterizza il suddetto brano è straordinaria e testimonia il forte carattere di una band che, tra bizzarrie e folli sperimentalismi musicali, ama dimostrare al mondo la propria originalità. L’assolo di pianoforte che inizia intorno al secondo minuto è davvero spaziale proprio come la copertina dell’album e proprio come il finale dello stesso che, progressivamente, sembra trasportare l’ascoltatore in un altro mondo parallelo al suo. Il tutto assume, infatti, contorni sempre più sfocati ma non per questo indefiniti: la verità è dietro l’angolo.

Quale sarà, in effetti, il “crimine del secolo” (Crime Of The Century, appunto) di cui il disco si fa portavoce? È presto detto: molti individui indossano spesso delle maschere di cui si servono al fine di raggirare altre persone, facendo credere loro di essere bravi a nascondere la loro reale identità. D’altronde, ce lo dice anche il grande Pirandello:

“Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere, ma pochi volti.”

Pubblicato da Eleonora

Sono una ragazza curiosa dalle molte passioni: amo scrivere, leggere (ovviamente), disegnare fumetti, ascoltare musica - specialmente appartenente al filone del rock progressivo - e ballare, soprattutto i Latino-Americani. Mi piacerebbe molto imparare a suonare il pianoforte, nonché trovare un partner ballerino con cui condividere la mia grande passione per la danza... Lo so, forse chiedo troppo!

10 Risposte a “Crime Of The Century – Supertramp”

  1. Mi hai fatto scoprire una perla! Ho dato un paio di ascolti a quest’album e sembra decisamente interessante. Nuovo gruppo da ascoltare, lo aggiungo alla lista. È un peccato che Dreamer sia la più famosa, ma non potrebbe essere diversamente: è pop. Rudy è stupenda! Anche School e la title track! Poi adoro qualunque citazione a Pirandello, che sia esplicita o no.
    Breakfast in America lo conosci? Credo che sarà il prossimo che ascolterò…

    1. Ciao Francesco, che piacere ritrovarti qui!
      Felice di averti fatto scoprire un album interessante come questo, io più lo ascolto più me ne innamoro! Penso che “Rudy” e “Crime Of The Century” siano le traccie migliori del disco e, forse, le migliori prodotte da questo gruppo! Eh sì, penso che Dreamer in questo disco stoni parecchio, ce l’avrei vista meglio negli album successivi!
      E poi… Mi citi l’album più famoso della discografia, come faccio a non conoscerlo?! Devo confessare che è partito tutto da lì, per la precisione da “Take A Long Way Home” e “Goodbye Stranger”; queste due tracks mi hanno folgorata! Oltre a questo capolavoro del ’79 col quale i Supertramp sbancarono a tutti gli effetti, ti consiglio vivamente anche i dischi “Even In The Quietest Moments” e “Famous Last Words”… In Breakfast, che dire… non c’è una canzone che non mi abbia colpita, per cui non dubito che il disco piacerà anche a te!

      Ps: Come è andata a Roma? Che cosa hai visitato di bello? 🙂
      Pps: Hai già cominciato l’università? Io inizio (da casa…) il 28 settembre…

  2. Hai ragione, che domande sono! Non avevo dubbi che lo conoscessi, volevo solo sapere se ne valesse la pena😂 A quanto pare sì! Ascolterò anche i dischi che hai citato! O almeno, li aggiungo a spotify, poi spero di avere il tempo di ascoltare tutta sta bella roba… Smettila di consigliarmi cose!😂 Adesso stavo *quasi* riuscendo ad ascoltare con costanza gli album di Steven Wilson ma a quanto pare dovrò deviare sui Supertramp… E nel frattempo ce ne sono almeno altri 10 in coda… Come si fa??
    Ah ti avviso che mi hai fatto comprare lo speciale sui Genesis di Prog italia dopo che ne hai parlato nell’altro post… E niente, temo che dovrò comprare anche questa rivista ogni due mesi.
    A Roma è andata benissimo grazie! In 3 giorni ho fatto appena in tempo a vedere i grandi classici e non di più: San Pietro, fontana di Trevi, Campidoglio, Colosseo e fori, Pantheon, Vittoriano… eccetera. Cose da turista, insomma.
    In università inizio anche io il 28, ma un giorno a settimana vado a Torino (il resto online); non è molto ma è qualcosa. Farò il pendolare ancora per quest’anno (o magari incrociando le dita, solo il primo semestre).
    Tu fai tutto da casa?

    1. Ahahaha, quanto ti capisco! Anche io ho un sacco di album in coda da sentire, temo proprio che non finirò mai! Anche perché poi vorrò dedicarci qualche post, per cui… avrò “lavoro a gratis” da fare per molti anni a venire! 😂
      Steven Wilson?! Non lo conosco, caspita! Dici che devo rimediare? Sono andata a sbirciare e ho visto che ha fondato i Porcupine Tree, un gruppo inglese che ho sentito nominare e di cui ho ascoltato solo una canzone, tra l’altro interessante (Russia On Ice)!
      Io, nel mio percorso musicale da semplice ascoltatrice, ho deviato rotta talmente tante volte che ho perso il conto, e temo continuerò a farlo! Negli ultimi tempi vado da una parte all’altra (un po’ come la mia testa confusa 😂), ancora non sono giunta a una decisione definitiva e ascolto un po’ tutti i gruppi prog che conosco… ma che ancora non ho approfondito per benino!

