Abacab: i Genesis e la totale consacrazione al pop

 

Finora, negli articoli inerenti la sezione ‘musica’, ci si è prevalentemente occupati del periodo genesisiano affiliato al rock progressivo. Ma chi (come me) non si è fermato all’ascolto del periodo di massimo splendore che va dagli anni ’70 a quello inaugurante gli anni ’80, certamente saprà della ‘rivoluzione musicale’ occorsa, nel caso dei Genesis in via ufficiale, a partire dal 1981. Effettivamente, qualche sprazzo di sonorità pop l’avevamo già pregustata con gli album “And Then There Were Three” e “Duke”. Dalla pubblicazione di Abacab, però, l’effettivo slancio evolutivo e – oserei dire – ‘salto nel vuoto’ attuato dal gruppo è ormai radicale e definitivo.

I nostri eroi sono rimasti in piedi?

Beh, a quanto pare l’impatto non è stato poi così violento, almeno sulla carta. Scontrarsi con un genere completamente diverso non deve essere stato facile, soprattutto per un virtuoso tastierista come Banks. Ma con questo album, i Genesis hanno finalmente raggiunto il successo commerciale cui ogni band aspira sin dall’inizio della sua carriera. Ma per i fanatici del rock progressivo (me compresa) è all’inizio dura da accettare… Non ci si può non domandare, infatti, cosa sarebbe accaduto se i Genesis avessero proseguito sulla scia del passato. Questo album rappresenta, in effetti, un vero e proprio schiaffo ai ‘puristi’ del rock progressivo, i quali si ritrovano a storcere il naso di fronte a cotanta ‘mediocrità’. Non che la musica dei Genesis si possa definire in tal senso, sia chiaro. Il paragone che però ne deriva con gli album precedenti è spaventosamente evidente.

I nostri musicisti hanno ormai cambiato rotta, e a noi ‘poveri sventurati’ non resta altro che accettare l’ascesa di quella musica che ad oggi prende il nome di ‘musica commerciale’. Ma le canzoni dei Genesis restano, a prescindere dal genere, delle pietre miliari che non possono essere minimamente paragonate alla maggior parte delle ‘canzoni odierne’, se così si possono chiamare. Perciò… lasciamoci trasportare da questo vento di cambiamento e addentriamoci in questa nuova epoca intrisa di scatenate sonorità.

 

Abacab: i Genesis e il successo commerciale

Con l’album Duke si chiude definitivamente il cerchio degli ‘album d’oro’ dei Genesis. Effettivamente, già dai tempi di And Then There Were Three (1977) si respirava un’atmosfera tipica del sound pop non aggressiva ma, comunque, ben definita. Ben presto, anche i Genesis avrebbero del tutto abbandonato gli schemi classici per convertirsi a delle sonorità meno elaborate, di più semplice esecuzione e dal ritmo squisitamente rock/pop. Addio quasi definitivo a brani di una lunghezza superiore ai dieci minuti, addio all’ambiguità dei testi. Il tema centrale degli stessi può essere infatti compreso nell’immediato, senza alcuna analisi approfondita di carattere fenomenologico o esoterico. Ma di questo, in realtà, già ce ne eravamo accorti: dopo l’abbandono di Peter Gabriel, nulla fu più lo stesso ma, in compenso, vi fu l’ascesa di Phil Collins, a mio parere uno dei più grandi vocalist di tutti i tempi.

Con la sua voce graffiante ma allo stesso tempo capace di regalare grandi emozioni con i suoi slanci di dolcezza e profondo sentimentalismo, il cantante troverà terreno fertile anche nella carriera di solista. Una solida carriera, una carriera che vanta numerosi successi. Ovviamente, Peter Gabriel non sarà da meno e sfornerà degli album abbastanza particolari. Se devo essere sincera, però, ho sempre preferito la produzione di Collins, se non altro per questioni legate al mio personale gusto musicale. Gabriel è sempre stato, a tutti gli effetti, uno sperimentatore ‘incompreso’, un cantante alla costante ricerca di un qualcosa che potesse distinguerlo da tutti gli altri.

Nelle sue canzoni soliste, però, sembra mancare di quel carisma che aveva ampiamente sviluppato nei Genesis ai primi anni della loro ascesa. Insomma, il ribelle Peter appare decisamente più calmo, meno istrionico (togliendo l’esilarante episodio della sua caduta dal palco durante il Festival di Sanremo, cui partecipò nel 1983 come ospite) rispetto al passato. Nella geniale produzione di Gabriel è sicuramente degno di nota l’album “Peter Gabriel IV (Security)” considerato una pietra miliare della storia del rock. Dall’album “So”, il sound dell’artista si consacra definitivamente al pop conservando, però, un approccio originale e un po’ meno orecchiabile rispetto a quello del suo collega Collins.

La supremazia del pop e l’ondata del new wave

Tornando ai Genesis, l’album che sancisce il definitivo cambiamento di rotta del gruppo è Abacab, il cui titolo deriva dalla divisione in sezioni (A, B, C) dello stesso. Personalmente, non ho mai apprezzato Abacab in modo particolare, sebbene negli ultimi tempi abbia in parte rivalutato alcuni brani che lo compongono. Non è certamente un disco che consiglierei come primo ascolto di una band dal talento incommensurabile. Ok, nel complesso l’album è abbastanza orecchiabile e presenta degli spunti (pochi) interessanti, ma non è uno di quelli del tipo ‘devo assolutamente averlo nella mia discografia musicale personale’. In effetti, le canzoni non godono di particolare rilievo e sono facilmente dimenticabili eccetto l’energica Abacab, la title track dell’album omonimo,  il ‘quasi’ capolavoro Me And Sarah Jane, la sperimentale Dodo/Lurker, la scatenata Keep It Dark e Man On The Corner, ballata dal ritmo ‘dolce’ e pacato.

La copertina di Abacab

Questo album, risalente al 14 Settembre 1981, presenta una copertina abbastanza semplice. I colori che la ‘popolano’ fanno in parte riferimento alla bandiera francese: rosso, blu e bianco. Domina poi il colore grigio, in parte ravvivato da una ‘spruzzata’ di giallo. Metà del contorno della composizione costituita dai colori suddetti è ‘circoscritta’ da un’irregolare e imprecisa pennellata di nero. A destra, in verticale, campeggia la scritta Abacab, mentre in alto, a sinistra, il nome del gruppo britannico. Rispetto alle copertine precedenti, si vede come i musicisti stiano via via preferendo delle copertine di un immediato impatto visivo (o meglio, decisamente scarne!), tralasciando i numerosi particolari che invece caratterizzavano le precedenti. A tratti, quest’ultima ricorda vagamente lo stile utilizzato dai maggiori esponenti dell’arte contemporanea le cui opere, pur essendo ridotte all’osso e al minimo della creatività, nascondono in realtà un significato filosofico ben preciso.

 

Abacab: la copertina dell'album
Abacab: la copertina dell’album

 

Come da copione, Abacab è composto da due facciate:

 

LATO A:

  • Abacab
  • No Reply At All
  • Me And Sarah Jane
  • Keep It Dark

 

LATO B:

  • Dodo/Lurker
  • Who Dunnit?
  • Man On The Corner
  • Like It Or Not 
  • Another Record

 

Abacab

Questa track, a dispetto delle altre, è decisamente entusiasmante. Un’effettiva rappresentazione di un’opera pop/rock intrisa di una prorompente carica che suscita sconcerto e meraviglia allo stesso tempo. La preponderanza dell’elettronica e della batteria è ormai evidente e non tutti potrebbero apprezzarla. Ma se ci si sente particolarmente giù di morale, questa è la canzone giusta per ‘riaprire le danze’. Quanto al significato del testo, esso non mostra particolari sorprese, anzi. Le strofe appaiono banali e scontate e sembra quasi che i Genesis vogliano esclamare di non avere più energia né, tantomeno, voglia di produrre dei testi di maggiore spessore. Il brano tratta del solito Don Giovanni che, dopo aver conquistato una donna già impegnata, è divorato dal senso di colpa per non aver mollato la sua brama di conquista al fine di concentrarsi a spendere quelle ‘energie’ per giungere al conseguimento di obiettivi più importanti.