      Bello lo speciale sui Genesis, eh? Io l’ho quasi divorato tutto, è troppo interessante! Bene, vorrà dire allora che saremo in due a comprare la rivista, una delle poche cose per cui (almeno per me) vale la pena andare ancora in edicola!
      Per quanto riguarda Roma, be’, in tre giorni hai visto già parecchio! 😉
      Io è da un bel pezzo che non visito questi monumenti!

      Riguardo l’università, in bocca al lupo sin da ora per un buon e proficuo inizio, malgrado le circostanze che ci ritroveremo ad affrontare! Io ho fatto la pendolare per quasi tre anni e quest’anno ho deciso di seguire le lezioni da casa, se non comprenderò qualcosa andrò a ricevimento dai vari professori… anche perché stare a casa è un risparmio in termini di energie fisiche e soprattutto di tempo, dato che alle volte tornavo a casa alle otto di sera completamente distrutta!
      Certo, è abbastanza noioso seguire i video da casa, al momento sto tentando di preparare un altro esame ma è quasi più dura scrivere ogni cosa ascoltando gli audio associati alle slides (un vero strazio!) che, forse, studiare effettivamente la materia!
      Insomma, siamo in due a incrociare le dita!

  3. Mi fa piacere sapere di non essere l’unico che continua a cambiare rotta; perlomeno di tempo ne abbiamo, per scoprire tutto, un po’ alla volta…
    Devi ASSOLUTAMENTE rimediare con Steven Wilson e i Porcupine Tree! “The Raven that refused to sing” è un album straordinario, l’ho scoperto un paio di mesi fa ed è già tra i miei preferiti in assoluto. Luminol (la traccia di apertura) è una suite fenomenale, ogni cosa è curata alla perfezione; forse non è ai livelli di Supper’s Ready o di Close To The Edge, ma un gradino più in basso. Merita! E poi gli assoli di chitarra sono stupendi, io ne adoro il timbro (vedi Drive Home da 5’10 in poi). Per quanto riguarda i Porcupine invece, a me piacciono abbastanza anche se secondo me ogni tanto sono un po’ troppo melensi e allungano un po’ il brodo… perdo l’attenzione. Ma devo ancora ascoltare parecchi album per poter dare un giudizio completo. Ascolta “The Sky Moves Sideways”, altra grandiosa suite, poi anche “Up The Downstairs”… e “Signify”, ma solo se ti sono piaciuti gli altri. Poi c’è “In Absentia”, osannato da tutti, ma devo ancora ascoltarlo per bene.
    In bocca al lupo anche a te! Direi che fai bene a fare tutto a casa, visto che ce n’è la possibilità, se ti stancava troppo andare lì tutti i giorni. Ma immagino, dev’essere tosto preparare un esame da slide e audio… è un bel casino. Speriamo che duri ancora per poco!

    1. A quanto pare, ora sei tu a darmi consigli, ahah! Scherzi a parte, mi fa piacere che tu me ne abbia dati, su questa band parto proprio da zero e mi hai incuriosita non poco!
      Quasi quasi vado ad ascoltare le suite che mi hai citato, voglio proprio vedere come se la cavano questi Porcupine! Comunque hai ragione, per fortuna abbiamo tutto il tempo per continuare a scovare capolavori prog ed altri più recenti… chissà che non possa fare dei post anche su questo gruppo, un bel giorno!
      Grazie ancora per questi consigli musicali!!! 🙂
      Tornando alle “dolenti note”, è proprio vero quanto hai detto; preparare un esame in questo modo è come scalare una montagna, ma il lato positivo di tutto ciò è che, tra blog e università, ormai scrivo quasi alla cieca sulla tastiera (non uso quasi più la penna!) e sono diventata velocissima… anche perché se mi mettessi a scrivere sul quaderno ciò che dicono i miei professori – che quando spiegano sembra non prendano mai aria – ci impiegherei non una, ma mille vite! 😂

  4. Figurati! Spero che ti piacciano!
    Beh fai bene, io negli ultimi mesi di liceo ho scoperto quanto sia utile scrivere a tastiera invece che a penna; la mia mano ha ringraziato parecchio, soprattutto negli ultimi tempi, quando al solito, i professori accelerano per finire il programma… non immagino all’università. Alla fine la didattica online è servita a qualcosa anche a me. Non ho ancora imparato a scrivere completamente alla cieca però! Mi ci vorrà ancora un po’ di tempo…

    1. Ho sentito “Luminol” l’altro ieri, e che dire… ME-RA-VI-GLIO-SA! Veramente, mi ha sorpreso moltissimo questa traccia, a tratti mi ha ricordato un po’ lo stile dei King Crimson e dei Jethro Tull per la presenza del flauto traverso. Questo Steven Wilson è proprio un fenomeno! Sicuramente ascolterò per benino i suoi album… sono davvero curiosa!
      Hai ragione, scrivere sulla tastiera è una “mano santa”, anche se ho appena deciso, dopo dieci giorni di “agonia”, di stampare tutte le slides così da risparmiare tempo nello scrivere, perché altrimenti temo di non fare in tempo a preparare il tutto. Al massimo, se non ne capirò qualcuna, ne ascolterò l’audio associato e scriverò a penna le cose mancanti…
      Detto, questo “torno alla base” e vado a “rinchiudermi” nel mio studio matto, infinito e disperatissimo…
      A presto! 🙂

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