Me And Sarah Jane

La terza traccia del LATO A di Abacab, della durata di sei minuti circa, presenta delle sonorità vagamente progressive, perlomeno all’inizio e, in parte, alla fine. Nell’introduzione, ciò non dura che pochissimi secondi: ben presto, la folle melodia in stile pop scandita dalla batteria irrompe di nuovo sulla scena e, come un fiume in piena, invade l’ascoltatore, il quale prende a domandarsi cosa sia accaduto ai Genesis di appena un anno prima.

Aspettate un attimo, però, non tiriamo immediatamente conclusioni amare. Benché  (probabilmente) non lo percepiate al primo ascolto, ci troviamo di sicuro al cospetto della canzone più bella dell’album (ascoltatelo per intero e poi mi direte)! In effetti, questo brano può essere considerato un piccolo capolavoro, dati i numerosi cambiamenti di ritmo di cui lo stesso si avvale e vista la stupenda vocalità di Collins, il quale si appresta a raccontare l’ossessione da lui provata nei confronti di Sarah Jane.

Ma chi è questa Sarah Jane?

Secondo le fonti, il brano venne scritto da Tony Banks il quale, essendo appassionato di fantascienza, era probabilmente un fan della serie televisiva “Dottor Who” in cui una delle protagoniste era, appunto, una certa Sarah Jane. Ma questa non è che un’ipotesi (forse vagamente esotica, chissà).

Mi ha colpito, in particolare, un’interpretazione della canzone – letta in un commento di un ascoltatore su YouTube – che recita più o meno così:

 

“Ognuno di noi ha dentro sé un’ossessione, una propria Sarah Jane di cui fa fatica a sbarazzarsi…”

 

E questa non può che essere una verità universalmente accettata. Molto spesso, si è infatti accecati dal successo ottenuto in passato e si dimentica di ciò che è realmente importante: il nostro presente e le opportunità che lo stesso ci offre. Poiché dietro un angolino sperduto del mondo, dove nessuno si aspetterebbe mai di trovarla, vi è sempre un’altra opportunità. Un’opportunità per ricominciare da capo e abbandonare una volta per tutte ciò che ci ferisce, ciò che arreca in noi profonda malinconia o sentito sconforto.

Cosa ci stanno dicendo, dunque, i nostri amati Genesis?

Che il nostro destino può essere, almeno in parte, trasformato in qualcosa che da tempo si vorrebbe ottenere?

Beh, a quanto pare la risposta è ‘sì’. Dobbiamo soltanto trovare il coraggio di obbedire al dolce richiamo del nostro cuore e provare a costruirci il nostro destino, qualunque esso sia…

Insomma, a quanto pare il significato della canzone è più profondo di quanto si possa pensare. Personalmente, credo che la parte migliore del brano cominci dal minuto 3’30” per poi proseguire fino alla fine, con dei brevi intermezzi strumentali da togliere il fiato. Il connubio perfetto tra l’intensa, potente e appassionata voce di Collins coniugata alla bellezza e alla maestosità della musica, trasformano la canzone in un qualcosa che ci ricorda i tempi andati; un qualcosa di vagamente somigliante alla magnifica “Burning Rope” di “And Then There Where Three”.

No, i Genesis non hanno affatto perso la vena progressive. Le esigenze di mercato sono cambiate, i tempi sono cambiati e i nostri musicisti hanno dovuto, loro malgrado, adattarsi alla nuova prospettiva affacciatasi nel mondo musicale dell’epoca… In fondo sappiamo bene, però, che il grande gruppo inglese rimarrà per sempre insito nella storia del rock, vivo rappresentante di quella creatività e quell’eccentricità tipiche degli anni ’70.

Keep It Dark

Ed ecco che si ‘torna alla ribalta’ con un pezzo decisamente più avvezzo ai cultori della musica pop. Un brano dal titolo traducibile come ‘Mantieni Il Segreto’ fa da sfondo al LATO A del disco, sempre più attorniato da sonorità finora mai appartenute ai Genesis. Il brano è abbastanza monotono, ma si apprezza perlomeno lo sforzo di un testo (forse) meno banale dei precedenti. Il protagonista dello stesso è infatti un uomo che è stato rapito da una banda di malviventi in cerca di un ingente riscatto che comporterebbe la sua ovvia liberazione.

Ma la tanto agognata libertà arriva non appena i malviventi scoprono che lo sciagurato non ha nemmeno un soldo, dunque l’uomo può nuovamente tornare dalla sua famiglia. Ma non è tutto oro quel che luccica. In verità, l’uomo dovrà mantenere un assurdo e impressionante segreto: egli è stato, in realtà, rapito da un gruppo di alieni che lo avevano condotto in un luogo di pace e prosperità. E se l’uomo in questione, una volta tornato sulla Terra, decidesse di raccontare tutto ai suoi familiari?

No, impossibile.

Questi ultimi lo prenderebbero sicuramente per pazzo e lo spedirebbero dritto dritto in un manicomio, perciò…

Perciò, mi raccomando… Mantieni il segreto!

Dodo/Lurker

Questa mini-suite che inaugura il LATO B dell’album presenta anch’essa delle sonorità appartenenti al mondo del progressive, sebbene sia condita – a livello tecnico-strumentale – di un forte sperimentalismo tipico dei new sound dell’epoca.

L’inizio del brano è magistrale e lascerebbe presagire la scoperta di un nuovo capolavoro costruito ad arte dal gruppo. Ma nel corso della canzone ci si perde (perlomeno a mio avviso) un bel po’ e tutta la magia iniziale che attorniava il brano scompare d’improvviso, come un sole splendente che, tutto a un tratto, viene ricoperto da una spessa coltre di nuvole grigie che ne oscurano in toto la visione. Ma i presupposti per scrivere una buona lirica ci sono tutti e i Genesis hanno intenzione di sfruttare ancora un poco il loro genio creativo.

Il testo tratta del Dodo (o Dronte), un uccello estintosi verso la metà del XVII secolo, probabilmente a causa dell’arrivo dei coloni portoghesi che introdussero nel loro habitat maiali e altri animali predatori di questa specie di uccelli. Un altro aspetto che, (in base alle fonti wikipediane) potrebbe aver gettato le basi per la loro completa estinzione riguarda anche la nidificazione a terra delle uova, facilmente vittime dei predatori summenzionati e degli stessi coloni che, pur non apprezzando particolarmente la carne del Dodo, potevano quantomeno cibarsi delle sue uova.

 

Dodo
Dodo

 

Dal testo della canzone emergono delle precise informazioni riguardo l’aspetto del Dodo, paragonato per molti aspetti allo sfortunato Albatros descritto dalla poesia di Charles Baudelaire. La poesia, contenuta nella raccolta ‘Les Fleurs Du Mal’, (sezione Spleen et l’idéale) presenta alcune analogie con la canzone dei Genesis.

In primis, queste riguardano le caratteristiche comuni dei due animali che, attenzione, hanno in realtà un differente aspetto, similare soltanto in prima approssimazione. In effetti, l’Albatros è un uccello dalla grande apertura alare; precisamente, la più grande fra tutti gli uccelli. Apparentemente, però,  questo si presenta come un uccello grosso e goffo, fisicamente simile al Dodo (sebbene quest’ultimo sia ancora più massiccio). Ma quando l’Albatros spiega le ali, questo si trasforma in un volatile capace di dominare i forti venti e le violente tempeste.

 

Albatros

 

Ma anche l’Albatros è oggetto di scherno da parte dell’uomo,  come testimoniato dal testo di Baudelaire (qui si riportano la seconda e la terza strofa):

 

À peine les ont-ils déposés sur les planches,

Que ces rois de l’azur, maladroits et honteux,

Laissent piteusement leurs grandes ailes blanches

Comme des avirons traîner à côté d’eux.

 

Ce voyageur ailé, comme il est gauche et veule!

Lui, naguère si beau, qu’il est comique et laid!

L’un agace son bec avec un brûle-gueule,

L’autre mime, en boitant, l’infirme qui volait!

 

Dalla traduzione del poeta e saggista Giovanni Raboni (1932-2004) :

 

L’hanno appena posato sulla tolda

e già il re dell’azzurro, maldestro e vergognoso,

pietosamente accanto a sé strascina

come fossero remi le grandi ali bianche.

 

Com’è fiacco e sinistro il viaggiatore alato!

E comico e brutto, lui prima così bello!

Chi gli mette una pipa sotto il becco,

chi imita, zoppicando, lo storpio che volava!

 

La crudeltà dell’uomo non conosce limiti. I marinai, forse annoiati dalla monotonia della loro vita di pescatori, si divertono a ferire ‘il re dell’azzurro’, facendolo apparire ridicolo e indifeso. Ma l’Albatros rappresenta la condizione dello stesso poeta Baudelaire, appartenente alla schiera dei cosiddetti ‘poeti maledetti’ e alla corrente del Simbolismo, in voga nel Novecento. Il poeta, in effetti, prova solitudine e immensa desolazione per la sua condizione di ‘derelitto’ e nonostante egli provi ad affogare i propri dispiaceri nell’alcol, nonché a perdersi nel proprio ‘Paradiso artificiale’ costituito da droghe e allucinogeni che possano, almeno per un attimo, alterare la sua percezione della realtà, questa stessa realtà è ormai per lui fin troppo evidente, così come il suo disperato bisogno di amare e sentirsi amato.

 

Quest’orrore della solitudine, questo bisogno di dimenticare il proprio io nella carne esteriore, l’uomo lo chiama nobilmente ‘bisogno d’amare’.

 

Tornando alla poesia da lui composta, gli aggettivi in azzurro evidenziati nel testo originale e tradotto trovano in parte riscontro con il testo redatto dai Genesis. Il Dodo, in effetti, viene così descritto:

 

Too big to fly

Dodo ugly, so Dodo must die…

 

Ovvero:

 

Troppo grande per volare,

Il Dodo è brutto, dunque Il Dodo deve morire…

 

Gli aggettivi ‘grande’ e ‘brutto’ fanno capolino nella prima strofa del brano, lasciando intendere le caratteristiche fisiognomiche del Dodo. La sua corporatura robusta non gli permette di volare, dunque, questa sarà una delle principali cause della sua estinzione. Il suo destino sembra, perciò, già segnato dagli spietati canoni evoluzionistici. Non che in passato il problema del Dodo fosse stato legato all’adattamento, anzi. A terra, il pennuto aveva infatti trovato il modo di cibarsi di frutti succulenti per garantirsi una lieta e tranquilla sopravvivenza. Dunque la reale causa dell’estinzione di questo animale, come già affermato qualche paragrafo prima, risulta legata alla colonizzazione del luogo cui esso abitava (le Mauritius) da parte dei portoghesi.

Il brano, comunque, sfocia ben presto in una serie di strofe ‘no-sense’ alla Gabriel (ma di ridotta complessità rispetto alle precedenti, s’intende!) che solamente l’autore del pezzo, Tony Banks, potrebbe (forse) spiegarci. Dal minuto 5’00”, incomincia la seconda parte della mini-suite: Lurker (termine che può essere tradotto come ‘chi sta in agguato’). Nel complesso, l’arrangiamento musicale delle tastiere e della batteria fornisce un buon risultato.

Ma qual è la tematica affrontata dal testo? 

Phil Collins, verso la fine della canzone, cita un certo Davy Jones,  un essere sovrannaturale denominato ‘demone del mare’.

Secondo una leggenda anglosassone, esso rappresenta una sorta di Poseidone che, con la sua ira funesta, è pronto a vendicarsi dei torti subiti e a rendere impervia la vita dei marinai, spesso provocandone anche la morte. Insomma, sembra quasi che gli stessi marinai che poco prima schernivano l’Albatros abbiano finalmente ricevuto una meritata punizione.

Perché si sa, chi la fa l’aspetti!

Man On The Corner

Questo brano, afferente al LATO B di Abacab, è una ballata dal tocco delicato, analogamente al tema da essa trattato. Il titolo, in effetti, parla già da solo (‘Uomo In Un Angolo’). La tematica della solitudine e dell’alienazione sociale sono ancora molto attuali, dunque è sicuramente di buon auspicio il fatto che se ne parli. Mentre mi perdo nell’ascolto di tale canzone, però, mi rendo conto di quanto questa potesse essere resa decisamente più ricca e meno monotona, magari attraverso un deciso cambio di ritmo verso la metà della canzone. Ancora una volta, la vocalità di Collins salva in parte la situazione, rendendo il brano meno ‘malvagio’ di quanto non sia in realtà.

Comunque, nel caso in cui ve lo stiate chiedendo, non è affatto questa la canzone peggiore dell’album (provate ad ascoltare Who Dunnit? e ne riparliamo!), ma non si può certo dire che sia un brano completamente riuscito, nonostante l’importanza dell’argomento trattato. La strofa decisamente più significativa è la seguente:

 

And nobody knows him…

And nobody cares…

‘Cause there’s no hiding place…

There’s no hiding place for you…

 

Ovvero:

E nessuno lo conosce…

E a nessuno importa di lui…

Perché non c’è un posto dove nascondersi…

Per te non c’è alcun posto dove nascondersi…

 

Conclusioni – Abacab

Per quanto io ami Genesis (e ripeterò fino al midollo che li amo alla follia), è necessario essere obiettivi. Questa volta, ho dovuto riconoscere (e ve lo assicuro, non è stato facile) l’effettivo calo di ispirazione riscontrato in questo album. Ma come detto all’inizio, il panorama musicale subì all’epoca una drastica evoluzione (che i puristi del rock progressivo definirebbero ‘involuzione’) che portò le band di tutto il mondo ad adattarsi al cambiamento. Nonostante ‘lo shock’ iniziale, però, sembra che i Genesis siano riusciti a sopravvivere alla  suddetta ‘tempesta musicale’, guadagnandosi un inaspettato successo.

Ma il grande pubblico, da sempre fervido sostenitore dei loro precedenti lavori, non sembra ancora del tutto convinto, né entusiasta del risultato… Ma chissà che il prossimo album non possa apparirvi migliore! In effetti, come si suol dire, dopo la tempesta c’è sempre il sole e, come suggerisce il titolo dell’ultima traccia dell’album successivo, ‘It’s Gonna Get Better!’ (‘Presto andrà tutto per il meglio!’)

 

Phil Collins - Abacab Live Tour
Phil Collins – Abacab Live Tour

 

Abacab
Abacab!

Pubblicato da Eleonora

Sono una ragazza curiosa dalle molte passioni: amo scrivere, leggere (ovviamente), disegnare fumetti, ascoltare musica - specialmente appartenente al filone del rock progressivo - e ballare, soprattutto i Latino-Americani. Mi piacerebbe molto imparare a suonare il pianoforte, nonché trovare un partner ballerino con cui condividere la mia grande passione per la danza... Lo so, forse chiedo troppo!

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